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Matrix è dentro di noi è un format che cerca di smontare le finte gabbie che bloccano la nostra libertà e la nostra coscienza. Gabbie che ci siamo costruiti da soli, giorno dopo giorno, in reazione alla società, alla famiglia, agli immaginari che ci hanno coltivato e cresciuto. Gabbie comode, nelle quali diciamo di non voler stare, ma dalle quali stentiamo ad uscire. La libertà è bella, si sa, ma oggi non ho tempo. Oggi voglio stare spento.
Ecco, se c’è un campo in cui le gabbie sono costruite e ricostruite con mirabile costanza da tutti noi è quello della spiritualità, della religione, della crescita interiore. Tutto è mercificato, misurato, asservito ad ego ipertrofici, sessualità distorte, leader carismatici, pseudo-sacerdoti, sistemi di potere, controllo, soldi.
Tutto o quasi. Ovviamente tra un corso new age che in tre giorni ci insegna a diventare ricchi, potenti, alti e biondi, un percorso religioso in cui ci si spoglia di ogni possibilità di provare piacere nella vita e – spesso – di ogni bene economico posseduto, un finto ateismo e un dichiarato agnosticisimo, esistono percorsi spirituali autentici, necessità sane di ricerca di senso, di connessione con il divino, di riscoperta dell’armonia, dell’amore, della Natura. Esistono ma sono difficili da scovare.
Per affrontare questa tematica, nell’ultima puntata di Matrix è dentro di noi ho deciso di confrontarmi con Gianluigi Gugliermetto, coordinatore italiano della Spiritualità del Creato, nonché prete anglicano.
Gianluigi ci spiega come Spiritualità del Creato sia una locuzione scelta da Matthew Fox circa quarant’anni fa per indicare un modo di relazionarsi con la religione e i testi sacri della religione occidentale, soprattutto quella cristiana ma non esclusivamente, in una maniera non oppressiva, più profonda, e meno legata ai dogmi.
La parola Creato anziché Creazione è stata scelta consapevolmente perché richiama alla spiritualità delle creature non umane: «Essere immersi all’interno del cosmo e della natura è la cosa più importante per una spiritualità contemporanea che è stata invece messa da parte da una concentrazione sull’essere umano. Fino all’epoca moderna – continua Gianluigi – nessuno metteva in dubbio che gli animali avessero un’anima, nemmeno nel tanto disprezzato Medioevo; ci si chiedeva solo che tipo di anima avessero».
Chiedo a Gianluigi come mai molte persone religiose vivano la morte con angoscia anziché con la gioia di riconnettersi al proprio Dio e più in generale come mai sacrificio e peccato permeino molti dei percorsi spirituali contemporanei.
«La gioia, diceva Tommaso D’Aquino, è l’atto più umano che ci sia, è la perfezione dell’umano. Ovviamente una spiritualità che si concentrasse solo sulla gioia negando la sofferenza sarebbe un gioco, non una cosa seria, una copertura. Dobbiamo prendere in considerazione la complessità e l’interezza della vita, in un percorso di integrazione delle parti di sé e delle esperienze, senza lasciare nulla fuori. Peccato, Religione, Spiritualità, sono parole molto ambigue, che si portano dietro un pre-concetto, un significato percepito che le rende spesso inefficaci. Forse avrebbe senso trovarne altre meno stratificate».
Nell’ascoltarlo mi torna alla mente un mio cavallo di battaglia: il dolore è sopravvalutato. Cosa intendo? Mi riferisco al fatto che spesso viviamo nella paura, anzi nel terrore della sofferenza. Non ci innamoriamo per paura di soffrire, non ci mettiamo in gioco per paura di perdere, non cambiamo lavoro per paura del fallimento. La paura del dolore ci paralizza per mesi, anni. Poi ci capita di vivere davvero e magari anche di soffrire. E ci rendiamo conto che quel dolore che tanto temevamo, vivendolo con tutti noi stessi, ci porta a crescere, a vivere davvero, ci fortifica. E che la paura del dolore era molto più pericolosa e paralizzante che il dolore stesso. Da una delusione, un lutto, una separazione, si può uscire più forti. Ma se per paura di farti male non esci più di casa, non potrai mai riprendere a vivere.
Ma torniamo al tema dell’incontro. “Offro” a Gianluigi tre parole: spiritualità, religione, Dio. E gli do la parola. «… Parole difficili, a volte ambigue… Per esempio il termine spiritualità non è che mi piaccia tanto, la parola in sé la trovo pericolosa, perché fa pensare allo spirito in contrapposizione con la carne, con la materia. Anche la parola religione è ambigua, ci fa venire in mente il controllo, le istituzioni, forse si può lasciar da parte. A me, però, non dispiace, mi fa venire in mente gli aspetti tradizionali, gli aspetti rituali e comunitari e questi sono affetti religiosi. La parola Dio poi è difficilissima, è la rappresentazione del bene assoluto, della bellezza assoluta, del controllo assoluto, insomma è un simbolo di tutto, è difficilissimo parlarne».
