“Ex anoressica, ho studiato un modo per aiutare chi soffre di questo male”
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Imperia - Una frase che mi torna spesso in mente dice: “Se la sofferenza vi ha resi cattivi, l’avete sprecata”. Ma cosa vuol dire non sprecarla? Trarre insegnamenti che possano migliorare la propria vita e quella degli altri? Per quanto sia bello l’auspicio, sono poche le persone che riescono davvero a trasformare il proprio dolore in maggior consapevolezza, in insegnamenti che ci cambino da dentro, trasformandoci in persone migliori.
E se già di per sé è un percorso difficile, lo è ancor di più quando si parla di grandi perdite, gravi malattie: più è profondo il dolore, più esso risulta pesante da gestire, comprendere e trasformare. C’è però che chi ce la fa, chi riesce in questa impresa nobile ed Elisa Amelia è tra queste: dopo aver sofferto per molti anni di anoressia, ha da poco creato un’associazione, insieme ad amici e famigliari, con cui ha sviluppato un modello di supporto innovativo per persone che, come ha fatto lei, si trovano a dover fare i conti con disturbi di alimentazione.
LA FONDATRICE
Ve la presento. Elisa è una consulente e docente in ambito di sicurezza sul lavoro, con una storia alle spalle di 25 anni di sofferenza. «Circa tre quarti della mia vita – racconta lei stessa – l’ho condivisa con l’anoressia: sono stati anni molto difficili, scanditi da diversi ricoveri e difficoltà. Se sono viva devo ringraziare tutti i professionisti dell’ASL1 che sono riusciti a supportarmi per tanti anni con amore e disponibilità». Da questo lungo e travagliato percorso però, Elisa riesce ad uscire più forte e consapevole e proprio dalla sua esperienza trae gli insegnamenti per capire cosa nell’attuale sistema di supporto non funziona ed è decisa a creare strumenti validi per aiutare chi è ancora dentro al tunnel dei disturbi alimentari e non sa come uscirne.
COSA SONO I DISTURBI ALIMENTARI
I principali disturbi dell’alimentazione sono l’anoressia, la bulimia e il disturbo da alimentazione incontrollata (o binge eating disorder, BED). Il numero di persone con diagnosi di disturbi alimentari sta crescendo sempre più e ha registrato un aumento considerevole in quest’ultimo anno a causa del Covid. La forbice di età sta cambiando: mentre negli scorsi anni l’età media di riferimento partiva dai 13 e arrivava ai 20 anni, oggi si è ampliata dagli 8 ai 35. É un problema quindi più mai che attuale e in espansione, ma di cui si parla ancora molto poco. «Ho imparato a mie spese – mi spiega Elisa – che non è funzionale non parlarne. Anzi è dannoso!».
«Spesso le famiglie non hanno idea di cosa stia accadendo e quando lo vengono a sapere non hanno strumenti e conoscenze per capire come gestirlo. Banalmente non sanno che dire, come e cosa comunicare per aiutare le persone vicine che stanno soffrendo». Elisa mi racconta quanto la comunicazione sia un elemento fondamentale in patologie di questo genere: anche frasi apparentemente banali possono fare la differenza in situazioni emotive e psicologiche già molto complesse.
«Questi disturbi hanno radici nelle emozioni, nelle aspettative. Si ha la sensazione di non essere visti, riconosciuti, amati, meritevoli. E proprio per questo gli affetti rivestono un ruolo centrale, che spesso non viene riconosciuto e gestito». Tra gli obiettivi che l’associazione Disturbi dei Comportamenti Alimentari aps di Elisa si è data, c’è proprio il supporto alle sfera familiare e, in generale, relazionale.
L’IDEA INNOVATIVA
Nel comprendere ciò che era mancato a lei come supporto, per capire quali strumenti e figure mancavano alla prassi di accompagnamento già previsto dall’Asl, Elisa ha identificato un nuovo ruolo, sino a oggi inesistente. «Vivevo quotidianamente una dinamica disfunzionale con i miei genitori, che era difficile da comprendere da sola, senza l’aiuto di nessuno». Elisa mi spiega infatti che un’ora alla settimana di terapia non le era sufficiente per scavare in fondo alle dinamiche che viveva tra le mura domestiche e, non essendo previsti percorsi per le famiglie coinvolte, nessun professionista dall’esterno poteva comprenderlo.
La figura professionale che ha previsto Elisa avrà proprio il compito di trascorrere del tempo con la famiglia con cui il richiedente vive e ascoltare e annotare tutti quei comportamenti disfunzionali delle relazioni a cui assiste, per poi riportare ai medici e terapeuti, tramite appositi strumenti, ciò a cui ha assistito. Un operatore dunque formato all’ascolto e non alla parola. Alla comprensione e lettura delle situazioni e non all’azione e alla diagnosi.
IL PROFILO DELL’OPERATORE
Le persone che saranno coinvolte in questo nuovo ruolo saranno selezionate in base a competenze empatiche e capacità di ascolto e di comprensione e verranno formate da psicoterapeuti, medici ed esperti di comunicazione e comportamenti umani. «Se avessi avuto questa figura in mio supporto, non mi sarei persa tutti questi anni di vita», mi dice Elisa. Poi continua: «Questo sarà il progetto pilota nazionale, ma sono già stata contattata dal Policlinico Gemelli di Roma, da medici abruzzesi e palermitani e dalla regione Liguria. L’hanno trovata una soluzione innovativa e vogliono approfondire per capire se e come sostenere e diffondere il modello».
IL FUTURO
Quando chiedo come vede la sua associazione fra qualche anno, Elisa mi racconta d’un fiato le idee su cui sta lavorando e che spera di vedere realizzate a breve. L’obiettivo alla base di tutti progetti che ha in mente è quello di contribuire a una maggior consapevolezza del tema di cui si occupa, in modo da riuscire a incidere in breve tempo sul numero delle persone soggette a disturbi alimentari. Ma non solo: vuole creare una rete in tutta Italia per mettere in collegamento le figure professionali e le loro conoscenze in questo ambito.
Inoltre sta lavorando a un sogno: istituire un laboratorio di interscambio, ovvero un luogo in cui vi sia integrazione di persone che necessitano di supporto fisico, psicologico e sociale di diverso genere, seguiti da figure mediche specializzate, ma anche da operatori che offrono attività e corsi. All’interno della struttura residenziale ha previsto anche un luogo per il ristoro in cui pazienti e familiari possono mangiare insieme, per condividere difficoltà e gioia dei progressi raggiunti.
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