26 Apr 2021

Misticismo e profezia: ritrovare l’esperienza del sacro

In questo nuovo appuntamento con la Spiritualità del Creato scopriamo come Matthew Fox e il movimento fondato sulle sue idee intendono la relazione con la sfera divina. Come dialogare con essa? Come pregare in modo da vivere appieno l'esperienza del sacro? In modo possiamo essere mistici? Le riflessioni di Claudia Picardi, del direttivo dell'associazione Spiritualità del Creato.

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“Lo scopo principale della religione organizzata è impedire alle persone di avere un’esperienza di Dio” (C.G. Jung). Nelle sue meditazioni quotidiane Matthew Fox riporta questa citazione e sottolinea come “a prescindere dal fatto che fosse perfettamente corretta, sicuramente prediceva una tendenza oggi piuttosto comune”.

Nella spiritualità del creato l’esperienza del divino è centrale. Fox arriva al punto di suggerire, citando lo psicologo R.D. Laing, che “Dio è la nostra esperienza di Dio”. Certamente per chi si accosta a un sentiero spirituale la parola “Dio” può essere critica, carica com’è di usi e abusi patriarcali. Possiamo allora parlare di esperienza del sacro, un’esperienza che come quelle dell’amicizia, dell’amore o dello stupore ci mette in contatto con qualcosa che va al di là dei confini dell’io, eppure lo include e lo amplia.

L’esperienza, per sua stessa natura, va al di là dei nomi: è radicata nel corpo, nei sensi e nella nostra capacità di visione profonda o intuizione, che molto ha a che fare con l’anima, qualunque accezione si voglia dare a questo termine.

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L’esperienza del sacro nasce nel momento in cui entriamo in relazione autentica e incarnata con il cosmo, con gli altri esseri, con noi stessi. È una relazione in cui la risposta a ciò che il nostro immenso interlocutore ci propone è organica, profonda e al tempo stesso chiara e fresca come una sorgente di montagna. Matthew Fox la chiama “risposta radicale all’esistenza” e ci suggerisce che proprio questo è il senso del termine preghiera (Matthew Fox, Preghiera. Una risposta radicale all’esistenza. Gabrielli Editori, 2014).

Fox sottrae la preghiera allo spazio del fare (recitare testi sacri, prendere parte a riti codificati) e del dire (parlare con Dio) e la riporta alla dimensione dell’essere. Cosa ci porta dunque a essere in preghiera? Per qualcuno può essere un rito, per qualcun altro recitare un brano sacro, per qualcun altro ancora passeggiare in un bosco o ascoltare il proprio respiro o giocare con il proprio cane. Queste pratiche non sono esse stesse la preghiera, ma ci possono condurre ad essa perché ci permettono di entrare in relazione profonda con l’esistere, qui e ora, su questo pianeta. La preghiera non è dunque una cosa, ma un processo, uno stare al mondo che è in sé la nostra risposta all’esistenza: una risposta radicale.

Cosa significa, in questo contesto, “radicale”? Fox sottolinea che il suo uso di questo aggettivo ruota intorno al senso di “radice” e di “radicamento”: qualcosa che è molto profondo dentro di noi, vicino al nucleo del nostro essere, là dove, per usare le sue parole, “è di casa il mistero”. “Una risposta all’esistenza è radicale quando è la risposta stessa della vita, cioè si tratta dello Spirito che ci attraversa, non semplicemente della nostra risposta. […] Una risposta è radicale, quindi, quando è più grande di noi”.

La risposta radicale, la nostra preghiera, si snoda nella nostra stessa esistenza attraverso la dialettica fra due movimenti, apparentemente opposti ma in realtà intrecciati in una continua danza e necessari l’uno all’altro: il radicamento e lo sradicamento, o anche, “misticismo” e “profezia”. Non è un caso che Fox usi queste due parole. Di solito i mistici e i profeti (di qualsiasi religione) sono altri, personaggi lontani e un po’ mitologici, di cui si legge nei libri o si ascoltano le gesta. Si diffonde così la credenza che sono altri, non noi, ad avere l’esperienza del sacro.

Questa credenza è distruttiva e bloccante, ma per molti versi molto comoda: infatti, se fossimo noi i mistici e i profeti di oggi, sentiremmo di avere una grande responsabilità, a partire da quella di diventare chi siamo davvero. Scrive infatti Thomas Merton: “È corretto dire che per me la santità consiste nell’essere me stesso e per te la santità consiste nell’essere te stesso […]. Dunque il problema della santità e della salvezza coincide con il problema di trovare chi io sia, di scoprire il mio vero sé”.

Confessioni di un Cristiano Ribelle
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Ma se misticismo e profezia sono alla portata di tutti noi, in cosa consistono? Nella spiritualità del creato il misticismo, ossia il radicamento, consiste nel dire sì alla vita e al cosmo. Siamo mistici nel momento in cui assaporiamo e godiamo la nostra terrestrialità, il nostro essere animali che abitano la Terra. Il mistico non è qualcuno che ha esperienze fuori dall’ordinario, bensì colui che ama il creato e partecipa pienamente alla totalità dell’esperienza umana.

Ma il creato non è qualcosa di statico. La creazione, ci ricorda Fox, avviene continuamente e noi non solo la sperimentiamo, ma ne siamo gli agenti co-creativi. Il ruolo della profezia è dunque quello di sradicare, di dire no, di interrompere ciò che non è nutriente né fertile, non solo nel nostro giardino, ma nel grande giardino dell’umanità. La tensione verso la giustizia sociale nella spiritualità del creato non è un mandato morale, ma una conseguenza naturale del radicamento e della spinta al cambiamento evolutivo. Nell’abitare profondamente noi stessi non possiamo che incontrare la nostra voce originale e lasciare che si esprima in semplicità e autenticità.

Quella voce sa dire il sì e dire il no.
Quella voce prega.
È la nostra voce.

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