Casetta Borgomagno: vinciamo il degrado dando un tetto a chi non ce l’ha
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Padova, Veneto - Casetta Borgomagno è spazio speciale che si trova accanto alla Stazione di Padova. È un luogo di accoglienza che vuole offrire una soluzione a coloro che non possono soddisfare una delle necessità fondamentali per sopravvivere: avere un tetto sopra la testa. La Casetta, gestita dal 2019 dalla cooperativa sociale Coges don Milani, affronta le problematiche dei senza fissa dimora, che spesso si intersecano con quelle legate alla tossicodipendenza e allo spaccio. In questa zona del capoluogo veneto, la situazione si è aggravata quando i servizi dei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) si sono ridotti, facendo finire in strada molti ragazzi richiedenti protezione internazionale.
«Lavorando sul campo ci rendiamo conto delle difficoltà nel far fronte a una situazione molto complessa – spiegano Chiara e Viviana, operatrici di Casetta Borgomagno –, aggravata dalle politiche migratorie nazionali che hanno avuto una ricaduta a livello territoriale. Sicuramente sarebbero necessarie più risorse per riuscire a lavorare in modo ancora più efficace e funzionale e uscire dalla logica emergenziale, che ha una doppia ricaduta psicologica sia su noi lavoratori, sia sugli utenti».
Negli ultimi tre anni è stato portato avanti un intenso lavoro di implementazione dei servizi nonostante la difficoltà della situazione e sono stati attivati, in collaborazione con l’amministrazione comunale, uno sportello psicologico-sanitario e uno sportello di orientamento al lavoro, che si vanno ad aggiungere all’unità di strada, al servizio docce e all’accoglienza invernale. Il progetto di Casetta Borgomagno offre una prospettiva sul cuore del problema, un punto di osservazione strategico che permette di analizzare l’intreccio delle problematiche che attraversano il quartiere con uno strumento in più: essere il primo che le persone incontrano arrivando in città.
Gli utenti sono quasi tutti uomini, fatta eccezione per una percentuale di donne con problemi di tossicodipendenza e signore dell’Europa dell’Est che, non avendo contratti lavorativi stabili, finiscono in strada in modo intermittente. «L’abuso di sostanze per chi vive in strada – proseguono le operatrici – è una conseguenza frequentissima e imprigiona letteralmente le persone in un limbo sfiancante dal quale è molto difficile uscire, anche perché sarebbero necessarie misure più articolate e complesse per affrontare la problematica».
L’attività quotidiana delle operatrici e degli operatori del progetto è piuttosto frenetica: la giornata si divide tra le attività di sportello della mattina, del servizio docce del pomeriggio e quello dell’unità di strada, che prevede anche accompagnamenti puntuali per casi specifici. Poi ovviamente ci sono gli imprevisti e le emergenze, che non mancano mai. In questo clima in cui la sensazione è quella di non riuscire a fare mai abbastanza è difficile mantenere la giusta distanza con gli utenti senza perdere il senso del lavoro che si svolge. Al tempo stesso, lo scoglio forse più complesso da superare è quello della diffidenza e della paura nei confronti delle persone che vivono in strada e che sono considerate da una buona parte della cittadinanza nel migliore dei casi causa di degrado urbano.
Non è tanto una questione razziale: si tratta piuttosto di aporafobia, è la povertà degli altri che viene vista come una minaccia alla stabilità di tutti. Per questo motivo, instaurare rapporti di fiducia reciproca non è assolutamente scontato, ma è anche di fondamentale importanza per riuscire ad andare al di là della semplice riduzione del danno. In questi tre anni di progetto, con molto lavoro e molto impegno, si sono fatti dei passi avanti che fanno ben sperare per il futuro. «A volte è necessario un pizzico di cinismo per fare bene questo lavoro, altrimenti si rischia di non essere davvero», aggiungono Chiara e Viviana.
Ragionando sul problema complessivo, una delle cose che salta agli occhi è la dispersione di energie e informazioni, sia per chi lavora nel settore sia per gli utenti: «Sarebbe utilissimo riuscire a sistematizzare meglio il lavoro; in parte riusciamo a farlo internamente con la rete delle unità di strada, ma siamo consapevoli che spesso gli utenti vengono rimbalzati da uno sportello all’altro in un incubo burocratico che spesso si conclude con un nulla di fatto. A volte semplicemente, soprattutto se sono arrivati da poco in città, nonostante la presenza di una rete informale non sempre le indicazioni che ricevono su servizi e possibilità sono corrette. In questo un supporto digitale in grado di centralizzare le informazioni sarebbe uno strumento che potrebbe fare la differenza».
Il progetto della Casetta Borgomagno sta avendo il merito di far emergere le contraddizioni di un sistema di assistenza che merita di essere ripensato, esattamente come merita di essere ripensato lo spazio urbano del quartiere Stazione, nella convinzione che il diritto a una città più accessibile e accogliente vada considerato un bene primario e universale.
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