La Cipolla di Vatolla: “Recuperiamo i semi della tradizione per valorizzare la cultura locale”
Seguici su:
Salerno, Campania - Siamo a Vatolla, un piccolo paese del Parco Nazionale del Cilento situato su di un colle, a 465 metri sul mare, che volge le spalle ai monti, in particolare al Monte Stella, e lo sguardo al mare, all’Isola di Capri e a Ischia. In queste terre, dalla lunga tradizione contadina, dove i castagneti e gli uliveti la fanno da padroni e non vi è una casa senza un orto, negli anni ‘60, come altrove, l’emigrazione e il nascente mito della città hanno portato via molti abitanti e interrotto per alcuni decenni la trasmissione dei saperi tradizionali. Tuttavia, grazie all’impegno degli abitanti del luogo e in particolare dei membri dell’Associazione Cipolla di Vatolla, perlopiù donne e giovani, negli ultimi anni le antiche sementi e le tradizioni ad esse connesse sono state prima recuperate e poi rivivificate.
«Qui avevamo una cipolla giunta attorno all’anno Mille attraverso dei monaci basiliani, dolce, che a tagliarla non fa lacrimare gli occhi, legata ad una ritualità un po’ pagana e un po’ cristiana e con una sua vita tutta particolare», ci ha raccontato Angela Marzucca, presidente dell’Associazione Cipolla di Vatolla.
La trasmissione dei saperi rurali e delle sementi di generazione in generazione si era tuttavia da qualche decennio interrotta, e a coltivare la tipica Cipolla di Vatolla erano rimasti soltanto due anziani contadini. «Siamo arrivati appena in tempo per non perdere un tassello importante della nostra biodiversità, vegetale e culturale. Assieme al CREA di Pontecagnano abbiamo recuperato e selezionato i semi, e nel 2014 l’Università di Salerno si è interessata alla nostra cipolla, conducendo uno studio sulle sue proprietà organolettiche. Da allora, attorno alla Cipolla di Vatolla e all’idea di recupero della biodiversità è partito un vero e proprio progetto di sviluppo locale, che ha permeato la vita del nostro paese».
Per celebrare e condividere la biodiversità e la cultura di Vatolla, dal 2014, ogni anno, il paese ha organizzato una grande festa nella quale alle ricette tradizionali si sono affiancate rievocazioni della cultura popolare, ma anche teatro, poesia e visite al castello nel quale visse per nove anni il filosofo e storico Giambattista Vico. «È stato, fin dal primo anno, un successo inaspettato e da allora abbiamo ampliato la durata della festa a due mesi, mobilitando oltre al paese anche il territorio circostante e proponendo dei percorsi eno-gastronomici molto curati».
Ad attirare l’attenzione dei visitatori, oltre alla festa estiva, è stata anche l’opera di recupero delle ritualità connesse alla Cipolla di Vatolla. Durante la semina, a gennaio, vengono per esempio accesi tre falò attorno al campo e posta una croce – una benedizione, questa, che spettava tradizionalmente alle donne anziane. In mezzo, alla semina delle cipolle, sono inoltre chiamate a partecipare tre generazioni, celebrando così la capacità della vita e della terra di rigenerarsi.
«L’anno scorso alla festa della semina sono venute a trovarci tante persone e dopo il lavoro nei campi, per chiudere i lavori, abbiamo fatto un concerto in piazza e proposto i nostri piatti. È stata una delle esperienze più belle della mia vita», ha raccontato Angela.
«Anche la raccolta, a fine giugno, deve essere fatta da tre generazioni», ci ha spiegato. «Le cipolle, poi, vengono messe al sole, e una volta asciutte si intrecciano recitando delle formule. In passato, quando la cultura era solo contadina e si viveva solo di queste esperienza, il rito dell’intrecciatura era molto importante perché le ragazze giovani in cerca di marito avevano modo di conoscere dei giovani, e si diceva allora che la più brava ad intrecciare sarebbe stata la prima a sposarsi. Attorno all’intrecciatura c’erano poi dei canti, e perfino dei balli».
La vendita, infine, sempre per tradizione viene inaugurata dal giorno della festa della Madonna del Carmelo, il 16 luglio. «Le Cipolle di Vatolla si vendono solo intrecciate, e per evitare la speculazione tutte le nostre trecce sono numerate», puntualizza Angela.
Dopo aver recuperato i semi della Cipolla di Vatolla e le tradizioni ad essa legate, negli ultimi anni, i membri dell’Associazione si sono attivati a recuperare altri elementi della biodiversità del luogo, che rischiavano anch’essi di essere perduti – un cavolo nero molto antico, quattro tipi di fagioli, una scarola che prende il nome di “ciociaccia” per le sue foglie lunghe che richiamano la forma delle orecchie di un asino, e poi ancora un pomodoro delicatissimo, una giuggiola locale, grande e dolcissima, il corbezzolo, il sorbo.
«Oltre a recuperare ciò che riguarda la materialità della terra e a ravvivare l’economia, in questi anni ciò che abbiamo davvero ritrovato è la nostra identità, il nostro senso di comunità, che è la cosa più preziosa, perché ci consente di camminare assieme, condividere, scegliere e aprire nuove opportunità», ha spiegato Angela.
«Per arginare lo spopolamento, al fatalismo dobbiamo opporre un riscatto e mostrare con i fatti che possiamo cambiare, aprire delle nuove direzioni. Dobbiamo partire da quello che abbiamo e riproporlo conservando le nostre radici e interagendo con gli altri. Ad oggi molti giovani del nostro territorio hanno presentato dei progetti di laboratori di trasformazione, e altri si stanno specializzando nell’accoglienza, perché tante persone sono alla ricerca di esperienze significative e a misura d’uomo. Stiamo poi cercando di incentivare la coltivazione delle nostre cipolle e degli altri ortaggi ritrovati o mai persi. Presto diventeremo anche un presidio Slow Food.
E attraverso queste attività, attraverso le feste e gli eventi, vorremmo portare avanti un impegno sociale, e trasmettere questa socialità anche alle giovani generazioni, altrimenti avranno a che fare solo con la tecnologia e perderanno la voglia di parlare, di parlarsi, di sapere da dove si viene.»
«La pandemia ci ha mostrato che il modello di sviluppo attuale non si può allargare a dismisura, che non ci fa bene. Serve dunque rinascere un po’. Ripartire da una realtà locale, rispettando l’ambiente, recuperando gli elementi essenziali della vita, la biodiversità, anche culturale e sociale. Indagando, rivivificando le nostre origini, ripetendo i proverbi e le filastrocche che danno consistenza alle nostre vite. Credo che anche questo, a suo modo, possa essere contagioso».
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento