Transizione ecologica: ecco quanto conta la scelta dell’assicurazione
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Le compagnie assicurative sono fra i maggiori investitori del pianeta e con i loro capitali sono in grado di condizionare i mercati globali. Inoltre il loro doppio ruolo (poter essere al tempo stesso assicuratori e finanziatori di un progetto) li pone in una posizione di particolare influenza. Risulta quindi particolarmente interessante osservare come queste società si stiano muovendo con i loro investimenti dal punto di vista della sostenibilità.
Per aiutarci in tal compito, è recentemente uscita l’ultima edizione (dicembre 2020) del report di Insure our future, campagna internazionale che unisce varie associazioni e enti del terzo settore nel monitorare i comportamenti del settore assicurativo nei settori del carbone e, da questa edizione, anche in quelli di petrolio e gas. Il quadro che ne è emerge è fatto di luci e ombre. Da un lato prosegue l’abbandono del settore del carbone da parte delle compagnie assicurative europee e australiane, dall’altro le principali compagnie statunitensi e asiatiche assicurano ancora pesantemente il settore del carbone. Inoltre il comparto assicurativo globale non è finora riuscito a intraprendere iniziative d’impatto su petrolio e gas, che assieme sono responsabili del 55% delle emissioni di CO2 (il carbone contribuisce per il 40%). Per comprendere meglio e commentare i risultati del report, abbiamo contattato Elena Peverada del Consorzio Assicurativo Etico e Solidale (CAES).
Lo stato dell’arte
Uno degli aspetti che colpisce di più scorrendo il report sono le differenze fra continenti. In Europa la maggior parte degli assicuratori non fornisce più copertura né finanziamenti alle nuove miniere o centrali a carbone, mentre negli in Asia e negli Usa molte delle compagnie non fanno lo stesso. Liberty Mutual, Chubb, Tokio Marine e Sompo – oltre alla londinese Lloyd’s – continuano ad assicurare abbondantemente il comparto del carbone.
«Questa differenza – commenta Elena Peverada – probabilmente si può attribuire alle differenti politiche intraprese a livello continentale. In Europa, ad esempio, dal punto di vista istituzionale si sta facendo molto per spostare i finanziamenti verso gli investimenti responsabili, mentre negli Usa questa cosa non è avvenuta. La presidenza americana degli ultimi anni ha incentivato le infrastrutture di petrolio e gas ed è ovvio che se queste infrastrutture si creano, hanno anche bisogno di investimenti e quindi attraggono risorse».
Un altro aspetto che balza all’occhio è il diverso trattamento riservato al carbone rispetto a petrolio e gas. «In questo caso credo che dipenda dal fatto che il carbone è una fonte energetica più antica ed è più facile distaccarsene, mentre petrolio e gas sono relativamente più recenti e hanno tuttora molto usi. La produzione industriale è ancora molto dipendente da petrolio e gas, pensiamo ai gasdotti o, nel caso del petrolio, alla dipendenza dei nostri autoveicoli, quindi è ancora difficile riuscire a disinvestire da questi comparti».
Un “peso” considerevole
Il ruolo delle assicurazioni è cruciale per almeno due aspetti. «Innanzitutto – ci spiega Elena – esse possono muovere moltissimi capitali, così come le banche, al punto da essere considerate a tutti gli effetti degli investitori istituzionali al pari dei fondi d’investimento. Ciò avviene perché nel mondo delle assicurazioni il “ciclo del prodotto” è invertito: se normalmente il cliente prima acquista un prodotto o un servizio e poi paga, nel caso delle assicurazioni avviene il contrario, prima paga e poi, solo al verificarsi del sinistro, usufruisce del servizio. Ciò fa sì che che si concentrino molti soldi nelle tasche delle compagnie, soldi che devono essere investiti».
Se il primo aspetto riguarda le assicurazioni nel loro ruolo di investitori, il secondo ha a che fare proprio con la loro caratteristica peculiare, la capacità di assicurare le aziende: «Si legge nel report che “Se un progetto non è assicurabile non è bancabile”. Questa semplice frase fa capire quanto sia centrale il ruolo delle assicurazioni. Se le assicurazioni scelgono di non coprire una certa azienda, le impediscono di fatto anche di chiedere finanziamenti e quindi di espandersi e avviare nuovi progetti». In altre parole, se tutte le assicurazioni scegliessero di non assicurare più le aziende che lavorano nel campo dei combustibili fossili, l’intero settore si paralizzerebbe seduta stante.
