Rob Hopkins: “Se non immaginiamo un mondo migliore, come possiamo sperare di costruirlo?”
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Basta scambiare quattro chiacchiere con lui o anche solo guardarlo in faccia mentre sparge allegria intorno con il suo sorriso cordiale e accogliente per capire che Rob Hopkins è un sognatore. Una persona poco concreta dunque? Uno che si perde a fantasticare senza avere la capacità di incidere sulla realtà? Niente affatto!
Conosciamo da anni Rob e il movimento della Transizione da lui fondato – che è fra i principali ispiratori del pensiero di Italia Che Cambia – e seguiamo con entusiasmo gli enormi e strabilianti cambiamenti che ha generato non solo in Inghilterra, dov’è nato, ma anche in Italia e in tutti gli altri paesi dove è diffuso. E forse una delle chiavi di questo successo è proprio il potere di immaginare, di sognare un mondo diverso, di costruirselo nella testa e nel cuore prima ancora di cominciare a realizzarlo con le mani.
Proprio l’immaginario è stato l’argomento della lunga chiacchierata che i nostri Daniel Tarozzi e Andrea Degl’Innocenti hanno fatto – grazie anche alla preziosa collaborazione di Deborah Rim Moiso – con Hopkins nel corso dell’ultima puntata di “Matrix è dentro di noi”, la rubrica che parla di tutto quello che c’è oltre gli schemi e gli stereotipi cui siamo abituati. L’occasione per invitarlo sui nostri schermi è stata l’uscita del suo libro “Immagina se…”, in cui l’autore inglese racconta il percorso del movimento delle Transition Towns che, riportando al centro l’immaginazione, sta attuando il passaggio verso una società più sana e un’economia più resiliente, improntate alla biodiversità, alla coesione, alla democrazia e alla bellezza.
Fra i tanti autori che hanno segnato gli ultimi vent’anni con importanti contributi di critica al modello attuale si intravede un filo conduttore comune: il concetto del fallimento dell’immaginazione. D’altra parte, se non riusciamo a immaginare un mondo migliore, come possiamo sperare di costruirlo?
Quello che ha portato Rob alla realizzazione di questo libro è stato un percorso fisico, non solo letterario: «Ho compiuto un viaggio durante il quale ho intervistato più di cento persone fra neuroscienziati, artisti, poeti e birrai – perché serve sempre una buona scusa per andare a trovare i birrai! –, ho incontrato un sacco di gente e ho concluso che nel 2020 abbiamo creato una tempesta perfetta di fattori che danneggiano la nostra capacità di immaginare».
Non bisogna ovviamente commettere l’errore di pensare che tutto si fermi alla parte immaginifica del processo di cambiamento, anzi! Hopkins insiste sul potere dell’esempio e su quella che in transizione è stata battezzata “farecrazia”: «C’è una energia diversa fra andare da un governo e dire “bisogna fare così” e fra dire “guardate un po’, qui succede questa cosa che è interessante e se solo voi rimuoveste quei blocchi e un po’ di quei laccioli amministrativi ne potrebbero succedere molte di più».
Ma come si può compiere quel primo, apparentemente lunghissimo, passo fra l’immagine e l’azione concreta, fra il dire e il fare? Il nostro ospite ci chiama in causa direttamente, sottolineando l’importanza del lavoro che Italia Che Cambia e tanti altri svolgono nel facilitare questo primo passo: «Il viaggio inizia sempre dicendo “io non ce la posso fare”, quindi il lavoro che fate voi è fondamentale, perché dite alle persone che si può fare quel passo e che magari non è nemmeno così gigantesco come si pensa».
È inevitabile che il discorso si diriga ora verso l’immaginario che oggi ci viene costruito intorno, una fotografia focalizzata su stereotipi negativi, su una narrazione che sempre più spesso scoraggia i pensieri positivi presentando come predominante ciò che di brutto c’è al mondo e dimenticando sempre di dire che c’è anche tanta bellezza. «Anni fa – osserva Rob Hopkins a questo proposito – sono andato negli Stati uniti e ho pensato che dovesse essere il posto peggiore della terra, dove a nessuno importava nulla, dove si produce il 25% dei gas climalteranti. Ma non è così! È tutto un fiorire di iniziative, di orti condivisi, ce ne sono ovunque, ma non li mostrano mai in televisione. Cosa succederebbe se invece la CNN facesse vedere ogni giorno queste immagini? Cambierebbe il mondo!».
Rob Hopkins Libera il potere dell'immaginazione per creare il futuro che desideri |
Dopo essersi soffermato su aspetti anche molto concreti come le democraticità – vera o presunta – dei processi decisionali e l’assoluta urgenza di affrontare il problema dei cambiamenti climatici, l’ultimo pensiero del nostro intervistato è dedicato agli alfieri dell’immaginazione: i bambini. «Analizzando quello che sta succedendo al sistema educativo e come esso affronta l’immaginazione mi si è spezzato il cuore: cosa succede a una generazione di bambini in cui l’immaginazione non ha posto? È una cosa criminale! Credo che lo scopo del sistema educativo dovrebbe essere crescere persone con maggiore capacità immaginativa possibile».
Ci congediamo da lui con un’idea contenuta in “Immagina se…”: un Rinascimento dell’Immaginazione. «Credo che la sopravvivenza dell’essere umano – conclude Rob – dipenda da quello che faremo nei prossimi dieci anni, che a sua volta dipenderà dalla nostra capacità di immaginare. Sono convinto che fra dieci anni ripenseremo a oggi come a un periodo in cui l’immaginazione è rinata e io non vedo l’ora».
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