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Oggi come ieri, viviamo all’interno di una narrazione: personale, sociale, civile e collettiva, come anche legata alla comunicazione delle grandi marche e dei brand online. Oggi come ieri, è quindi importante conoscere e saper comprendere i miti e per farlo, chiediamo aiuto a Peppino Ortoleva (Napoli, 1948), che è stato professore ordinario di Storia e teoria dei media all’università di Torino e ha pubblicato oltre duecento lavori scientifici su storia, società e media e moltissimi libri, tra cui troviamo “Miti a bassa intensità”.
“Miti a bassa intensità” è il titolo di un suo bellissimo (ndr) libro. Cosa l’ha spinta a scriverlo? Cos’è un mito? Cosa definisce un mito a bassa intensità?
Il mito è, in primo luogo, un racconto. E così il pensiero mitico – diverso da quello logico – assume carattere narrativo. La caratteristica fondamentale che ho individuato è che un mito funge da ponte tra il vissuto e il cosmo. Tra la quotidianità e una dimensione cosmica. Il mito ci parla di realtà che possiamo conoscere e anche di cose che non possiamo conoscere per diretta esperienza (vita dopo la morte, senso della vita, ecc…). Di tutti questi temi di grande importanza per l’umanità, il mito ci permette di interrogarci e ci fornisce anche delle risposte, che mettono in atto l’immaginazione.
È importante anche dire che “mito” non significa “falsità”: questa è una mentalità del nostro tempo, ma una volta il mito si concretizzava nel rito, in un modo di pensare e in azioni personali e sociali. E in parte è così anche oggi: un record sportivo, ad esempio, rappresenta un’umanità al confine di ciò che si può fare e non può fare. Ci sono racconti che parlano di qualcosa che va oltre la nostra conoscenza diretta, ma a differenza di quelli classici – che sono supportati da riti o cerimoniali, che ne sottolineano la forza e importanza nella vita quotidiana –, i miti contemporanei sono, invece, oggetto di consumo: cinema, televisione, fumetto e anche telegiornali.
È questo il modo in cui si presentano molti dei miti tipici dell’età contemporanea: oggi convivono miti di diversa natura, come quelli religiosi, ma anche altri, come i miti antichi che permangono e quelli della produzione letteraria e cinematografica. Quindi i miti a bassa intensità sono oggetto di consumo più che di rituale, si svolgono nel nostro mondo, piuttosto che in un Olimpo e hanno per protagonisti gli esseri umani, mentre una volta erano di dèi ed eroi. Infine, per essere divulgati, usano altri veicoli, dalla televisione alle leggende urbane (cospirazioni per il dominio del mondo) e metropolitane.
Perché è utile parlare di miti, oggi? Esistono ancora? Dove li troviamo?
È importante sottolineare che i miti esistono ancora anche se sono diversi. È importante perché esistono diverse correnti di pensiero che dicono che non abbiamo miti e sono di due tipi: ottimistiche, come la scienza che pensa di aver superato il mito, oppure pessimistiche, quando dicono che il mito è stato perso, per la strapotenza della tecnica (e quindi abbiamo perso umanità). Possiamo dichiarare: i miti esistono ancora. D’altronde non esistono culture senza miti. Ciò che caratterizza la nostra epoca è che crediamo che non esistano. Crediamo di essere “liberi” dai miti, di vivere in un modo dominato dal pensiero razionale, ma non è così.
Usare il pensiero mitico ci aiuta a capire cose che altrimenti non riusciremmo. Ad esempio: la religione sta assumendo di nuovo una enorme importanza nella politica attuale. I suoi sono temi che riguardano “l’oltre della ragione” e per cui in molti guardano lì, per cercare risposte a temi importanti che la ragione non può spiegare. D’altronde siamo fatti non solo di ragione, ma anche di impulsi: alcuni di questi sono in parte guidati dai miti. Un esempio: una certa parte dell’elettorato americano vuole credere a cose che razionalmente sono impossibili (come le cospirazioni), perché in un certo senso i miti possono spiegare il mondo in modo più semplice e credibile di quanto non possano essere delle spiegazioni di tipo teorico e scientifico, che a volte comunque non sono compiute e accessibili. Anche il tema della persistenza della violenza tra bianchi e neri non è facile spiegarlo in modo lineare, servono i miti per farlo. I miti non dicono bugie e a volte semplificano e riorganizzano la realtà. Non abbiamo bisogno di sopprimere i miti (non è nemmeno possibile: è un pezzo di noi), ma abbiamo bisogno di una critica dei miti: si tratta di capire cosa, queste narrazioni, contengono di vero o di falso, ma che cosa vogliono dire in profondità, al nostro bisogno di capire e di essere.
Quali sono i “miti del nostro tempo” (se ce ne sono)? Esistono ancora miti “eterni”? Quali? Cosa li fa perdurare nel tempo?
