Seguici su:
Genova - A Genova i bambini crescono abituando lo sguardo al blu del mare, che segna il sud, mentre al nord la skyline è di un verde “contaminato” da un grigio affollamento di palazzi. Così si diventa grandi senza più nemmeno fare caso all’enorme consumo di suolo a carico delle colline. Osservandole da lontano, i nostri occhi ormai non si accorgono della quantità di edifici, uno accanto all’altro, che gremiscono anche le alture della città.
Non a caso, la Liguria è al primo posto in Italia per consumo di suolo per abitante: in base al numero di costruzioni residenziali, produttive e vie di comunicazione si attestava, nel 2019, intorno ai 5.000 ettari, in lieve crescita rispetto all’anno precedente. A conti fatti, si tratta di circa 252 metri quadrati per abitante (Fonte: Centro Studi di Confagricoltura). Questa cementificazione che continua, imperterrita, dagli anni del regime fascista, ha portato alla costruzione di edifici e strade, indipendentemente dalle condizioni morfologiche del terreno, esponendo i cittadini a potenziali situazioni di rischio (Fonte: Legambiente Liguria).
Anche per questo la Liguria è particolarmente soggetta al dissesto idrogeologico: la conformazione naturale, con le montagne a ridosso della costa e l’alto numero di torrenti e rii che attraversano il territorio, concorre con diverse forme di deturpamento da parte dell’uomo. Prima tra tutte, la cementificazione selvaggia e la copertura di molti corsi d’acqua.
Per affrontare con i bambini questi temi, delicati ma caldi in questo territorio, uno scrittore genovese ha recentemente pubblicato un libro, “Il Gigante. Un racconto che dà voce a mamma natura”, in cui dona un volto e dei sentimenti a una di queste costruzioni, mettendo in luce anche i rapporti tra gli uomini e tra chi c’è “dietro” alla cementificazione. Ne abbiamo parlato con lui, per farci raccontare com’è nata questa favola.
Simone, com’è nata la storia de “Il Gigante”? Si ispira a qualche fatto di cronaca?
Ho sempre vissuto a Genova in quartieri collinari, anche se in realtà le colline non sempre si riescono a vedere perché restano nascoste sotto una fitta macchia urbana. È proprio di questo che volevo parlare: dell’urbanizzazione, spesso selvaggia, e del rapporto complicato tra città e natura, sfociato in eventi catastrofici in occasione delle sempre più frequenti esondazioni di torrenti degli ultimi dieci anni.
Perché il protagonista è proprio un gigante? Cosa vuole simboleggiare?
Avevo bisogno di un personaggio ingombrante! Quando ho iniziato a scrivere il racconto, l’unica cosa che avevo chiara in testa era che lo avrei collocato nel bel mezzo di una piccola valle e lì avrebbe costituito un intralcio. Poi mi sono reso conto che la sua mole poteva essere anche un buon contrappunto alla piccolezza di certi uomini.
Parlaci delle illustrazioni: chi le ha realizzate?
Ho affidato la storia del Gigante a Michele Lepera, un illustratore genovese che ero sicuro avrebbe saputo cogliere l’essenza del mio racconto. La forma di partenza per ogni illustrazione è un cerchio, sul quale la scena e i personaggi si appoggiano, sbordano, vengono ritagliati, creando un andamento dinamico e giocoso. Anche la gamma cromatica è particolare, infatti è di soli tre colori. Questo permette di individuare subito gli elementi protagonisti della scena, senza stancare gli occhi.
Il libro esce proprio in concomitanza con lo smantellamento della Diga di Begato. Secondo te, i bambini coglieranno questa “coincidenza”?
Probabilmente chi ha negli occhi l’immagine della Diga potrà notare qualche affinità. In effetti, l’idea di far sedere un gigante dentro una valle mi è venuta proprio da quella visione che mi si para davanti innumerevoli volte dai finestrini del treno, quando attraverso la Val Polcevera. In ogni caso, non era mia intenzione parlare di quell’edificio nello specifico, ma della cementificazione in generale.
Quale insegnamento vorresti che si portassero a casa i piccoli lettori?
Nel racconto ho cercato di esprimere come certe realtà urbane che vengono definite degradate custodiscano al loro interno un carico di “umanità” che non può e non deve essere ignorato. Spesso pensiamo che smantellando i simboli del degrado, estirpiamo il degrado stesso, ma il degrado è qualcosa che ha fondamenta ben più profonde di quelle che tengono in piedi un cosiddetto “ecomostro”. Questo è il pensiero che vorrei ronzasse in testa ai lettori.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento