Macchia Mediterranea: custodirla è necessario per salvare la biodiversità
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La Macchia Mediterranea è uno dei maggiori ecosistemi naturali che contraddistinguono l’area del Mediterraneo – e non solo – compresa l’Italia e la Sicilia in particolare. Conoscerla, preservarla e tutelarla sarebbe un dovere di tutti noi. Per conoscere al meglio uno dei progetti più autorevoli in materia di salvaguardia di questo prezioso ecosistema, abbiamo intervistato il prof. Vincenzo Piccione, uno dei sette promotori del Progetto Comuni Custodi della Macchia Mediterranea, già docente dell’Ateneo catanese, da sempre impegnato nella sua attività professionale di geobotanico e ricercatore sui temi dei cambiamenti climatici e del rischio desertificazione.
Professor Piccione, com’è nato il progetto?
L’idea maturò a seguito dell’incontro sul tema della Macchia Mediterranea svoltosi a Caltagirone il 22 novembre del 2013 presso l’Istituto C. A. Dalla Chiesa con la Lectio Magistralis del prof. Francesco Maria Raimondo. Eravamo presenti 5 dei 7 futuri promotori del progetto.
A proposito chi sono i promotori?
Glieli cito in ordine alfabetico. Il prof. Aurelio Angelini, docente dell’Università Kore di Enna, l’ing. Francesco Cancellieri, Presidente della Associazione Centro di Educazione Ambientale di Messina, il prof. Renato Carella, Presidente dell’Associazione di Volontariato Ambientale “Ramarro Sicilia”, il prof. Giuseppe Lo Paro, docente dell’Università di Messina, il prof. Francesco Maria Raimondo, già docente dell’Università di Palermo e già presidente della Società Botanica Italiana, il dr. Salvatore Scuto, già Dirigente dell’Assessorato Regionale BB. CC. AA. e, infine, il sottoscritto, già docente dell’Università di Catania e oggi membro del Comitato Scientifico dell’IRSSAT.
Con quali finalità?
Decidemmo di avviare un Percorso di Educazione Ambientale mirato a sensibilizzare Istituzioni e cittadini alla Tutela della Macchia Mediterranea. La necessità – particolarmente sentita in Sicilia – era quella di attuare una selvicoltura di prevenzione finalizzata a fermare lo sfruttamento antropico, il contrasto degli incendi, prevalentemente dolosi e gli abusi legati al pascolo intensivo e continuato.
Perché si rivolge ai comuni?
Il positivo riscontro ottenuto in meno di tre anni presso cittadini, enti privati e pubblici, ci fece maturare l’idea di intestare ai Comuni un impegno di Informazione, Comunicazione, Educazione e Tutela della Macchia Mediterranea in quanto ritenevamo prematuro coinvolgere da subito la Regione.
Perché avete etichettato il progetto Carta dei Comuni Custodi della Macchia Mediterranea?
Noi riteniamo che l’Educazione Ambientale di un popolo si giudichi dal rispetto della Casa Comune. I Comuni che intendono diventare Custodi della Macchia Mediterranea devono firmare un documento – la “CARTA” – con la quale si impegnano in azioni finalizzate al perseguimento di un processo educativo dei propri cittadini. Informare è uno dei fondamenti di una società democratica e scolarizzata in cui ogni cittadino è partecipe delle decisioni che lo riguardano. Si impegnano, altresì, a custodire la Macchia Mediterranea dimostrando di conoscerne il valore per meritarne la tutela.
I Comuni firmatari della Carta diventano Custodi della Macchia Mediterranea e si impegnano moralmente e con risorse umane e finanziarie da reperire, a elaborare programmi condivisi di azioni finalizzate al perseguimento di tale obiettivo. Così è nato un movimento di elaborazione e confronto sul tema, con incontri nelle Università di Catania, Messina, Palermo e altre sedi messe a disposizione in vari Comuni siciliani. Il 28 novembre 2019 abbiamo ottenuto l’attenzione della Regione – Deliberazione n. 420 “Valorizzazione e tutela della Macchia Mediterranea – con l’istituzione della ‘Giornata della Macchia Mediterranea’.
