In Val di Vara lo zafferano incontra l’arte: la storia di Simona e della sua azienda agricola
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La Spezia - I cambi vita sono sempre affascinanti, soprattutto quando uniscono i contesti più disparati. La vita di Simona Castelletti è stata, da sempre, imbevuta d’arte, sin dai tempi del liceo, naturalmente artistico. La sua formazione prosegue al DAMS, a Bologna, e si conclude con un master a Brescia in marketing e management per le imprese d’arte e spettacolo. Trova lavoro al Museo Luzzati, a Genova, e tutto fila liscio finché, nel 2018, oltre a un semplice passaggio di consegne, cambia anche la gestione dell’intero spazio.
«Mi sono ritrovata con le mani in mano praticamente da un giorno all’altro – racconta Simona – e ho deciso che era arrivato il momento di mettermi in gioco. Nonostante l’arte avesse fatto parte della mia vita per 38 anni, ho sempre avuto il pallino dello zafferano e nella mia mente continuava a ronzarmi l’idea di mettermi a coltivarlo. Sembrava una cosa azzardata, ma poi mi sono decisa e l’ho fatto». Lascia Genova e si trasferisce a Pignona, nella casa dei nonni materni, dove ha passato le estati e tanti bei momenti dell’infanzia e dell’adolescenza.
LA COLTIVAZIONE DELLO ZAFFERANO
«La prima semina di zafferano avviene nell’estate proprio del 2018. A ottobre la raccolta dà risultati eccellenti, così nel 2019 apro l’azienda agricola Cà Balan, il soprannome che aveva la mia famiglia, dall’etimologia incerta». Mi spiega che lo zafferano selvatico ha dei bellissimi fiori viola, simili a piccoli tulipani, che l’hanno sempre incuriosita molto, sin da quando era bambina.
Ora Simona ha incrementato la messa a dimora dei bulbi, naturalmente italiani, e l’obiettivo è arrivare, pian pianino, a una produzione sempre più cospicua. Al momento, le pratiche per richiedere un laboratorio, in modo da poter vendere il suo zafferano in modo più ampio, sono in fase di ultimazione. In questo primo anno e mezzo di degustazioni in ristoranti e in case di amici che hanno aziende agricole in zona, il riscontro sullo zafferano è stato ottimo.
«Quello che voglio fare ora è educare il territorio al mio zafferano, differente rispetto a quello che si compra al supermercato, già a partire dal sapore, che è diversissimo, così come la preparazione». Prima di aggiungerlo al piatto, si mettono gli stimmi in infusione in acqua calda e si lasciano riposare per una ventina di minuti. Mi spiega che questo infuso va aggiunto solo a fine cottura, affinché non perda tutte le proprietà. In alternativa, si tritura con un mortaio e si trasforma in polvere. E finora le sue bustine d’assaggio hanno ricevuto feedback positivi e complimenti proprio da tutti.
IL CONNUBIO ARTE E ZAFFERANO
«Mi manca molto l’avere a che fare con l’arte, per questo il mio sogno è quello di farla entrare nell’azienda agricola al più presto». L’obiettivo a lungo termine è di inserire anche una componente artistica, di taglio ludico, a tema zafferano e dare vita a laboratori che permettano ai bambini di esprimersi con materiali naturali, per poi arrivare a qualcosa di più grande!
Mi parla di diversi parchi d’arte in basso Piemonte e in Toscana in cui gli artisti di tutta Italia vengono invitati a tenere workshop e corsi di vario genere, in natura, con l’intento poi di creare anche piccole esposizioni. «Il sogno ancora più grande, però, è risistemare una parte delle case dei nonni e dare vita a cicliche residenze di artisti, i quali potranno testimoniare la propria presenza, lasciando qualcosa di concreto sul territorio e, perché no, renderlo unico proprio per questa essenza d’arte».
La sua voce è entusiasta e riesco a visualizzare proprio tutto ciò che ha in mente. Quello che le auguro è che riesca ad ascoltare la sua vocazione artistica e a intrecciarla con la cultura contadina dei nonni, che sente pulsare così forte nelle vene.
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