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Costruire adulti di domani che sappiano recuperare il rapporto con l’ecosistema di cui siamo parte perché cresciuti fianco a fianco con esso. È questo l’obiettivo di coloro che, a vario titolo, si occupano di educazione all’aria aperta. Uno di loro è Davide Fattori, che da diversi anni sta dando, insieme alla cooperativa Canalescuola, un contributo importante alla diffusione di questo modello educativo e pedagogico improntato sulla consapevolezza, sulla naturalità e sulla libertà d’espressione.
Com’è nata la Rete di Scuole nel Bosco di Canalescuola e cosa la caratterizza?
Dopo aver aperto la Scuola nel Bosco di Verona per bambini dai 3 ai 6 anni attraverso la cooperativa Canalescuola, ente formatore riconosciuto dal MIUR, io e la mia collega siamo stati contattati da varie realtà interessate ad avviare progetti di educazione in natura. È nata così la prima Rete italiana di Scuole nel Bosco e assieme ad essa la voglia di supportarci, confrontarci e crescere insieme a livello professionale. La cosa interessante di questa rete è che tutte le scuole nel bosco aderenti seguono lo stesso progetto, alla base c’è un lavoro di equipe. Siamo circa sessanta persone, perlopiù professionisti dell’educazione – educatori, maestri e pedagoghi –, ma c’è anche chi ha alle spalle lauree in biologia o in scienze forestali.
Nel primo anno abbiamo condensato i tanti saperi provenienti dalla nostra esperienza professionale, mentre dagli anni successivi abbiamo impostato una formazione che ci garantisse un linguaggio comune sugli elementi caratteristici del nostro progetto – l’uso del bosco, il gioco libero, l’apprendimento incidentale, il lavoro con i genitori, la crescita personale attraverso la formazione – prestando attenzione anche all’utilizzo dell’ambiente esterno, con corsi di meteorologia e di scouting.
Come rispondono i bambini alla vostra proposta formativa?
Siamo coscienti che i progetti pedagogici vanno verificati dopo 20-25 anni, quindi stiamo ancora lavorando con calma, aspettando il momento in cui potremmo fare anche un’analisi del progetto educativo. Detto questo, ciò che abbiamo osservato in questi primi cinque anni lascia ben sperare. Le maestre delle scuole primarie dove i bambini dell’asilo nel bosco poi si iscrivono, riportano che si tratta di bambini con buone capacità di dialogo, di confronto e, pur arrivando a scuola senza aver fatto quel percorso di pre-scrittura, pre-lettura e pre-calcolo che viene solitamente proposto nelle scuole tradizionali, messi di fronte al simbolo sono molto veloci nell’apprendimento e dimostrano spesso capacità di risoluzione dei problemi, creatività e voglia di raccontare.
Sono inoltre bambini con un buon livello di consapevolezza di sé, delle proprie energie e che hanno maturato una sensibilità nei confronti della natura. Questo, in particolare, ci sta a cuore perché il nostro grande obiettivo è far sì che i bambini e le bambine con cui lavoriamo oggi possano diventare un domani uomini e donne capaci di vivere in modo più equilibrato e funzionale il rapporto con la natura.
Quali state le sfide dell’educare in natura?
Una limitazione fisica e concreta che si può presentare quando si vuole avviare una scuola nel bosco è la difficoltà a individuare un bosco adatto ad accogliere una scuola. La sfida più grande, tuttavia, è data da alcune convinzioni ancora ben presenti nella nostra società, ovvero che a stare all’aperto non si impara niente, che ci si affatica troppo o che magari ci si ammala di più. Quando però riusciamo a far fare quest’esperienza ai bambini, anche solo un giorno o in una settimana d’estate, le famiglie restano spesse sorprese dal cambiamento che opera in loro e decidono di portarli ancora.
È bello vedere come i genitori cambiano di fronte a dei bambini che stanno bene, che li accolgono con le guance arrossate, divertiti e pieni di vita. Per loro – i genitori – la sfida è invece costituita dal fatto che l’asilo nel bosco richiede molto più impegno rispetto a una scuola tradizionale. Innanzitutto una caratteristica del nostro progetto è che noi proponiamo solo la mattina, perché sappiamo che a quell’età i bambini hanno l’energia necessaria per stare al di fuori dal nido e dalla famiglia solo per alcune ore, oltre le quali entrerebbero in sofferenza. C’è poi da parte nostra un coinvolgimento dei genitori sugli aspetti educativi, con incontri a cadenza mensile. Infine, ogni giorno i genitori trovano i bambini sporchi, talvolta infangati e li devono “rimettere a nuovo” assieme ai loro vestiti e agli stivali. Queste a parte, non abbiamo riscontrato a oggi altre difficoltà. Ciò che dà fluidità al lavoro è trovare delle persone sufficientemente preparate a vivere l’educazione sapendo i bisogni dei bambini e capaci di vivere l’ambiente esterno, osservando, interpretando i segni della natura, piante, animali, clima.
Quali programmi avete per il futuro?
Il 9 e il 10 aprile saremo presenti al convegno di Erickson sui modelli alternativi di scuole per l’infanzia, dedicato principalmente a insegnanti, educatori, pedagogisti e altri professionisti che lavorano con i bambini nella fascia dai 3 ai 6 anni. Da un paio d’anni, inoltre, prendiamo parte al convegno internazionale Educazione Terra Natura di Bressanone e speriamo di ripetere l’esperienza anche quest’anno. Confrontarci su una dimensione scientifica, in generale, per noi è molto prezioso. L’outdoor education infatti è ancora una novità nel panorama educativo e il rischio è quello di scadere nella logica della moda. Ma l’educazione non deve esserlo ed è nostra intenzione coltivare con cura e attenzione il modello pedagogico che stiamo sperimentando, lavorando anche a delle pubblicazioni.
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