Il conflitto: ecco come trasformarlo da nemico in alleato
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Nelle organizzazioni, spesso, temiamo il conflitto e decidiamo di nasconderlo sotto il tappeto finché non esplode. Eppure esiste un modo per gestirlo e per trasformarlo in un’occasione creativa e di generazione di idee. Da nemico può, in altri termini, diventare un prezioso alleato dei team. A partire da una consapevolezza: il conflitto è positivo se lo cogliamo come un’occasione per far dialogare punti di vista diversi.
Federica Colonna ha dialogato su questo argomento con Ilaria Magagna, facilitatrice e cofondatrice di TARA Facilitazione, che sulle nostre pagine si è già cimentata con il tema del conflitto nelle sue varie sfaccettature e che con il team di TARA sta portando avanti il ciclo di incontri TRAS-FORMAZIONI, che esplora il concetto di trasformazione applicato alle organizzazioni, siano esse aziende, associazioni o altri contesti in cui si lavora insieme.
FEDERICA: Il conflitto è inevitabile, gli atteggiamenti conflittuali no. La citazione di Laloux mi ha molto colpita durante il secondo incontro di TRAS-FORMAZIONI nel quale Ilaria ha guidato il gruppo dei partecipanti in un percorso di esplorazione del conflitto, a partire da una considerazione: percepito spesso come un problema, il conflitto può invece dimostrarsi una opportunità di generazione creativa. I partecipanti all’evento hanno compiuto le quattro tappe verso la scoperta e la condivisione di strumenti pratici per la gestione del conflitto partendo da osservazioni legate ai contesti concreti di lavoro. Ilaria, nella tua esperienza di facilitatrice, come si manifesta il conflitto nei team e come può essere affrontato?
ILARIA: Il conflitto fa parte della relazione umana, è inevitabile. Esso, infatti, ha a che vedere con la diversità: avviene quando due punti di vista differenti si incontrano o meglio dire si scontrano! Quelle che siamo abituati a vivere nelle nostre organizzazioni sono principalmente due vie, due modalità di approccio al conflitto: la negazione o l’esplosione. Nel primo caso il conflitto viene messo sotto il tappeto, si preferisce non affrontarlo con il rischio di ingigantirlo. Nel secondo caso il conflitto, ormai fuori controllo, esplode un po’ come una bomba, facendo morti e feriti intorno a sé. Esiste però una terza via ed è quella di esplorare il conflitto “navigandolo” per capire il messaggio che porta. La via dell’esplorazione del conflitto è possibile ed è, soprattutto, fruttuosa e generativa.
FEDERICA: La via dell’esplorazione del conflitto è molto stimolante perché richiede alle persone di affrontare qualcosa che di solito, invece, ci fa paura. L’atteggiamento evitante è l’esatto opposto del viaggio nel conflitto. Ma quali strumenti hanno a disposizione i team per esplorare il conflitto? O, in altri termini, in che modo i gruppi possono provare ad affrontare il conflitto per evitare che esploda lasciando vittime sul campo?
ILARIA: Sono tre gli aspetti fondamentali da considerare ed esplorare quando si decide di affrontare un conflitto in un team. Ognuno di questi tre ha un impatto da tener presente. Primo fra tutti la comunicazione. Essa è data da parola e ascolto. Quando parliamo proviamo a chiederci: “L’esperienza che io ho di questa cosa è la stessa che ha l’altro/a”? La domanda è già molto potente. La nostra tendenza è di dare per scontato che il nostro punto di vista sia l’unico possibile. Quando ascoltiamo invece proviamo a cambiare prospettiva per metterci nei panni dell’altro: iniziamo a separare le persone dal problema o, come sostiene la Comunicazione Non Violenta, dividiamo le posizioni dai bisogni. Spersonalizzare il conflitto è una delle chiavi per poterlo guardare come una risorsa.
Il rango o la posizione che un individuo occupa all’interno dell’organizzazione sono il secondo elemento. Pensateci: alcune posizioni hanno maggior possibilità di esprimersi e quindi maggior responsabilità nel decidere di dare voce o meno a un conflitto. E infine il terzo elemento, il più importante: la consapevolezza personale. Il lavoro su di sé è fondamentale. Per spiegare questo punto uso la metafora dell’iceberg: in un conflitto esiste la parte visibile che però è solo la punta dell’iceberg. Questa parte ha a che fare con le posizioni e le richieste. Poi c’è una parte sommersa, la più grande. Questa ha a che fare con i nostri bisogni, le aspettative, i valori personali. Più noi siamo consapevoli della parte invisibile che ci muove in un conflitto più possiamo portarlo fuori con cura e consapevolezza.
FEDERICA: L’esplorazione del conflitto richiede un grande lavoro personale, su di sé, e di gruppo. A un grande impegno, però, può corrispondere un beneficio altrettanto significativo. La disponibilità a indagare le ragioni profonde del conflitto, quella parte nascosta di cui parlavi, può infatti portare le organizzazioni ad evolvere, a trasformarsi e scoprire risorse e ricchezze già presenti nei team.
ILARIA: Il conflitto è una risorsa perché mi permette di far dialogare punti di vista differenti e far emergere nuove possibilità. Se ci pensiamo bene è il disaccordo che genera soluzioni più creative non il contrario. Da questo punto di vista il conflitto è un’opportunità. Ma solo se lo esploro. Solo se ne colgo il messaggio. Per Arnold Mindell, autore di “Essere nel fuoco”, il conflitto porta un messaggio al sistema, svelandolo io incontro l’oro. Così posso mettere in atto tutta una serie di cambiamenti e migliorie che permettono alla mia organizzazione di evolvere.
Individuare dove si genera il conflitto, in quale delle tre aree, permette al gruppo di focalizzare l’attenzione e di mirare gli interventi. Usiamo la metafora del triangolo: ogni vertice corrisponde a un aspetto fondamentale della vita di un team: processi, obiettivi, persone. Il conflitto spesso è lo specchio del malfunzionamento di uno di essi. Una partecipante a TRAS-FORMAZIONI ha raccontato di un conflitto molto forte nel suo team che ha portato a un ripensamento dei processi interni di tutta l’organizzazione. In questo caso il conflitto invece che essere distruttivo è stato trasformativo perché ha permesso all’organizzazione di evolvere e migliorarsi, portando beneficio a tutte e tutti.
FEDERICA: Le tue riflessioni e le proposte mi fanno pensare che sia necessario un ripensamento del conflitto profondo, come se dovessimo adottare uno sguardo inedito per guardarlo. Possiamo immaginare un nuovo paradigma culturale del conflitto. Ma quale è e su quali pilastri poggia?
ILARIA: Abbiamo bisogno di passare da un paradigma win-lose, cioè io vinco tu perdi, a uno win-win, in cui vinciamo entrambi. Per compiere il passaggio, come dice Marianella Sclavi, dobbiamo assumere che il punto di vista dell’altro è valido quanto il mio e che cercare di comprenderlo non significa rinunciare al mio punto di vista ma ampliare le possibilità. Le attitudini fondamentali in un conflitto diventano in questo caso curiosità, per esplorare il punto di vista diverso dal mio, e creatività, per scorgere la terza via in due dimensioni contrapposte.
In questo senso in un team la diversità, la divergenza di opinioni diventa ricchezza, qualcosa da accogliere piuttosto che qualcosa da allontanare, una possibilità per trovare soluzioni creative oltre che più inclusive e sostenibili nel tempo. Perchè ciò avvenga dobbiamo però essere disposti a fare un viaggio dentro il conflitto e ad attraversare tutte le fasi, anche quelle più faticose. Un po’ come abbiamo fatto coi/colle partecipanti a SOS Conflitto: per arrivare a trovare il tesoro nascosto nel conflitto devo prima ammettere che il conflitto c’è, prendere posizione e portare fuori il mio punto di vista e alla fine aprirmi all’ascolto per integrare il punto di vista dell’altro.
Il terzo appuntamento di TRAS-FORMAZIONI, che si terrà il 29 aprile, sarà dedicato alle riunioni felici. Come possiamo rendere più efficaci e partecipati i nostri processi? L’incontro avrà l’obiettivo di condividere pratiche e strumenti per farlo.
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