Mimosa: il sostegno alle vittime di sfruttamento sessuale arriva dai cittadini
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Padova, Veneto - Padova 1996. Il quartiere Arcella è il tessuto urbano in cui si manifesta il fenomeno della prostituzione di giovani ragazze provenienti dall’Est. Stiamo parlando di una delle prime ondate migratorie in Italia e delle successive conseguenze di carattere sociale, ma soprattutto politico, che hanno portato, nel 1998, all’elaborazione della legge poi chiamata Turco-Napolitano.
Questa è stata la prima legge sull’immigrazione di carattere generale, un tentativo di regolamentare il fenomeno su tutto il territorio nazionale che ha creato le condizioni per le seguenti legiferazioni sul tema, fino ad arrivare alla Bossi-Fini che determina in concreto il reato di disoccupazione e alle successive strette securitarie.
Nel caso delle giovani donne costrette alla prostituzione, sono state le cittadine e i cittadini, ancora prima delle istituzioni, a cogliere i cambiamenti di un fenomeno che in quegli anni stava mutando, assumendo una portata più ampia e complessa. Così un piccolo gruppo di persone sentì l’urgenza di scendere in strada con regolarità e mettersi in ascolto, portare supporto, offrire informazioni utili, accompagnamenti in ospedale per visite e controlli e aiuto in caso di situazioni di violenza o costrizione.
«Erano donne giovani in un paese straniero e prive di una rete che le supportasse», racconta Gaia, una volontaria. «Le tracce dello sfruttamento su di loro erano evidenti. Mimosa è nata così, dalla spinta di un piccolo gruppo di persone che, rendendosi conto di ciò che stava accadendo proprio sotto gli occhi di tutti, hanno deciso di agire». La prima ragazza che ha chiesto aiuto si chiamava Mimosa ed è stata proprio lei a ispirare il nome dell’associazione.
Da quel lontano 1996 sono passati venticinque anni e Mimosa non solo non si è mai fermata, anzi, possiamo dire che ha addirittura germogliato sul territorio cittadino e oltre: a Vicenza, Venezia e Treviso. Da quella prima esperienza si sono strutturati percorsi articolati che hanno portato, nel 2008, alla costituzione di Equality, una cooperativa sociale che si occupa di integrazione delle persone in stato di emarginazione, con un particolare focus su coloro che svolgono attività di prostituzione e sono vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale o lavorativo. La cooperativa si occupa inoltre di minori e giovani adulti italiani e stranieri in specifiche condizioni di vulnerabilità.
Le due realtà continuano a operare in piena sinergia: le attività di volontariato dell’associazione Mimosa si affiancano al lavoro delle operatrici e degli operatori della cooperativa che gestiscono le case protette per le vittime di tratta e i centri per minori. L’unità di strada resta il cuore della visione generale che ispira ogni giorno le attività delle volontarie e dei volontari di Mimosa: essere in strada e porsi in una condizione di prossimità con le proprie utenti è il solo modo per instaurare rapporti di fiducia reciproca.
«Negli anni – prosegue Gaia – oltre all’unità di strada abbiamo organizzato molte iniziative nel quartiere Stazione. La sensibilizzazione delle persone è fondamentale; purtroppo pregiudizi e razzismo sono i primi scogli che si incontrano e, se da un lato i commercianti del quartiere che abbiamo coinvolto erano ben felici di partecipare alle iniziative proposte dimostrando grande disponibilità e ospitalità, non si può dire che i residenti abbiano manifestato lo stesso entusiasmo. L’integrazione è un percorso molto lungo e molto complesso, che può partire da cose semplici come la condivisione del cibo o di iniziative culturali; non bisogna scoraggiarsi, anzi, ogni difficoltà che si incontra è utile per capire quale strada percorrere».
L’associazione Mimosa si occupa principalmente del fenomeno della prostituzione e delle vittime di tratta, ma nel suo agire quotidiano – soprattutto con le attività svolte in strada – volge lo sguardo e l’attenzione su chiunque viva in condizioni di forte marginalità, soprattutto dal momento che i fenomeni della prostituzione e dell’uso di sostanze spesso sono tra loro intersecati.
«Molte delle problematiche del quartiere Stazione sono dovute principalmente a una mancata visione d’insieme», conclude Gaia. «Questa carenza ha fatto sì che negli ultimi due decenni questa porzione di città si svuotasse progressivamente: le sole che la vivono, oltre agli attivisti e ai volontari, sono chi è senza dimora o chi spaccia e fa uso di sostanze. Sarebbe bello riuscire a trovare il modo per creare connessioni tra le persone e dar vita a progetti di quartiere partecipati da tutte e da tutti».
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