Sono rimasto colpito dal primo aspetto citato da Gianluigi. Gli chiedo quindi come mai quasi tutte le religioni condividano un approccio repressivo nei confronti della sessualità, della carne, della carnalità, della sensualità. «La parole sensualità ci piace moltissimo; va recuperato il rapporto con il proprio corpo, con il corpo delle altre creature, il corpo del cosmo. Il fatto che siamo fatti di materia, di materialità. Bisogna superare l’oggettivazione della materia, come se ci fosse la mente da una parte e l’oggetto materiale dall’altra. Come due cose che non combinano.
Forse le religioni tradizionali hanno quel tipo di approccio perché sono alleate delle culture in cui sono create, culture nemiche dei desideri individuali, culture che scrutano con diffidenza gente che non lavora e non produce, non sta dentro al sistema… Noi siamo contrari alla repressione della sessualità. Altra cosa può essere la disciplina. In tutte le religioni l’energia di una persona viene disciplinata, si suggerisce la disciplina, e questo può essere interessante anche per l’energia sessuale o altri tipi di energia».
La conversazione procede toccando molti temi interessanti: la mercificazione della spiritualità, il bisogno di appartenenza delle persone che spesso oggi si placa nelle squadre di calcio o nei partiti politici, l’uso delle parole. Poi arriva una domanda da parte di uno spettatore: «Come spiega Fox la creazione da parte di Dio di un mondo basato sulla predazione?»
«Ecco le domande facili! Fox non spiega. Lui distingue tra problemi e mistero. Ci sono cose, incluso Dio, che non si posso spiegare, ma di cui bisogna fare esperienza. Poi la percezione che ci siano predatori la accetto, ma il male è relativo. Dobbiamo uscire dall’antropocentrismo e dall’ottica che tutto ciò che danneggia è tragico».
Per me – intervengo – fu illuminante nel mio percorso l’incontro con Giuseppe Barbiero quando nel 2002 ci mise di fronte al nostro inconsapevole antropocentrismo. “Voi pensate di salvare l’ambiente – affermò – ma non c’è niente di più antropocentrico che dire che salviamo l’ambiente; l’ambiente non ha bisogno di voi, anche se fate dei disastri la terra si riprenderà. Quello che stiamo distruggendo è il nostro mondo. Quindi cerchiamo di salvare noi stessi! Qualche anno dopo, in un giorno di particolare tristezza per i mali del mondo ho realizzato che in un futuro non troppo lontano il sole sarebbe esploso è la vita su questo pianeta si sarebbe comunque estinta. Allora nulla ha senso? O forse proprio per questo tutto ha senso!”.
Gianluigi sembra concordare. «Noi come umani abbiamo una passione per le relazioni e il bene comune, è spontaneo occuparsi del bene proprio e altrui. Fox chiama questa pulsione bene trasformativo, che a sua volta causa la trasformazione della società. E questo mi porta al tema Dio. Se questo mondo finisce, così come è, ce ne sarà un altro. C’è un orizzonte più ampio e possibilità di vita che non sono solo le mie o del mio mondo».
Cambiando argomento, ci spostiamo sulle altre creature viventi su questo Pianeta. A volte scherzando e guardando i cani mi chiedo: “Questa consapevolezza mentale di cui tanto ci vantiamo ci rende davvero così evoluti o è un incidente? Non saranno più in armonia loro con il divino?”. «È perfettamente possibile che un uccello e un cane siano più in armonia con il divino di un uomo, ma non possiamo farci niente. La nostra specie funziona così, come prodotto evolutivo siamo capaci di auto riflettere. Quando rimani nella mente, continui a pensare… e puoi perderti. Sta a noi essere responsabili della consapevolezza. Come? Con un’ora di meditazione tutte le mattine per esempio, o giocando con il cane. La mente non è il tutto e deve essere tenuta sotto controllo dallo spirito».
Chiedo a Gianluigi se hanno sviluppato qualche percorso spirituale per i bambini. La risposta è tranchant. «Ai bimbi non insegno nulla, ma mi faccio raccontare da loro le storie. Ed è fantastico, perché i bambini hanno una concezione del sacro che noi da grandi perdiamo. Ecco perché voglio che possano esprimersi. Non mi interessa farli diventare un oggetto di mercificazione. Lascio fare loro quello che vogliono e devo dire che quando il rito è profondo e simbolico i bambini sono affascinati e non dicono più una parola, fanno domande e sono tutti contenti, perché il mondo del sacro è per loro convincente».
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