Un armadio di lavoro: l’emporio sociale che dona abiti a chi ha un colloquio
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Torino - Vi ricordate il Progetto Abito? Ve ne abbiamo parlato in questo articolo! Per chi se lo fosse perso, si tratta di un progetto di scambio di vestiti e attività di coesione che nasce in centro a Torino per contrastare la povertà e favorire l’integrazione delle persone ai margini.
Nasce da uno storico servizio di distribuzione di abiti per evolversi in un progetto di vera inclusione sociale. Perché in fondo lo sappiamo: non esiste circolarità senza un impatto positivo sulla nostra società. E proprio all’insegna della circolarità è stato avviato un progetto in piena pandemia: si chiama “Un armadio di lavoro” ed è pensato per offrire alle persone impegnate alla ricerca di lavoro oppure a giovani neodiplomati o neolaureati, dei vestiti più adatti ai loro colloqui.
Le regole del gioco sono molto semplici: chiunque abbia a disposizione un vestito formale, nuovo o quasi nuovo, può donarlo alla comunità mentre chiunque abbia un colloquio imminente può prenderlo in cambio di una piccola donazione o di altri abiti (anche non formali), oppure semplicemente in cambio di un passaparola che aiuti a diffondere l’iniziativa.
Ne abbiamo parlato con Giorgio Ceste, coordinatore e co-fondatore del Progetto Abito. Come ci ha raccontato, «a un certo punto ci siamo trovati con tantissimi indumenti eleganti inutilizzati. Per questo abbiamo cercato un modo per valorizzarli, partendo da una consapevolezza: in questo periodo stanno nascendo nuove povertà che coinvolgono persone che, a causa della situazione pandemica, hanno perso il loro lavoro e si trovano ora alla ricerca di una nuova occupazione. Alcuni di questi non dispongono dei mezzi per comprarsi un nuovo indumento e sono molti gli studenti neolaureati che si affacciano al mondo del lavoro e non possono acquistare degli abiti adatti».
La parola “abito” non rappresenta solo l’indumento, ovvero la dignità del vestirsi, ma rappresenta soprattutto la possibilità di abitare la città attraverso attività di tipo inclusivo, nonché la partecipazione attiva all’interno della comunità. All’emporio c’è sempre tanto movimento. Qui giungono persone in difficoltà economica o in situazione di disagio momentaneo, persone senza fissa dimora o stranieri.
Come ci spiega Giorgio, «alcuni arrivano dicendoci che non avrebbero mai pensato nella loro vita di aver bisogno di usufruire del nostro servizio o che si sentono in imbarazzo». Per questo l’emporio di Abito vuole essere un posto diverso dai servizi a cui siamo normalmente abituati nel nostro immaginario, come nel caso dei banchi alimentari per la distribuzione del cibo o dei vestiti per i poveri. Abito è strutturato più come un negozio, dove le persone sono accolte senza pregiudizi e barriere sociali.
Le iniziative per il futuro sono tante: tra queste un corso di sartoria che vuole coinvolgere chi si trova in situazioni di difficoltà e che qui potrà essere coinvolta in un progetto di inclusione lavorativa oppure un’iniziativa pensata insieme allo IED – Istituto di Design di Torino e ai suoi studenti per recuperare e rigenerare gli indumenti di Abito creando nuovi manufatti e accessori, che verranno messi all’asta attraverso una rete di raccolta fondi online.
Ad oggi il gruppo conta un team di cinque persone, insieme a una trentina di volontari che fino a poco tempo prima della pandemia collaboravano attivamente. «La quantità di vestiti che arriva ogni giorno è molto grande – ci spiega Giorgio – raccogliamo quasi una tonnellata di indumenti al mese!».
Per il progetto Abito la figura del volontario è fondamentale perché, oltre che fornire un aiuto concreto, contribuisce all’idea di inclusione sociale. «Poco prima di chiudere avevamo avviato dei turni di volontariato affiancando ai nostri volontari coloro che giungono per prendere i vestiti e che decidono di restituire il loro tempo contribuendo al progetto. Questo scambio tra diverse persone e diverse culture per noi è la base del fare comunità e inclusione».
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