Cascina Barban: due giovani ritornano alla terra per ripopolare la borgata – Io Faccio Così #327
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Alessandria - Esiste una valle dalla bellezza mozzafiato con più di 300 km di sentieri e un fiume in cui fare il bagno circondato da boschi e da una vegetazione che la rende selvaggia e unica nel suo genere. Si chiama Val Borbera ed è proprio qui che il nostro viaggio ci ha portato. Mentre percorriamo queste splendide montagne dell’alessandrino dove ha inizio l’appennino e che esplodono di vita e di primavera, rifletto su come una delle valli più rigogliose e incontaminate che abbia mai visto sia sconosciuta ai più. Eppure, la stessa valle, un tempo abbandonata e ora custodita dai tanti giovani che qui sono tornati per ripopolarla, è pronta ad accogliere chiunque sia capace di apprezzare le meraviglie che nasconde.
Siamo quasi arrivati. Salutiamo da lontano Maurizio Carucci e Martina Panarese, che ci accolgono nel loro mondo immerso tra il verde delle vigne e il cielo blu. Difficile spiegare a parole cos’è Cascina Barbàn perché viverla è forse l’unico modo per capirla davvero. Maurizio e Martina sono originari di Genova e anni fa hanno scelto di lasciare la città per sperimentare una nuova vita in campagna.
Maurizio aveva cominciato a fare le prime esperienze agricole da quando aveva vent’anni e nel frattempo ha coltivato l’altra sua grande passione, ovvero la musica, come solista e frontman degli Ex-Otago. Martina invece, dopo una laurea in design, un lavoro in uno studio di grafica che iniziava a starle un po’ stretto e l’incontro con Maurizio, si è domandata quale strada prendere nella vita. Così si sono incontrati, innamorati e in uno di quei momenti di grandi interrogativi, in cui la vita ci mostra le infinite possibilità che abbiamo davanti, hanno scelto quell’unica che facesse al caso loro: il mondo agricolo e la contadinanza, quella più autentica. Perché una volta che si entra in questo mondo è difficile tornare alla vita di prima senza farsi troppe domande.
Quando gli chiediamo cosa hanno trovato quando sono arrivati qui ci rispondono «pietre, una stalla decandente, rovi e prugnoli». Insomma, una borgata nel pieno splendore, ma dell’abbandono. Eppure, affascinati da questi ruderi ricchi di storia, nel 2012 hanno acquistato “casa” e terreni e hanno trasformato questa località del 1600 nella loro futura casa, luogo meraviglioso che oggi accoglie e risplende di vita. «La frase tipica di che ci sentiamo dire da molte persone è “in Val Borbera non c’è niente”. Ma il niente bisogna vedere, per ognuno di noi, che cos’è. Qua il niente può essere il buio, la natura, il silenzio. Condizioni splendide che ti riportano alla vera essenza e alle tue priorità come essere umano».
Insieme a loro chiacchieriamo, nella splendida sala sociale dove ci offrono un pranzo genuino. In compagnia della gatta che ci ha già preso in simpatia ci sentiamo a casa. Mentre Maurizio suona il pianoforte, Martina ci racconta la storia di questo splendido luogo. Tutta la borgata porta l’antico nome di “Cantine di Figino” e proprio qui non potevano che dedicarsi alla cultura del vino. Nella stanza affianco c’è la cantina dove trasformano le uve per la vinificazione, mentre sopra di noi la barricaia dove vengono affinati i vini. Accanto c’è poi la loro abitazione e un piccolo rudere che Maurizio ha rimesso a posto da poco. Tutt’intorno, la natura più rigogliosa: ci sono il pascolo degli asini, le vigne, le coltivazioni di grano, gli orti e grandi prati. Ci sono il bosco e il rio che offre la sua acqua agli animali e per irrigare le vigne.
«Cascina Barban è un collettivo agricolo che nasce per colmare un grande vuoto tipico della nostra società, ovvero la mancanza di cibo di qualità. Cibo che nutre, che fa bene a chi mangia e a chi lo produce, che ti ricorda il posto in cui viene fatto. Nasciamo così, senza compromessi». Ma Cascina Barban non è soltanto un ritorno alla terra. È un ritorno allo stare, al vivere una valle, abitata da persone che trovano più risposte qui che altrove. Insieme a una coppia di amici – Pietro e María Luz – hanno dato vita a questo collettivo, che vuole testimoniare la possibilità di dedicarsi all’agricoltura in un modo nuovo e che getta un ponte tra campagna e città. «Non siamo degli ultras dell’agricoltura contadina e allo stesso tempo non rifiutiamo la città – ci raccontano –, anzi, crediamo che proprio unendo questi due mondi possiamo creare qualcosa di utile nella società in cui viviamo».
Con impegno lavorano per valorizzare la biodiversità agricola: ogni giorno Maurizio e Martina si dedicano alla coltivazione di più di 5.000 ettari di vite e hanno recuperato storiche varietà viticole locali come il moetto, il moscarino, e il timorasso. Coltivano la fagiolana bianca di figino e la mela carla. E fanno tutto questo in maniera totalmente naturale. Qui, infatti, solfiti e chimica di sintesi sono parole sconosciute. «Siamo i primi consumatori dei nostri prodotti, quello che pensiamo faccia bene a noi automaticamente diventa quello che vogliamo per le persone che sostengono il nostro progetto».
