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Biella - Immaginate una scuola. I muri che la circondano, i banchi ordinati uno di fila all’altro e perché no, quell’orologio che, appeso in ogni classe, scandisce le ore tra una lezione e l’altra. Bene, ora che lo avete immaginato, dimenticatevi tutto questo. Provate a sostituire l’immagine della scuola con un paesaggio fatto di campi coltivati, baite, borgate e magari un vecchio mulino. Date un volto agli insegnanti che ora, come per magia, diventano contadini, agricoltori, artigiani e rappresentanti di associazioni locali che al posto di pagine e pagine scritte, trasmettono con amore la conoscenza del territorio, tenendo vive le antiche tradizioni. Proprio così nasce la Scuola senza Pareti.
La Scuola senza Pareti è una scuola diffusa che nasce in territorio biellese per un forte bisogno di comunità da parte delle persone che ci vivono e, in particolare, dall’incontro dei nostri otto protagonisti: un architetto, una cuoca, un’antropologa, due casare, un agronomo, un formatore e una laureata in scienze del turismo. Persone che, con le loro esperienze e i loro sogni, credono nella possibilità di ritornare a far rivivere l’essenza a volte dimenticata del territorio che amano e in cui scelgono, giorno dopo giorno, di rimanere.
Come ci raccontano Nazarena Lanza e Giuseppe Pidello, «viviamo in una valle che sta perdendo le attività produttive che la identificavano e che davano da vivere ai suoi abitanti. Vogliamo costruire una nuova Scuola per riscoprirle, riabilitarle, rigenerarle. Una Scuola per nuovi abitanti, dove imparare insieme l’arte del coltivare, allevare, recuperare, trasformare, che coinvolga direttamente nelle proposte formative il tessuto sociale, educativo ed economico del nostro territorio, valorizzando i saperi degli ultimi abitanti».
L’idea arriva da un’associazione di volontariato e da una cooperativa che dal 1998 promuovono e gestiscono le attività dell’Ecomuseo Valle Elvo e Serra, nonché una valle caratterizzata da una forte vocazione agro-pastorale. «Punto di partenza del nostro progetto sono le numerose proposte didattiche sperimentate dell’ecomuseo, attraverso le esplorazioni del paesaggio e la riscoperta dei suoi elementi peculiari legati alle filiere del latte e del castagno e ad altre attività umane che lo hanno nel tempo trasformato».
La Scuola senza Pareti sarà uno spazio formativo aperto dove imparare insieme a custodire un paesaggio e dove riattivare le competenze per continuare a prendersene cura in modo sostenibile. Insomma, sarà una Scuola con la S maiuscola: inclusiva, rivolta a tutti coloro che aspirano a ritornare abitanti e che coinvolge soprattutto i giovani “spaesati”, ovvero senza un “paese” in cui riconoscersi, ma anche le persone in cerca di lavoro e comunità come nel caso di nuovi residenti, persone disoccupate e migranti.
Il progetto diventerà un grande spazio di apprendimento che accoglierà chiunque e che abbraccerà l’intero territorio a partire dalle sue “aule” diffuse, proprio come nel caso del Mulino di Sordevolo che é la sede dell’Ecomuseo (oltre che futura sede della Scuola). Fanno poi parte del progetto numerosi partner territoriali come la Rete Museale Biellese che coinvolge una trentina di siti e la comunità Slow Food Travel Montagne Biellesi di cui fanno parte 35 produttori.
Le proposte della Scuola coinvolgono direttamente il tessuto sociale ed educativo del Biellese, attraverso un partenariato che a oggi comprende 12 enti oltre che realtà che perseguono finalità condivise come Slow Food, l’Alleanza per il paesaggio terrazzato, la rete Wwoofer, oltre che noi di Italia che Cambia. A questo si aggiunge il fondamentale contributo degli studenti delle scuole primaria e secondaria, degli educatori e degli insegnanti, dei bambini e delle loro famiglie.
Grazie all’accompagnamento di DelFin e al contributo di alcuni bandi regionali del terzo settore e locali, come nel caso della Fondazione CRB, sarà possibile avviare le attività sperimentali a partire da inizio maggio per un anno. Il progetto prevede la creazione di un’apposita segnaletica presso le “aule” e di una App dedicata, che aiuteranno i fruitori del territorio come escursionisti, pubblico ecomuseale, turisti, wwoofer, a scoprire il territorio oltre che a orientarsi e a partecipare alle offerte della scuola diffusa.
Le “lezioni” della scuola si focalizzano sul recuperare e sul prendersi cura dei preziosi manufatti che costituiscono l’ossatura in pietra del paesaggio montano come nel caso dei muri a secco, delle caratteristiche baite e delle antiche mulattiere; si imparerà a trasformare le materie prime in cibo, conservandole per mezzo di sistemi ecologici. Ad esempio, tra queste, non possiamo non citare le tipiche castagne essiccate della borgata di Bagneri, del burro e dei formaggi conservati nei cosiddetti “fraidel”, piccole e tradizionali casette in pietra utilizzate in corrispondenza delle sorgenti d’acqua per il raffreddamento del latte; ma anche delle mele, del miele, della cucina tradizionale, oppure dell’uso della forza motrice dell’acqua per la molitura e la fucinatura.
Si imparerà a coltivare e produrre, scommettendo sul forte legame tra la scuola e gli allevatori, i contadini, gli artigiani, che attraverso queste attività potranno trasmettere le abilità che hanno tenacemente conservato nel corso dei secoli, facendo rivivere le antiche tradizioni in modo che non possano venir mai dimenticate.
Quale sarà l’impatto sociale generato dalla Scuola? Innanzitutto, permetterà di mettere in luce coloro che “sono rimasti”, valorizzando i loro saperi e coinvolgendo gli abitanti alla scoperta delle loro attività. Verranno realizzate delle proposte formative di qualità mediante il loro riconoscimento, come alternanza scuola-lavoro, tirocini, crediti formativi o altre certificazioni spendibili. Il progetto prevede poi che vengano coinvolte le aziende locali nella formazione professionale, favorendo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, oltre che il contrasto all’abbandono delle valli biellesi.
Come ci viene raccontato, «l’obiettivo di fondo del nostro progetto è quindi la rigenerazione, in ognuna di queste aule diffuse sul territorio, di un pezzo di mondo, e questo non può che avvenire anche attraverso l’immaginazione delle persone che lo scelgono per prendersene cura e trasformarlo in un luogo nuovamente abitato, produttivo e accogliente».
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