30 Apr 2021

Gli asili nel bosco sono una minaccia alla scuola pubblica?

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
Intervista di: DANIEL TAROZZI E ANDREA DEGL'INNOCENTI

Danilo Casertano, educatore esperto di outdoor, risponde alle accuse di cui recentemente sono stati vittima gli asili nel bosco e le esperienze educative alternative italiane, ritenuti da alcuni una minaccia per le istituzioni pubbliche e per un accesso plurale e senza distinzioni all'offerta scolastica.

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Recentemente sono usciti alcuni articoli, due in particolare, che attaccano in maniera diretta e senza tanti fronzoli il modello educativo degli asili nel bosco. Il primo dei due, più lungo e argomentato, è scritto da Christian Raimo – intellettuale romano piuttosto noto, scrittore e giornalista – sulla rivista Jacobin Italia. L’altro è firmato da Angela Pavesi e Michele Dal Lago sulla webzine romana Dinamo Press.

Fatto sta che i due articoli seguono un copione piuttosto simile e accusano le scuole nel bosco, del mare e più in generale l’educazione outdoor di diverse nefandezze, fra cui la principale è di costituire una minaccia per la scuola pubblica e di essere fautrici di un modello neoliberale fatto di nicchie educative guidate dal mercato.

Negli articoli vengono fatti più volte nomi e cognomi. Uno dei principali imputati è una conoscenza di lunga data di Italia che Cambia, Danilo Casertano, maestro di strada, educatore outdoor, fra i fondatori dell’Asilo nel bosco di Ostia e della Scuola nel bosco e del mare nonché uno degli esperti intervistati all’interno del nostro ultimo libro “Il bene e il male esistono?“, edito da Amrita Edizioni. Come non dargli un diritto di replica?

da asilo nel bosco educazione aperto felicita outdoor 3

Nell’articolo vengono mosse accuse molto esplicite e dirette verso il tuo (e non solo tuo) lavoro. La principale è che il proliferare degli asili nel bosco sarebbe un pericolo per la scuola pubblica. Cosa ne pensi?

Vedi, la cosa assurda di tutta questa vicenda è che io diverse cose dell’articolo di Raimo le condivido. Ad esempio: non credo che gli asili nel bosco siano la soluzione al problema dell’educazione in Italia, allo stesso modo in cui non credo che l’autoproduzione sia la soluzione ai problemi della filiera alimentare o gli ecovillaggi al problema dell’insostenibilità delle città. Sono, piuttosto, dei sintomi. Di fronte ai quali puoi fare due cose, interpretarli o reprimerli. Negli articoli in questione si tende a reprimerli. In quelle pubblicazioni ci si scaglia contro il sintomo invece di leggerlo. Invece di chiedersi perché tante famiglie non hanno più fiducia nella scuola statale, e preferiscono mandare i propri figli all’asilo nel bosco, si fa un elogio aprioristico della scuola pubblica. Ma, se si guarda con attenzione, sono tanti i sintomi che dovremmo cogliere e che ci dicono che la scuola statale è in crisi profonda. Ad esempio quello dell’abbandono scolastico.

Qual è il problema che sta sotto a questi che definisci sintomi?

Il problema è che in questo sistema non viene garantito il pluralismo culturale di metodo e le molte persone che vogliono qualcosa di radicale, che non si accontentano, si autorganizzano. Ma sono reazioni a un sistema che è reazionario, che non cambia. Un sistema dove l’insegnante non è obbligato ad aggiornarsi, né può essere valutato da nessuno, a cui si accede tramite concorso senza essere scelti e ciò rende impossibile lavorare sulla visione. Un sistema in cui si parla da anni di partecipazione, del rinnovo dei decreti delegati (i decreti che regolano le rappresentanze di studenti e genitori all’interno della scuola, ndr) senza giungere a niente. Parliamo di un baraccone veramente enorme, con oltre un milione di dipendenti, un terzo di tutta la pubblica amministrazione: è un elefante in una cristalleria. Che invece di cambiare, pensa solo a proteggersi.

In che senso?

Se ci fai caso, il dibattito sulla scuola è molto autoreferenziale. Si discute sul ruolo dei precari, sulle assunzioni, sul concorso, sul contratto, che sono tutte cose importantissime, ma non riguardano la visione. La persona che cerca una visione diversa per il proprio figlio, per il proprio futuro, non trova alcun riscontro in questo tipo di comunicazione. Non mi dà un orizzonte di senso e significato. E perciò torniamo al discorso di prima: nascono fenomeni come l’asilo nel bosco, che non sono la soluzione al problema, ma sono altri sintomi che il sistema non riesce a cambiare alla velocità e alla radicalità di cui c’è bisogno.

danilo casertano istituto modena 1
Danilo Casertano (al centro) durante il nostro tour nella Scuola Che Cambia

Gli articoli sostengono che sia una risposta elitaria.

In parte lo è. In parte è un’élite socio-economica-culturale a fare questa scelta. Però non è che il Tasso (storico Liceo classico statale di Roma, ndr) per me sia diverso. Questa è soltanto un po’ più freak, più strana. E dà fastidio a delle élite che nascano altre élite, questo pure è il tema. Ad ogni modo, è anche vero che poi diversi di questi esperimenti falliscono, perché manca loro una cornice di senso più ampia.

Qual è la tua idea di scuola?

Credo che si debba far uscire l’elefante dalla cristalleria. Perciò io insisto sulla outdoor education nella scuola pubblica. Dobbiamo aumentare lo spazio, andando verso il digitale, verso l’integrazione con il terzo settore, verso i patti di comunità. Outdoor non è solo il bosco, il mare, è anche la città. Significa, semplicemente, vivere di più il proprio contesto, interagirci. Il mio obiettivo non è fare l’asilo nel bosco, è cambiare la scuola pubblica. Tanto è vero che andrebbe spiegato a chi ha scritto gli articoli che il 90% del mio tempo lo spendo a fare il formatore per scuole statali, per comuni e per cooperative. E che ho iniziato da esperienze di nicchia perché nel pubblico le mie idee non le ascoltava nessuno.