Dalla biodinamica, alla rigenerativa, alla sinergica hanno studiato a fondo diverse pratiche agronomiche. «Nell’agricoltura, come nella vita, siamo un po’ dei cani sciolti, non ci piace etichettare ed etichettarci perché tutte queste pratiche hanno qualcosa di buono. Nonostante tutto non ci reputiamo degli ottimi contadini, affatto!». Ma c’è una regola fondamentale che per Maurizio e Martina è valida per la vigna come per tutte le altre coltivazioni: ogni luogo hai i suoi tempi e il suo microclima e di conseguenza il contadino deve essere quella persona capace di decifrare e prendersi cura di un determinato luogo. E ci basta questo per renderli, ai nostri, occhi degli ottimi contadini.
Da anni Cascina Barban è diventata host wwoof e ospita giovani che provengono da ogni luogo e che vogliono avvicinarsi al mondo dell’agricoltura contadina e virtuosa. Quando hanno avviato il loro progetto in Val Borbera, molte persone del posto non capivano il perché di questa scelta. Persone che tanti anni prima si erano allontanate da questi luoghi che non avevano più molto da offrire, come nel caso dei due paesi adiacenti alla Cascina, ovvero Albera Ligure e Figino, spopolati dai propri abitanti che cercavano lavoro nelle fabbriche e costruirsi una nuova vita.
«Qui abbiamo percepito un sentimento diffuso, che era quasi legato a una sfida: “Io me ne sono andato in fabbrica per cercare lavoro e voi che arrivate dalla città pensate di poter vivere qui”?». Potrà sembrare un paradosso e all’inizio le cose non sono state facili. Ma Maurizio e Martina hanno avuto pazienza e si sono messi in ascolto del territorio, delle sue fragilità e della sua forza, hanno parlato in dialetto e frequentato i piccoli bar, vero luogo nevralgico delle tante valli appenniniche e alpine. Poi hanno fatto amicizia con gli anziani del luogo e imparato da loro preziose lezioni di vita. E proprio loro, che prima li guardavano con aria sospetta, adesso accolgono e aiutano con gioia i giovani che qui arrivano per iniziare una nuova vita.
Come ci spiega Maurizio, «io e Martina veniamo da quartieri popolari, non siamo gente che aveva patrimonio alle spalle. Io con la musica ai tempi non avevo avuto ancora un successo significativo e Martina per i primi cinque anni ha lavorato come pendolare, prima di dedicarsi totalmente al nostro progetto. I primi tempi abbiamo fatto molti sacrifici e ora, dopo dieci anni, possiamo dire che la salita è un po’ più dolce».
Ogni anno Cascina Barban organizza il Festival di Boscadrà: come ci viene raccontato, il primo weekend di luglio la Cascina si popola di persone che giungono da ogni luogo di Italia. Durante questo festival, iniziato ormai otto anni fa, l’arte si mescola alla pura manualità del lavoro agricolo e artigiano. «Siamo partiti con 80 persone quando la casa era ancora in costruzione e con il tempo siamo cresciuti, fino a contarne un migliaio». Ciò che propongono durante il festival è un ritorno al saper fare: «Organizziamo workshop sulla pasta madre, panificazione, trazione animale, riconoscimento delle erbe. Dopo la cena contadina, preparata rigorosamente con prodotti del territorio, ha inizio la parte più ludica con concerti e dj set, ma anche con le canzoni tradizionali del luogo e la camminata all’alba per arrivare in cima al monte e goderci un momento di musica». Un festival che in questo momento più che mai avvicina la campagna alla città.
Insieme a tante altre persone hanno dato vita a Paradiso Val Borbera, una rete unificata in tutta la valle di cui fanno parte vignaioli, ristoratori, fotografi, persone che offrono servizi come attività ricettive e turistiche e che, in mancanza di un ente che tuteli la valle, hanno avviato dal basso e insieme questa iniziativa. «Da una parte vogliamo valorizzare e cambiare il racconto di questi luoghi troppo spesso descritti come abbandonati, emarginati, interni e depressi e dall’altra tutelarli dai progetti scellerati in atto, proprio perché sono territori fragili».
Paradiso Val Borbera vuole generare nuova bellezza e, prima di salutarci, chiediamo a Martina e Maurizio che cos’è per loro la bellezza. «La bellezza è vino, è un elemento culturale. La bellezza è incontrarsi per rendere migliore il posto in cui viviamo e urlare al mondo intero che questi luoghi, in realtà, sono molto ricchi. Paradiso Val Borbera non è un nome a caso ma un nome di rivalsa, di rivincita di un territorio chiamato troppo spesso “marginale”. E noi, per provocazione, lo chiamiamo “paradiso” e aggiungiamo che è la valle più bella del mondo».
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