Dunque viene da chiedersi: lo stanno facendo? Elena sostiene di sì, anche se più lentamente del necessario: «Oggi c’è un forte incentivo da un punto di vista della normativa, soprattutto europea, che tende a spostare l’attenzione dei grandi investitori, comprese le compagnie, verso investimenti responsabili. A ciò si affianca la spinta dei mercati, nei quali le fonti energetiche rinnovabili stanno prendendo piede, costano meno e diventano più remunerative anche sul fronte degli investimenti. E infine quella della società civile, visto che la sensibilità sulle tematiche ambientali è in crescita e quindi investire in fonti fossili potrebbe portare le compagnie assicurative a problemi da un punto di vista della reputazione».
A dispetto di ciò il percorso di disinvestimento dalle fossili da parte delle compagnie è ancora piuttosto lento e sebbene il settore non presenti grosse prospettive future, molte ancora oggi faticano ad abbandonare un comparto che in alcuni casi continua a garantire buoni guadagni. In ciò, tuttavia, potrebbe essere d’aiuto la conformazione del panorama assicurativo mondiale, caratterizzato da una grande concentrazione. «Il comparto assicurativo è un mercato molto concentrato, con poche imprese che detengono la maggior parte dei capitali e decidono come investirli: basta che anche solo uno o due attori spostino i propri investimenti per ottenere risultati rilevanti. Perciò ritengo che azioni di pressione come quella che avviene attraverso inchieste di questo tipo siano molto importanti».
Trasparenza e diritto di scelta
Fin qui abbiamo osservato il quadro generale, ma è pur vero che non tutte le compagnie assicurative si equivalgono e stanno crescendo gli strumenti nelle mani delle persone per prendere scelte informate. Da qualche anno a questa parte, ad esempio, le compagnie assicurative devono produrre – così come molte aziende di grosse dimensioni – un “bilancio di sostenibilità”, nel quale devono indicare le azioni che intraprendono nei campi della Responsabilità di Impresa o Corporate Social Responsibility (CSR).
«I bilanci di sostenibilità sono sicuramente uno strumento di scelta nelle mani delle persone – commenta Elena Peverada – anche se va detto che stiamo parlando di autodichiarazioni. Per questo a fianco dei bilanci di sostenibilità è importante diffondere questo genere di report realizzati da terzi».
Ne approfittiamo per chiedere ad Elena Peverada anche quali sono gli impegni di CAES e di Assimoco (il Gruppo ASSIcurativo del MOvimento COoperativo a cui CAES si appoggia) nel campo della transizione ecologica e della responsabilità sociale. «Essendo CAES un intermediario assicurativo – ci risponde – dal punto di vista dell’utilizzo del denaro, noi siamo direttamente responsabili solo per la parte di compenso che percepiamo sotto forma di provvigione. Di questa, una buona parte la restituiamo a favore di Enti del Terzo Settore o a manifestazioni legate a quell’ambito. Ma il ruolo di primo piano lo gioca Assimoco, che da quando un paio di anni fa ha ottenuto lo status di Società Benefit ed acquisito la certificazione di B-Corp, sta lavorando molto sul fronte degli investimenti per renderli più sostenibili. Ad esempio di recente ha lanciato un nuovo prodotto di investimento che fa riferimento alle Linee Guida per gli investimenti sostenibili ed etici proposte dalla CEI (Conferenza Episcopale Italiana) nel documento “La Chiesa Cattolica e la gestione delle risorse finanziarie con criteri etici di responsabilità sociale, ambientale e di governance”. Poi non dimentichiamo che già da quattro anni è attiva una collaborazione molto proficua fra Assimoco ed Etica SGR, la società di gestione del risparmio appartenente al Gruppo Banca Etica, che ha fatto sì che Assimoco investa nei fondi di finanza etica al 100% proposti da Etica SGR».
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