6 Apr 2021

Voi esseri umani siete sempre di fretta, vi insegniamo noi la lentezza!

In questa nuova puntata della serie di approfondimenti curata dal progetto "Col resto di due", Sara e Sonia affrontano il problema del tempo, che sembra essere sempre troppo poco per noi esseri umani. Ma se, invece di trascinarli con noi in questa spirale di isterica frenesia, imparassimo dagli animali il valore della lentezza?

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L’espressione che più mi trovo a usare più spesso nell’ambito delle relazioni tra individui, anche e soprattutto di specie diversa, è “ci vuole tempo”. Tempo. Questa parola dai molti significati. “Non abbiamo tempo” diciamo quando le ore a disposizione durante la giornata sono le stesse: 24, per tutti. Quindi come viviamo il nostro tempo?

Le neuroscienze ci raccontano che nel cervello umano esistono due vie, chiamate alta e bassa, per la gestione degli stimoli che riceviamo dal mondo esterno. La via bassa è rapida, ci permette di agire velocemente a scapito di un sentire e di un pensare coscienti ed elaborati. La via alta si manifesta con azioni più discoste dalla situazione che le ha generate ma scelte attraverso pensieri ed emozioni coscienti.

Quando siamo nel vortice delle mille cose da fare ogni giorno usiamo prevalentemente la via bassa; scollegati da una elaborazione cosciente di come stiamo e di che effetto ci fa ciò che facciamo, corriamo sempre più il rischio di ritrovarci in esperienze non solo di pessima qualità, ma che sono molto lontane da ciò che vorremmo veramente. E in questo vortice, troppo spesso, trasciniamo chi ha minor capacità decisionale sulla propria vita: cani, gatti, cavalli, su cui riversiamo il nostro accumulo di pensieri ed emozioni inascoltati e inespressi. E allora, quel tempo fatto di tante cose, cosa costruisce veramente?

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Ci vuole tempo, ma è di cosa è fatto quel tempo a fare tutta la differenza. Un cucciolo cresce scoprendo il mondo, un individuo evolve attraverso relazioni che siano fonte di scoperta della sua stessa personalità. Molte persone mi dicono: “Sai, l’ho capito con l’esperienza”. E allora cosa ci vuole, tempo o esperienza? Forse un tempo di buona esperienza, fatta di presenze e di novità, di tatto e di olfatto, affinché il corpo sviluppi le strutture fisiologiche di cui è dotato e lo faccia in modo armonico.

Tutto questo ce lo insegna bene la natura: perché durante la gestazione una madre in attesa non deve dire al processo di sviluppo di quell’embrione che diventerà bambino o bambina cosa deve fare, una pianta di arancio non si chiederà come e quando fare le arance, consultando il meteo o chiedendosi cosa un’autorità, buona o cattiva che sia, si aspetta che faccia. La natura sa che ci sono dei tempi: quello del frutto e quello del gelo, quello dell’abbondanza e quello della scarsità. E in ogni cosa si adatta, collaborativa, flessibile, sé stessa e pur diversa.

Noi animali umani abbiamo dimenticato come vivere un tempo di qualità, a differenza degli animali non umani. Cosa significa per noi umani vivere il tempo oggi? Significa vivere un quotidiano scandito da impegni, scadenze, pause obbligate: un affannoso sforzo per appagare aspettative sociali. Sostenere i ritmi correnti sta diventando insostenibile: avvertiamo pressante la necessità di un crescente contatto con la natura, nella speranza, tra un impegno e l’altro, di rigenerare mente e corpo. Ma quanto durano gli effetti benefici che sperimentiamo nel verde? Perché, nonostante l’esigenza di allontanarci dagli ambienti antropici verso quelli naturali, non siamo più in grado di allentare la pressione fisica e psichica in modo da riconquistare un benessere appagante e duraturo?

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Oggi più che mai è imperativo assumerci la responsabilità di un cambiamento: la strada, infatti, non è trovare sollievo spendendo il nostro tempo nella natura, ma tornare a farne esperienza, ibridarci con lei, ricominciando ad esserne parte integrante, lasciandoci stupire come soggetti attivi. È altrettanto importante rendersi conto che rincorrere un benessere fittizio non ha implicazioni negative solo sulla nostra vita: ne ha, parimenti, su quella di altri esseri viventi.

Gli animali con cui condividiamo le giornate vengono trascinati nei nostri affanni e nei nostri egoismi: senza tener conto dei loro bisogni etologici, dei loro umori e dei loro desideri quali individui senzienti e consapevoli, li obblighiamo a conformarsi alle nostre necessità e alle nostre aspettative. Crediamo, tenendoli al sicuro in casa e ricoprendoli d’amore, di aver donato loro benessere. È davvero così?

Spogliandoli della possibilità di maturare e di esprimere la loro individualità nei tempi e nelle espressioni più aderenti alla natura cui appartengono, stiamo violentando la loro necessità di vivere un tempo appagante. Costretti ad aspettarci in casa, obbligati a “giocare” in qualche asilo cinofilo, spinti a donare amore a prescindere – pensiamo all’uso della pet-therapy in molti ambienti come scuole, carceri, ospedali –, li obblighiamo a vivere dentro sequenze temporali scandite dai nostri impegni e dalle nostre richieste. Li facciamo succubi dei nostri mutevoli stati d’animo, li costringiamo a un’educazione sociale che non appartiene alle loro dinamiche relazionali.

Eppure, nonostante tutto, i nostri animali continuano a vivere il loro tempo senza tradire i loro più intimi bisogni. Come ci riescono? Lo fanno dando spazio alla curiosità e all’avventura, vivendo ogni giorno nuove rappresentazioni di ciò che li circonda; dando spazio all’esplorazione con tutti i sensi di cui sono dotati; coltivando l’entusiasmo, le loro abilità comunicative, alimentando autentici legami sociali attraverso la condivisione di esperienze. Capacità ed esigenze che noi animali umani abbiamo trasformato in accessorie anziché vitali: obbligandoci a sostenere ritmi che non riconoscono più la nostra vera natura, stiamo obbligando gli animali che condividono il nostro tempo a non esprimere la loro.

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Se è pur vero che ogni giorno le sovrastrutture sociali che abbiamo creato ci determinano mostrandoci ad oggi incapaci di affrontare un incisivo cambio di direzione, è altrettanto vero che i nostri animali ci svelano che tornare a riconoscere, coltivare e vivere la nostra natura animale è l’unica strada da seguire per tornare a essere connessi con noi stessi e con l’ambiente che ci circonda, godendo di un autentico benessere.

Adesso sta a noi domandarci se abbiamo il coraggio di sacrificare una parte di tessuto sociale nel quale siamo rimasti imbrigliati, costantemente rivolti al profitto, alla competizione, intrappolati tra il desiderio di sentirsi socialmente riconosciuti e la paura di non esserlo. Fortunatamente, entrambe pensiamo che sia in atto un processo evolutivo a vantaggio del cambiamento di prospettive e, per questo, di un’Italia che Cambia.

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