La stupidità della tecno-umanità
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Guardando all’incredibile accelerazione digitale durante l’esplosione del virus, ho percepito per la prima volta una reale intrusione delle tecnologie nella mia vita, cosa che pensavo sarebbe successa tra 20 anni. E il risultato è che davanti allo schermo non mi sento più connesso, ma più solo.
E sì, conosco tutti gli argomenti contrari a queste mie affermazioni, perfino nella mia famiglia dicono “almeno ci vediamo”, ma a me fa ridere l’idea di una tecnologia salvifica, quando invece non fa altro che prendersi la nostra vita e sconvolgerla, tanto da lasciarci dimenticare com’eravamo prima.
(Intervista a Joshua Cohen, La tecno-dittatura della stupidità, La Lettura, 8 novembre 2020, p 18)
La pandemia del Covid 19 è ormai arrivata alla seconda ondata in gran parte del pianeta, ed è arrivato anche il momento in cui nascono le riflessioni sugli effetti di questo avvenimento planetario sulle nostre condizioni e abitudini di vita.
Dopo la sorpresa e lo stordimento provocati dal primo arrivo del virus nelle nostre giornate, questa seconda ondata, considerato anche il fatto che potrebbero esserci anche la terza se non la quarta, comporta un certo grado di consapevolezza in più. In fondo in molti ce l’aspettavamo e alcuni avevano anche previsto correttamente il mese di ottobre come quello del ritorno delle fobie pandemiche.
Joshua Cohen, che già si era spinto nei suoi romanzi a descrivere un mondo distopico dominato dal controllo tecnologico, vede in parte avverarsi le sue visioni e un po’ ci ride su. L’idea di una tecnologia salvifica lo fa ridere. E a quanti di noi fa lo stesso effetto?
Negli ultimi tempi in Italia (e non solo) il Governo sembra cercare la salvezza proprio nelle arti della tecnologia algoritmica. Non sono i più i politici, Presidente del Consiglio, ministri e parlamentari, a prendere le decisioni sulle misure da adottare per contrastare la pandemia. È un algoritmo. Ventuno parametri sono stati individuati dal Comitato Tecnico Scientifico e sono stati inseriti nel funzionamento di un algoritmo che in base al rispetto o meno dei parametri assegna un colore e un regime di controllo alle venti regioni italiane. C’è ancora qualcuno che protesta rivendicando l’importanza del primato della politica, rappresentante del popolo elettore, ma il salto sembra essere ormai compiuto.
In un mondo sempre più fuori controllo, con crisi crescenti che si susseguono negli anni per i più svariati motivi – dalla crisi finanziaria del 2008 al Covid 19 di quest’anno per intenderci – i pubblici decisori si affidano alle macchine che, con il loro manto di imparzialità, possono decidere al loro posto, scaricandoli delle responsabilità del caso.
Da tempo ormai i delicati e complessi meccanismi della democrazia liberale si sono arrugginiti fino a non funzionare più, e hanno lasciato il posto a una competizione politica fondata sul personalismo e presenzialismo mediatico, soprattutto in rete attraverso lo strumento dei social networks.
Ora potrebbe esserci il definitivo passaggio di testimone. Dal Governo dell’uomo al Governo dell’algoritmo. Potrebbe sembrare eccessivo ma la crisi ambientale e climatica, forse la più grande sfida che l’umanità che conosciamo abbia affrontato, impone una scelta di campo: cambiare il sistema produttivo, e quindi i rapporti economici e sociali, oppure continuare come stiamo facendo e affrontare le conseguenze sanitarie della decadenza del nostro ambiente vitale. E la seconda scelta è proprio stupida.
Non si può dire che, a parte qualche negazionista interessato, non ci sia ormai in tutto il mondo la chiara consapevolezza che il nostro sistema di vita non è più compatibile, e forse non lo è mai stato, con la salubrità e la sostenibilità del nostro ambiente. In molti forse non negano tanto la crisi ambientale ma piuttosto la nostra capacità di cambiare. Ma chi conosce l’esistenza di un problema e non prova nemmeno ad agire per risolverlo in qualche modo, si comporta in modo stupido.
Nessuna soluzione potremo trovare affidandoci agli algoritmi o all’intelligenza artificiale, troveremo solo dipendenza e prigionia. Cambiare significa assumersi la responsabilità di quello che sta succedendo e sentirsi liberi di provare. E magari anche smetterla di fingere, per dirla con Jonathan Franzen, di poter cambiare il mondo, cercando invece umilmente di organizzarsi al meglio per affrontare i difficili anni a venire.
Affidarci a noi stessi, a quella meravigliosa e irripetibile forma di vita umana invece che a una stupida macchina. Questa sì che sarebbe una scelta intelligente!
Non ho paura che la macchina diventi più intelligente dell’uomo,
ma che l’uomo si convinca di essere più stupido della macchina.
(cit. Harry Collins)
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