Mi sembra di cogliere dalle sue parole che la Macchia Mediterranea sia una formazione vegetale strategica. Le chiedo di approfondire questo concetto.
La Macchia Mediterranea è presente in tutti i paesi che si affacciano sul mar Mediterraneo (Sud Europa, Nord Africa e Medio Oriente). Aspetti fisionomici e strutturali simili si hanno anche in Sud Africa, in California, in Cile centrale e in Australia meridionale. In California è chiamata chaparral, in Australia meridionale mallee, una boscaglia semiarida, in Cile matorral, dove vivono piccoli mammiferi come il degu, un roditore grosso come un topo. In Italia la macchia ospita un rilevante patrimonio floristico, vegetazionale e faunistico, fra i più ricchi di biodiversità del Mediterraneo. La Macchia Mediterranea in Sicilia è articolata in 8 tipologie e si estende per 110.000 ettari, ossia il 21% della superficie forestale (Rapporto Stato Foreste Sicilia, 2010). Si tratta della cenosi vegetale più rappresentativa della nostra regione.
Quali sono i rischi che maggiormente corre la Macchia Mediterranea?
Di certo subisce un’aggressione da parte degli animali addomesticati dall’uomo. In particolare le capre, che hanno un’alimentazione poco specializzata e si nutrono indifferentemente di ogni tipo di vegetazione in quanto hanno bisogno di poca acqua e riescono ad arrampicarsi agevolmente per raggiungere il cibo. Gli agricoltori, non preparando per tempo riserve di foraggio nella stagione secca, fanno pascolare il bestiame anche quando le piante sono nel momento della crescita, con il risultato di produrre una vegetazione povera e rada. Anche il turismo esercita pressioni sull’ambiente con perdita di habitat, con riduzione delle popolazioni di fauna e flora e, in conseguenza, della biodiversità. La Macchia Mediterranea rappresenta l’identità culturale dei popoli mediterranei, oggi a rischio per il difficile rapporto con le attività umane e l’accresciuta invasività delle specie aliene dovute alla presenza dell’uomo.
Quanto alla desertificazione, che consiste nella progressiva riduzione dello strato superficiale del suolo e della sua capacità di supportare la vegetazione, le principali cause sono i cambiamenti climatici, la distruzione dei boschi e delle vegetazioni legnose, come la macchia, nonché le pratiche agricole intensive e il dissesto idrogeologico. Una delle principali cause di inaridimento del suolo è causata dal sovrapascolo – un’attività superiore a quella che l’area potrebbe sostenere – e dalla ricorrenza del fuoco. In Sicilia dove il clima estivo è arido e secco, il fenomeno degli incendi è frequente. La vegetazione è caratterizzata da molte specie vegetali abbastanza resistenti al fuoco – come eriche, corbezzolo, sughera – o con una germinazione favorita dal passaggio del fuoco o con una buona velocità di ripresa vegetativa dopo un incendio, ad esempio il leccio. Tuttavia, la frequenza degli incendi è in aumento. Le tecniche di lotta agli incendi sono migliorate negli ultimi decenni e sono aumentate le risorse finanziarie destinate a questo scopo; ma l’incidenza e l’estensione degli incendi sono ancora elevate. Quando non sono dolosi, gli incendi sono usati dalle popolazioni rurali per produrre foraggi freschi e teneri per il bestiame, nonostante il valore nutrizionale di tali alimenti sia scarso.
Vorrei che lei facesse un ulteriore approfondimento sul rischio incendi, essendo un tema drammatico della nostra regione.