Il Bene e il Male esistono?
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Parli spesso di scuola pubblica, non statale. Che differenza c’è?

È un punto centrale, su cui anche Raimo fa confusione. Un bene è pubblico quando è accessibile a tutti. Ma una scuola pubblica può anche essere non statale. Ti faccio un esempio: in Toscana tanti servizi di asili nido sono appaltati alle cooperative, che sono soggetti di diritto privato. Molte di queste cooperative fanno un buon lavoro, anche perché il pubblico in quel caso fa un’operazione di controllo. Se poi vogliamo fare un passo ulteriore, possiamo introdurre il concetto di bene comune, che va oltre la dicotomia pubblico-privato. E ti posso dire che le esperienze migliori che ho incontrato girando per l’Italia sono quelle che hanno messo al centro il concetto di scuola come bene comune.

C’è un passaggio, inserito nell’articolo di Raimo, in cui parli di eliminare la scuola dell’obbligo.

Quello è uno dei passaggi che mi ha dato più fastidio, perché è sleale. Si estrapola solo un pezzetto. Parto facendo una provocazione ma poi dico, alla fine del ragionamento, che la parola “obbligo” non mi piace e voglio una scuola del desiderio. E rivendico questa idea. Io sono assolutamente convinto che questo sia l’obiettivo. In questo secolo, in questo millennio, non possiamo continuare a pensare che l’obiettivo debba essere obbligare le persone a fare le cose, convinti che loro da sole non si sappiano regolare e che quindi vadano costrette. Questo a me terrorizza, lo trovo un fallimento. Che però deriva anche, probabilmente, da un’impostazione della scuola che ti obbliga a fare le cose e ti punisce quando sbagli, sanzionandoti. E lo stesso succede con il lavoro, per certi aspetti. Non c’è una promozione dell’autoresponsabilità.

Veniamo a una questione più complessa: la libertà educativa. Secondo l’articolo pubblicato su Dinamo Press, la scuola pubblica è stata una conquista nell’ottica dell’emancipazione del bambino dal genitore, nel senso che viene garantita a tutti lo stesso tipo di istruzione indipendentemente dalla famiglia di origine.

Sono d’accordo. Sono assolutamente d’accordo che sia una conquista. Però, a una condizione: che la scuola pubblica si faccia carico allo stesso tempo di gestire la relazione con i genitori.

scuola mare bosco

Cosa intendi?

Ti spiego: ci sono degli aspetti che sono imprescindibili, che sono la cura fisica, emotiva e sentimentale del bambino. Se la scuola garantisce questi aspetti e li trasmette anche al genitore, poi può anche permettersi di dire cose scomode. Perché alla base c’è un rapporto di fiducia. Quello che succede spesso invece è un rapporto di forza del tipo “io che ho studiato so che cosa è meglio per tuo figlio”. Allora togliamoglielo a questo punto il figlio, facciamo prima! In questo senso ho trovato la scuola a volte presuntuosa, perché non accoglie il genitore nella sua dimensione educante. Questo è un pezzo di pedagogia importante, si chiama pedagogia dei genitori, ovvero imparare ad accogliere i valori delle famiglie. E a volte è difficile, eh! Oggi ci sono valori, per esempio, di alcune frange del mondo musulmano che in alcuni casi hanno una visione della donna molto chiusa. Ovvio che non possiamo assecondare il genitore nel non parlare con una maestra perché è femmina, ma se c’è una relazione umana, di fiducia alla base, io riesco a fargliela capire questa cosa senza farlo sentire giudicato. La dimensione per cui io ti costringo a fare quello che penso che sia giusto deve essere considerata l’extrema ratio. Non può essere una cosa normale obbligare il genitore a essere altro.

Anche perché in quel modo non si genera cambiamento culturale, ma conflitto, giusto?

Esattamente. E quindi quello che succede è che se tu non mi accogli, poi io in qualche modo mi arrangio e mi faccio la mia scuola. La mia esperienza di tutti questi anni mi dice che determinati impulsi scissionisti rispetto al sistema nascono quando nella realtà della comunità mancano situazioni che accolgono la diversità. Altrimenti queste spinte restano marginali. Dipende molto dai contesti. In Veneto, dove sono abituati culturalmente a risolversi i problemi da soli, ci sono tantissime realtà autorganizzate. Mentre in Emilia Romagna, dove c’è un controllo forte da parte dell’autorità, ma anche un’offerta formativa mediamente molto alta e di qualità, le spinte “scissioniste” sono poche. L’Emilia Romagna ha molto istituzionalizzato tutto lo scenario outdoor, l’ha portato dentro. Ha fornito un’alternativa.

In definitiva, cosa rispondi a chi ti ha criticato così duramente?

Che non mi conoscono e lo si capisce chiaramente dagli articoli. Se prima di scrivere avessero alzato il telefono per chiedere la mia opinione sulle cose che hanno scritto si sarebbero accorti, come dicevo all’inizio, che su diverse cose siamo persino d’accordo. Mi piacerebbe dialogare, mettere un logos nel diametro delle nostre posizioni. Non mi piace la polemica, mi piacerebbe, davanti ad un bicchiere di vino, parlare, conoscersi e cercare delle strade da percorrere insieme. Se poi non trovassimo niente in comune almeno ci avremmo provato e avremmo condiviso almeno un po’di spirito diVino.

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