Fabrizio Cotza: un cambiamento culturale per non essere più schiavi del lavoro – Meme #36
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Bologna, Emilia-Romagna - «Anche se pulisci i bagni devi fare quel lavoro al meglio, devi capire in che modo esso può farti crescere come essere umano». La nostra chiacchierata con Fabrizio Cotza inizia con una citazione di Gandhi che richiama un concetto che oggi spesso viene relegato in secondo piano, anche se forse è la chiave di molti dei problemi del nostro mondo: la dignità del lavoro.
Fabrizio crede fortemente in un nuovo modello lavorativo e imprenditoriale e da anni si batte per diffonderne i semi attraverso la rete che ha fondato, Imprenditori Sovversivi, di cui abbiamo parlato approfonditamente in questa storia. «I valori che abbiamo messo in discussione – ci aveva spiegato Fabrizio presentandoci il suo progetto – erano molto legati a come veniva interpretato il lavoro, in primis il duro lavoro: se ci tieni alla tua azienda devi passarci 16 ore al giorno, devi lavorare il sabato e la domenica».
OPUS E LABOR
Le radici culturali ed etimologiche sono importanti perché spesso ci mostrano punti di vista e piccole differenze concettuali che nell’inarrestabile e rapidissimo flusso di pensieri, parole e azioni che caratterizza le nostre vite si sono perse. Christian Felber si rifaceva ai greci parlando di oikonomia e krematistikè, mentre Cotza richiama i termini latini opus e labor.
«Si distingueva fra due forme di lavoro: il labor, che era il lavoro degli schiavi, e l’opus, che era quello degli aristocratici. La differenza era che il labor era fondato sull’assunto “uccidi te stesso pur di portare a casa la pagnotta” mentre l’opus era uno strumento per migliorare la qualità della tua vita. Purtroppo la maggior parte della popolazione umana interpreta il lavoro come labor, ovvero un’attività necessaria che però uccide emotivamente e a volte anche fisicamente».
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UN LAVORO CULTURALE
Il concetto di labor richiamato da Fabrizio non è necessariamente legato a una imposizione esterna, non riguarda solo persone sfruttate e ridotte – metaforicamente, ma a volte addirittura letteralmente – in catene che non aspettano altro che un’occasione per divincolarsi. Spesso lo schiavista e lo schiavo sono la stessa persona: «Molti imprenditori non hanno nessuno che li costringe, sono loro che si auto-schiavizzano e quella è la forma di schiavitù più pericolosa perché non si ribelleranno mai».
Ecco quindi che per cambiare il sistema bisogna partire dalla testa delle persone. Ma non solo. Anche Fabrizio abbraccia la filosofia della Felicità Interna Lorda – che rappresenta un modo differente, più a misura di essere umano, di vedere il mondo economico e imprenditoriale – e non risparmia stoccate alla finanza speculativa, preconizzando che «il modello finanziario attuale è destinato all’implosione».
L’educazione culturale deve andare in due direzioni, intervenendo su due fronti. Da un lato quello delle imprese, che sfruttano i lavoratori – in particolare i giovani – con retribuzioni inadeguate, spesso giustificate da tirocini e un presunto arricchimento professionale. Dall’altro lato il fronte della forza lavoro, che spesso è inadeguata non tanto nel percorso formativo quanto piuttosto nell’approccio al mondo professionale: «Vedo poveri ragazzi sfruttati dalle multinazionali ma anche ragazzetti che, appena entrati in azienda, vogliono fare i dirigenti solo perché hanno studiato economia».
UN SISTEMA CHE NON VUOLE CAMBIARE
Spesso si sentono imprenditori che si lamentano del fatto che non trovano giovani disposti a lavorare, men che meno con un approccio “innovativo” rispetto ai modelli convenzionali. Fabrizio ci porta alla radice di questo problema raccontandoci la sua esperienza nelle scuole. «Quando ho proposto di portare la mia visione, in maniera totalmente gratuita, in alcuni istituti scolastici ho sempre trovato grande entusiasmo da parte dei ragazzi ma anche ostracismo da parte dei dirigenti».
Sembra dunque che ci sia una inspiegabile resistenza al cambiamento e questa resistenza è più forte proprio nelle sedi in cui si coltivano gli alfieri del nostro futuro: le scuole. «Venivamo visti come un corpo estraneo che voleva contaminare una struttura che invece doveva rimanere necessariamente ingessata».
Le teorie di Fabrizio, abbondantemente sostenute da un’azione che ormai da anni porta avanti con costanza, rappresentano suggestioni importanti per disegnare un nuovo modello lavorativo e imprenditoriale. Un modello in cui l’economia torni a essere uno strumento per conseguire il benessere delle persone, in cui la schiavitù – imposta da altri o auto imposta – venga superata, in cui la cultura sia veramente un valore aggiunto e non un termine utilizzato proditoriamente per giustificare abusi e soprusi. Un modello in cui il lavoro non rappresenti più morte – morale o addirittura fisica – ma vita.
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