CO+: la sottile linea rossa che divide rigenerazione e gentrificazione
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Padova, Veneto - Le stazioni di tutte le città del mondo hanno caratteristiche simili e riconoscibili: sono luoghi di transito a scorrimento rapido, nodi nevralgici che si espandono senza controllo in miliardi di terminazioni diverse e che apparentemente si mischiano senza un ordine. Così calpestano la stessa banchina il ricco e il povero, gli studenti e i pensionati, manager con laptop sottili come un foglio di carta e persone che portano sulle spalle tutto quello che possiedono.
Contraddizioni che esplodono sotto la colonna sonora che annuncia arrivi, partenze e molto spesso ritardi. Potremmo definirli come dei “non luoghi”, il prodotto urbano di logiche globali e sì, è vero, le zone delle stazioni sono cartine di tornasole che riassumono il funzionamento più ampio delle aree urbane, raggruppando in uno spazio ristretto le criticità proprie della società contemporanea.
È vero anche che proprio in questi non luoghi si concentra una densità umana eterogenea e diversa, uno spaccato di resilienza che si pone suo malgrado come ostacolo al fenomeno della gentrification. Spesso sono anche le aree dove vengono sperimentate in nome della sicurezza dispositivi di controllo che colpiscono le fasce più fragili della popolazione.
CO+ Coworking nasce nel 2014 dalla spinta di un gruppo di professionisti, molti dei quali ricercatori universitari specializzati in diverse discipline ma tutti accomunati da uno spiccato interesse per il tema della rigenerazione urbana. Tutti loro vedono nello sviluppo di pratiche sociali dal basso il motore primario per attivare il processo di rigenerazione.
CO+ non è mai stato quindi un semplice coworking: è anche, soprattutto, un incubatore di innovazione sociale, uno spazio di discussione e di contaminazione nel quale far nascere e prendersi cura di progetti e percorsi. Ci muoviamo quindi sul sottile confine che intercorre tra la rigenerazione e la gentrificazione. Il rischio di operare in buona fede su un territorio e di contribuire allo spostamento delle problematiche sociali che lo attraversano è sempre dietro l’angolo.
«Piazza Gasparotto in quegli anni era un luogo di consumo – spiega Elena, dello staff di CO+ –, le persone ci venivano apposta da altre zone per acquistare e usare sostanze, molto più di quanto non accada ora. Abbiamo deciso di aprire il coworking in questa piazza proprio perché ci sembrava interessante agire su uno spazio urbano così particolare per caratteristiche e posizione strategica».
Nel 2016 l’associazione ha vinto il bando Culturability e grazie a quei fondi sono state lanciate diverse iniziative di rigenerazione urbana realizzate con le abitanti e gli abitanti del quartiere a fronte di un percorso di progettazione partecipata, come la costruzione di una grande struttura in legno pensata per avere molteplici funzioni, tra le quali quella di fungere da illuminazione notturna per la piazza, « ma anche – ricorda Elena – come una grande lanterna che allo stesso tempo fosse utilizzabile alla stregua di un palco. Moltissime persone hanno partecipato al progetto ed è stato davvero un momento di grande slancio collettivo, lo stesso che ha attivato poi altri percorsi come il Gasparorto e il teatro di comunità».
CO+ ha avuto il merito aprire la strada in città, anticipando con delle proposte pratiche e concrete il dibattito sulla rigenerazione urbana che da lì a qualche anno sarebbe diventato un tema molto discusso e partecipato e che avrebbe coinvolto l’amministrazione e le realtà sociali a più livelli. La zona della Stazione a Padova sembra il precipitato urbano delle contraddizioni socioeconomiche del nostro tempo ed è difficile considerarla un vero e proprio quartiere dal momento che mancano quegli spazi di socialità che permettono agli abitanti di un luogo di incontrarsi e condividere anche senza conoscersi.
L’eterogeneità della popolazione che vive questa parte di città è incredibile e, se vista da altre prospettive e in un’ottica di inclusività e riconoscimento reciproco, è anche una risorsa potenzialmente infinita di possibili azioni volte al cambiamento per tutte e tutti. Negli anni sono stati numerosi i tentativi di attivare processi di comunità animati prima di tutto dalla necessità di decostruire i pregiudizi e i preconcetti che caratterizzano alcune narrazioni particolarmente nocive che contribuiscono ad alimentare i confitti sociali già esistenti.
«Fin dalle prime fasi del progetto – riprende Elena – abbiamo vissuto momenti di grandissimo slancio ed entusiasmo, periodi fertili in cui abbiamo avuto davvero la percezione che le cose potessero cambiare e che da quella prima esperienza potessero nascerne altre semplicemente creando le condizioni affinché le persone si incontrassero intorno a un’idea. Mettendo insieme competenze e percorsi diversi volevamo e vogliamo ancora costruire un orizzonte per piazza Gasparotto, ma non solo. L’area della Stazione si merita di essere ripensata nel suo insieme. Durante questi anni abbiamo vissuto anche periodi di grande frustrazione e scoraggiamento, a volte ci siamo chiesti: “Ma perché lo facciamo se è così difficile?!”».
Dalle difficoltà tuttavia, spesso si imparano le lezioni migliori e sembra che sia proprio quello che sta accadendo nel quartiere Stazione. A volte il germogliare di scelte politiche coraggiose è un processo che parte dal basso e che spinge per farsi strada con gentilezza tra le crepe dei muri che si vuole abbattere.
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