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Palermo - In questo periodo così opaco e scarso di emozioni belle, assembrate e colorate, in cui ogni cosa sembra perdere di senso e il significato delle azioni a volte è senza significante, la vita di prima del covid sembra un sogno lontano. Eppure Palermo prima della pandemia era un fiorire di iniziative, di tran tran di turisti e guide che urlavano “follow me” in giro tra i monumenti, di artigiani che aprivano botteghe, di startup geniali che nascevano, di comunità operose che valorizzavano il bene comune. La “città tutta porto” – questo vuol dire Palermo – era in continuo fermento.
In questo contesto pulsante di nuove energie e vibrante di emozioni, nasce Orto Capovolto, “la cooperativa sociale che vuole valorizzare il volto della città attraverso il verde commestibile” – questa la definizione che danno di loro stessi sul sito web del progetto. Ed era bello girare un angolo e stupirsi di trovarsi di fronte a cassoni pieni di terra con tanti ortaggi e fiori dentro. Succedeva spesso, in particolare durante Manifesta 12, la biennale di arte contemporanea che ha messo a soqquadro Palermo; c’era un progetto tutto curato da Orto Capovolto chiamato “Palermo, la città tutta orto”, dove gli orti urbani sono stati disseminati per il centro storico e non solo.
Ma come nasce l’idea di Orto Capovolto e con quali finalità? Ha origine dall’incontro di un architetto – Angelica – e un educatore ambientale – Giorgio –, che insieme immaginano una città più verde. Nel 2013 Angelica propone a un cliente di realizzare un orto sul tetto della sua casa e così inizia ad appassionarsi all’agricoltura urbana. Giorgio è convinto che solo partendo dalle nuove generazioni si può immaginare un futuro più sostenibile. Decidono quindi di aprire una startup – correva l’anno 2015 – con l’obiettivo di creare un orto diffuso a Palermo, per occuparsi tanto di progettazione e realizzazione di orti urbani, quanto di educazione ambientale e alimentare nelle scuole e non solo.
«Coltivare un orto in città non significa solo produrre la propria cena senza pesticidi», spiega Angelica Agnello. «Significa anche e soprattutto, imparare l’importanza della biodiversità, la stagionalità dei prodotti e concetti chiave come il chilometro zero, la filiera corta e l’importanza di tutti gli elementi naturali».
La cosa che i fondatori di Orto Capovolto ritengono più importante sono i progetti di riqualificazione urbana, che sono realizzati sempre in partnership con altre realtà, come associazioni e comitati di quartiere. Attraverso questi progetti cercano di coinvolgere un target che sia il più ampio possibile, principio che cozza con la pandemia e infatti da circa un anno questo filone di attività è fermo.
Ma di certo il covid non può fermare l’immaginazione: «In questo momento – spiega Angelica – abbiamo sospeso quasi del tutto le attività; manteniamo pochi progetti, come quello in partenza al Malaspina, (il carcere minorile di Palermo, ndr) dal titolo “Le buone erbe”. La maggior parte delle nostre iniziative era con i bambini. Abbiamo deciso di rimanere quasi del tutto fermi aspettando tempi migliori perché i laboratori erano dentro ludoteche o scuole. Sono in stand-by anche i progetti di riqualificazione urbana, che generalmente partono in primavera. Ma la grande bellezza è il coinvolgimento di tanta gente, cosa che per adesso è impensabile. Facciamo l’indispensabile e aspettiamo l’anno prossimo». Va molto bene però la linea di design di Orto Capovolto, prodotti legati al giardinaggio come grembiuli da orto o le bombe di semi.
Una delle azioni che più sono rimaste impresse nella memoria della città è sicuramente l’intervento su Salita Raffadali, che per un periodo è stata chiusa al traffico, colorata e addobbata con alberi, fiori e ortaggi. Un intervento di riqualificazione che ha avuto una eco nazionale, ma che adesso rappresenta una grandissima delusione per Orto Capovolto e anche per Sos Ballarò, il comitato di quartiere: «È stato un intervento che sarebbe dovuto durare solo quattro settimane – aggiunge Angelica –, poi è piaciuto a tutti e si era deciso di farlo diventare permanente, ma non è stato così, l’amministrazione è scomparsa e la strada è tornata carrabile. Molto spesso i giardini che riqualifichiamo vengono abbandonati, per questo è importante fare innamorare i residenti del progetto».
Un intervento molto positivo è stato invece quello fatto alla Kalsa, in vicolo del Pallone: «Qui gli abitanti si sono messi davvero in gioco e hanno continuato a interagire con il giardino aggiungendo dettagli, come la statua di una madonnina; anche la vicina chiesa se ne prende cura, ha anche celebrato delle messe lì, all’aperto».
«Quello che ci manca di più è lavorare con i bambini», conclude Angelica. «Una cosa che vogliamo assolutamente fare appena torneremo alla vita di prima è mappare le aree urbane di Palermo non destinate a ospitare strutture e infrastrutture e che quindi possano essere dei luoghi di aggregazione dove far nascere delle aree verde e dei giardini condivisi».
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