La parola “eterno” io non la uso mai: il mito è anche questione di adattamento. Uno dei punti strategici del mio libro (una novità) è che dico: in un fenomeno di lunga durata come il mito, c’è stato un passaggio importante che riguarda il mondo moderno. C’è tutto un movimento culturale, che inizia circa nel 600/700, e porta ai miti a bassa intensità, ovvero: i miti ci sono, ma non sono sempre gli stessi, questo porta alla bassa intensità. Tra questi ce ne sono alcuni che sono la continuazione diretta di miti precedenti, con storie millenarie, e altri che vengono da periodi più brevi. Alcuni esempi: l’astrologia, la scienza che lega l’umano al cosmo, è una forma di conoscenza antica. Sul piano strettamente scientifico è stata sconfitta dall’astronomia, ma l’astrologia non muore. Non muore perché nella sua natura mitica e soprattutto in quella a bassa intensità (perché molti ci si rivolgono senza crederci del tutto e ci si rivolgono per cose di oggi, per noi stessi), è potente e anche leggera, tipicamente oggetto di consumo.
Nel libro omonimo parlo del mito dell’amore romantico. Il concetto di amore è antichissimo, legato in genere a rapporto erotico tra uomo e donna. Negli ultimi tre secoli in occidente, si sono affermate alcuni racconti e rappresentazioni di amore romantico, che si ripetono. Il tema, a partire da un sentimento antico, ha creato una mitologia sua, specifica: a un certo punto dell’esistenza pensiamo di trovare una persona in cui ci riconosciamo interamente e che dà senso alla nostra esistenza, nonostante sia una persona come noi. Anche l’amore è mito a bassa intensità: la persona è come noi, ma ci collega con idee che sono al di sopra della normalità, essa stessa si pone più in alto, ci collega con l’altro oggetto mitico, che è la felicità. Una felicità intesa come una piena attuazione della nostra umanità. Lo pensiamo impossibile e però al tempo stesso è difficile da pensare del tutto impossibile.
Qual è la relazione tra “mito” e “credere nel mito”?
La parola “credere” è una delle più difficili della nostra lingua: ci sono vari livelli di credere. Per quel che riguarda i miti a bassa intensità, non c’è un credere totale. I grandi miti religiosi delle religioni monoteistiche (non svaluto, ma si basano su racconti: non dico che sono falsi, anzi) richiedono la fede: non semplice il fatto di seguire un certo racconto e attribuirgli un certo significato, ma “credere che sia vero” (credo Niceno). Ci viene chiesta la fede, di credere indipendentemente l’assurdità di alcune di queste narrazioni. I miti a bassa intensità sono raramente oggetto di fede. Dall’altra parte, però… quanto credevano i greci nei loro miti? I greci non avevano la fede che hanno i cristiani nel nuovo testamento: credevano che l’universo fosse fatto di umani e altre entità, ma che poi ci fosse una certa ninfa o altri personaggi, lo davano più per scontato, piuttosto che crederci attivamente. Tutte le grandi mitologie hanno forme di fede intermedia. Per i miti a bassa intensità: possiamo credere che vampiri non esistono, però se un film di vampiri ci attira è perché in quel momento per noi esistono. Coleridge parla di una “sospensione volontaria dell’incredulità”.
Rispetto al “credere”, la maggioranza di miti umani, sono ad un livello che va da un credere per il proprio il proprio piacere, al sospendere l’incredulità. Poi c’è la fede – cosa diversa – che ha avuto il suo ruolo nel portarci ai miti a bassa intensità: le grandi religione monoteistiche (in particolare il Cristianesimo), da un lato hanno aumentato enormemente il livello di fede possibile nelle persone, ma d’altra parte hanno poi permesso progressivamente un po’ la separazione dell’universo della fede, da quello del quotidiano.
Un suo suggerimento: a che cosa ci serve, oggi, saper riconoscere i miti del tempo? Come ci aiutano a vivere, oggi, e magari a creare il nostro futuro?
Abbiamo bisogno di una critica del mito: riconoscere il mito non solo e non tanto per capire cosa ci sia di vero, ma anche per capire cosa c’è in noi, che ne viene attratto ed evitare usi negativi dei miti (politici, ideologici, finalizzati a conquistare un potere su altre persone). Un esempio moderno: intorno alla vaccinazione ci sono diversi atteggiamenti di tipo mitico. C’è il mito del “no-vax”, che ha dentro il mito medicina come cospirazione, e c’è un atteggiamento mitico dei “sì-vax” perché vede in scienza qualcosa di perfetto. Il ragionare criticamente sulle basi (e sulle falsità) dei miti ci aiuta a proporre un dibattito più razionale di quello che c’è adesso, perché sta diventando uno scontro tra miti in cui si crede e non su cui si pensa (il riferimento è, naturalmente, ai fanatici). In certi dibattiti, orientati da ideologie contrapposte, un atteggiamento fideistico favorisce la stupidità.
Quali potrebbero essere, per lei, i “miti per un’Italia che Cambia”?
È un tema molto interessante: l’Italia ha una rappresentazione di sé che è in parte mitica (come è normale, anche l’idea stessa di Italia è mitica). Già tra il nord e sud c’è una unità molto fragile, ma c’è un’idea storica/mitica di unità. Proprio facendo riferimento a questa differenza geografica, una delle idee mitiche tipicamente italiana è che il progresso sta da una parte sola, ovvero nell’Europa e nell’Italia settentrionale. Ci sono motivi buoni per diffidare di questa visione. L’Italia è – piuttosto – il centro delle culture mediterranee e quindi, in un certo modo, costruisce una relazione tra dati concreti e immaginario: ecco dove va il futuro.
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