È notorio che gli incendi sono prevalentemente dolosi, si raggiungono punte del 95%. Non riesco ad accettare che nel 2021 non si possa eradicare un fenomeno così grave. Lancio un sasso nello stagno. Con il progetto Copernicus sono stati messi in orbita satelliti – Sentinel – che mettono a disposizione dati preziosi e non a titolo oneroso. Chi appicca i fuochi lo fa scientificamente rispettando fasce orarie, venti favorevoli, temperature, siccità e aridità note, non ultimo scegliendo luoghi non facilmente accessibili. Non posso accettare che gli uomini intelligenti stiano solo dalla parte del male.
Dalle sue parole si evince che, fra i tanti rischi, c’è anche la desertificazione. Un tema oggetto delle sue trentennali ricerche. Quale rischio corre la Macchia Mediterranea?
La Sicilia è ricca di studi del rischio desertificazione con restituzioni cartografiche. Nel 2009 con il mio team pubblicai uno studio del rischio desertificazione della Sicilia, con restituzione cartografica bi-temporale. Due scenari di rischio, rispettivamente prima e seconda metà del secolo scorso. Il miglioramento che la Sicilia ha registrato, passando dal primo alla seconda metà del XX secolo, è dovuto principalmente ad azioni riuscite di riforestazione, alla riduzione del pascolo abusivo, all’istituzione di parchi e riserve, al ritorno della naturalità in territori abbandonati. Sono in corso, con risultati promettenti, ai fini di possibili applicazioni nel campo della manutenzione del territorio, studi dedicati alla risposta mitigativa del rischio desertificazione nei territori interessati da parchi regionali, da varie formazioni boschive e, ovviamente, dalla Macchia Mediterranea.
Approfitto della sua competenza sul rischio desertificazione in Sicilia per porle alcune domande. Corriamo un rischio elevato?
Non sono l’unico ad affermarlo, ma lo attestano tutti gli studi che sono stati condotti negli ultimi vent’anni e anche il Consiglio Nazionale delle Ricerche quando, in occasione dell’EXPO 2015, annunciò le percentuali di territorio a rischio desertificazione in Italia. Il 41% dell’Italia meridionale è a rischio, con alcune regioni al di sopra del 50%; la Sicilia registra il valore più elevato in assoluto, il 70%. La desertificazione è un processo inarrestabile e quindi ciò che riscontriamo in un dato momento non necessariamente si conserva negli anni avvenire. Questo rende ancora più grave lo scenario.
Quale futuro ci attende?
Il futuro che ci attende è subordinato a due incognite. Come si evolverà il clima al centro del Mediterraneo area fra le più critiche e studiate del pianeta? Chi è preposto al governo del nostro territorio intende impegnare risorse per mitigare il fenomeno? Teoricamente sì in quanto a fine anno 2020 la regione si è dotata di un piano d’azione e di un comitato scientifico. Negli anni a venire vedremo se tutto rimarrà lettera morta. Spero di essere smentito.
Possiamo mitigare il rischio?
Ovviamente sì. Gli interventi sul territorio possono peraltro beneficiare di un alto grado di conoscenze frutto di banche di dati georiferiti. Conoscendo i fattori predisponenti, il rischio e l’entità si può intervenire sul territorio in modo chirurgico e monitorare se l’evento ha avuto successo, in quanto tempo e con quali costi.
Un’ultima domanda a chi ha speso una vita per gli studi ambientali. Che futuro intravede per il pianeta e, in particolare, per la terra di Sicilia?
Per quanto lavori sui rischi ambientali mi reputo una persona dotata di ottimismo. Gli insetti sociali – api, termiti e formiche – ci insegnano che singolarmente sono poco dotate ma nel momento in cui cooperano, all’interno delle loro rispettive comunità, dimostrano una spiccata intelligenza. Prendiamo esempio da loro. E che dire della Natura. Chernobyl da ambiente desertificato dall’uomo, in poco più di trent’anni è ritornato a essere abitato persino dai mammiferi. Ebbene credo che 7,5 miliardi di teste cooperanti possano fare tanto per il nostro Pianeta. In Sicilia siamo appena 5 milioni ma conosco tante belle menti pensanti. Mi preoccupano solo i politici.
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