1 Dic 2020

Progetto Happiness: in viaggio intorno al mondo alla ricerca della felicità

Scritto da: Elena Ghini

Da molti mesi (con delle pause dovute al covid) Giuseppe gira per il mondo intervistando persone per scoprire i mille volti della felicità, le connotazioni che assume in luoghi diversi, il valore che ciascuna cultura le attribuisce. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare la sua incredibile avventura.

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La felicità. Un miraggio, un’aspirazione, una sensazione, una condizione di vita. Ognuno di noi la insegue o la vorrebbe incontrare. Sappiamo riconoscere quando non c’è e a volte è sotto al nostro naso e non ce ne accorgiamo. Ma che cos’è la felicità? E soprattutto, esiste una ricetta universale per ottenerla?

Giuseppe Bertuccio D’Angelo, giovane siciliano intraprendente e determinato, ha preso di petto questa spinosa questione e, con tutto il suo ottimismo, ha iniziato un viaggio intorno al mondo, cominciato il 15 settembre 2019, alla ricerca della formula universale della felicità, cercando gli ingredienti nelle storie e nelle esperienze delle persone che ha incontrato. Uomini e donne lontani per estrazione sociale, nazionalità, cultura e religione, normali ma straordinari, ciascuno in modo diverso.

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Giuseppe Bertuccio

Guidato dalla sua spiccata curiosità, ha posto il quesito all’astronauta Luca Parmitano, a un gruppo di suore che in California coltiva cannabis, all’attore Kabir Bedi ma anche a un uomo che appartiene alla casta degli intoccabili in India e ai bambini profughi in Libano. Ha indagato cos’è la felicità per chi vive in Corea del Nord e per chi, come Zion Clark, è nato senza gambe. Tutto documentato nel Progetto Happiness, che raccoglie queste preziose testimonianze attraverso video-reportage settimanali, disponibili su YouTube, fotografie e contenuti social su Facebook e Instagram.

In soli sei mesi sono più di tredici i paesi visitati da Giuseppe tra cui Svizzera, Palestina, Libano, Kuwait, Pakistan, India, Cina, Corea del Nord, Hong Kong, Indonesia, Australia, Taiwan, Giappone, Stati Uniti, fino allo scorso marzo quando è stato costretto a interrompere il suo grande viaggio a causa della pandemia globale.

Durante i mesi di quarantena, il progetto ha preso una nuova forma e dal 21 agosto scorso la ricerca è proseguita in Italia. Dalla Sicilia a Milano, passando per la Sardegna, Giuseppe ha percorso lo Stivale in macchina, incontrando artisti, eremiti, calciatori, dando voce a racconti inediti e pieni di significato.

Giuseppe è un vulcano di idee, un instancabile esploratore e già nel 2014, dopo la laurea in Marketing alla Bicocca di Milano, aveva intrapreso un viaggio del mondo in 365 giorni, realizzando un sogno che aveva da tempo. Parto proprio da qui e mi faccio raccontare la sua storia.

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In un campo profughi in Siria

Cosa hai portato a casa dal tuo primo viaggio?

Viaggiare mi ha aperto la mente, ero il classico backpacker, ho iniziato seguendo un’esigenza personale. Viaggio ed esploro per curiosità e voglia di crescere. Durante il viaggio mi ero fatto la promessa di vivere una vita straordinaria e me ne ero dimenticato un po’ dopo il trasferimento a Barcellona.

Nel 2018 hai deciso di allenarti per diventare un atleta e partecipare all’Ironman, un triathlon famoso per essere estremamente impegnativo. Che significato ha avuto?

Sono sempre stato additato come uno scansafatiche, con poca voglia di impegnarsi o di prendere delle responsabilità. Per un certo periodo della mia vita riconosco che è stato così ma poi sono cambiato e ho voluto dimostrarlo. Ho utilizzato Iron man come metafora della mia vita, una sfida contro me stesso in cui non potevo avere nessuna via di fuga se non finire la gara e allenarmi mettendoci dedizione e sacrificio. È stata una grande lezione. Di questa esperienza ho deciso di fare un progetto social in cui trasformavo me stesso da uomo medio a uomo di ferro. Iron man.

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Con Luca Parmitano

I ragazzi della tua generazione, i millennials, sembra abbiano in parte smarrito il senso della felicità, cosa ne pensi?

I ragazzi della mia età, e anche io prima di iniziare questo progetto, cadono nella trappola del successo come sinonimo di felicità. Un successo effimero però, basato sul denaro e l’approvazione sociale, che ti spinge a volere sempre di più, senza un vero scopo. Trovo sbagliato confondere la felicità con questa illusione. Spesso, nel mondo occidentale, il concetto di felicità è declinato sul possesso. Ho viaggiato tanto e posso dire che si nota una differenza in oriente, da questo punto di vista. Non voglio dare giudizi di merito, ma sicuramente un approccio spirituale è una chance in più di incontrare la felicità. Di vivere una vita di vero successo, serena. Ho incontrato persone che non avevano nulla, ma che erano più felici di alcuni miei coetanei che hanno tutto e si sentono depressi. Non ci rendiamo conto che abbiamo la possibilità di essere ciò che vogliamo, di scegliere cosa fare nella vita e siamo liberi. A noi sembra scontato ma non lo è, basta pensare alla Corea del Nord.

Spesso non si ha la percezione di quanto lavoro ci sia dietro a un video o a un contenuto social. Forse è anche per questo che si cade nella trappola di credere in un successo facile?

Molti ragazzi che mi contattano mi chiedono quale sia il segreto, il trucco per farcela ma il fatto è che non esiste nessuna scorciatoia. Ho lavorato molto, anche quando già stavo lavorando per poter finanziare i miei viaggi, e ho dedicato tutto il tempo che avevo al progetto. I sacrifici spesso portano a risultati. Ci tengo a dire che non ho nulla di speciale. Sono il ragazzo più nella media possibile sia fisicamente che intellettualmente. Quello che mi differenzia dagli altri è che non mi limito a sognare ma agisco per ottenere ciò che desidero. Il primo passo è rendersi conto che è possibile farlo.

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Torniamo al Progetto Happiness. Descrivimi un’incontro che ti ha colpito in modo particolare.

Ce ne sono davvero tanti e per ragioni diverse. Uno di questi è l’episodio che ho girato con i bambini profughi siriani, al confine tra il Libano e la Siria. Ho trascorso una giornata con loro e gli ho chiesto che cosa fosse per loro la felicità. La loro risposta è stata la scuola. È incredibile come l’educazione fosse per loro la felicità assoluta quando io, alla loro età, odiavo andare a scuola. Avrei fatto di tutto pur di evitarla, era un obbligo e non un’opportunità. Invece quei bambini la percepiscono come l’unico modo per affrancarsi da un mondo di incertezza e disperazione. Vedere con i miei occhi le condizioni in cui vivono tutti i giorni quelle persone è un’esperienza da non farmi più dimenticare la fortuna che ho ad avere anche solo l’acqua corrente in casa.

Quando l’emergenza sanitaria non farà più paura e ricominceremo a viaggiare, quale paese vorresti visitare e chi vorresti intervistare per chiedergli la ricetta della sua felicità?

Il Brasile, la Colombia e tutto il Sud America in cui non sono ancora stato. La persona che vorrei avere l’onore di incontrare è l’ex presidente dell’Uruguay, José Mujica, un uomo incredibile.

Una formula matematica della felicità non esiste. Sono infiniti i modi di interpretarla, viverla, e realizzarla. Hai notato qualche tratto comune, un elemento ricorrente nelle risposte che hai ricevuto?

La condivisione della propria felicità con gli altri è un tema che si è ripetuto più volte. Come anche donare affetto alle persone che si amano e l’importanza data alla famiglia.

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Con Kabir Bedi

Giuseppe non ti chiedo qual è per te la formula della felicità, ma voglio rivolgerti tre delle domande che sei solito porre ai tuoi intervistati.

Cosa ti fa sempre sorridere?

Fare felici gli altri.

Quali sono, per te, le tre cose più belle al mondo?

La doccia. Il premio più grande dopo una lunga giornata di lavoro. Sono spesso in viaggio e ho imparato ad apprezzarla molto. Rappresenta un momento di riconciliazione in cui ritrovo me stesso. Le carezze. Mi piace sia darle che riceverle. Sono fisiche ma anche emotive come una parola dolce dalla persona che amo. La carezze sono una manifestazione dell’amore. La Natura, bella e importante, perché è tutto ciò che abbiamo.

Cosa ti spaventa?

Mi spaventa il fallimento. Inteso come non riuscire a crearmi la vita in cui mi sento libero di fare qualsiasi scelta. Ho paura di fallire nel non diventare l’uomo che vorrei essere. Ma sono ottimista, dipende solo da me ed è un percorso che costruisco giorno per giorno.

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