Irene, la pittrice che dipinge gli sguardi delle donne vittime di violenza
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Genova - Una laurea in Neuroingegneria e un dottorato in Ingegneria Biomedica. La storia professionale di Irene passa, nel giro di pochi anni, da una dimensione scientifica, di ricerca biomedica, a un’altra dimensione di ricerca, virando sul piano artistico. «Dopo aver lavorato nel centro di ricerca IIT e poi in Movendo, una startup che sviluppa dispositivi robotici per la riabilitazione motoria, mi sono resa conto che il mondo degli algoritmi non mi soddisfava più». Irene inizia così un altro percorso di ricerca, stavolta di se stessa e della sua impellente necessità di esplorare linguaggi diversi.
«L’unico punto fermo per me era l’interesse per la conoscenza del corpo umano, della mente e del mistero della vita. Da ragazzina dipingevo tanto e ho sempre avuto una passione per la figura umana, amavo ritrarre le persone. Così, dopo tanti anni, sono ritornata alla pittura, ma è stata più la necessità che il coraggio a spingermi a questo salto».
In fondo, scienza e arte hanno tanto in comune e richiedono entrambe dedizione e creatività: «La vera differenza è che i percorsi scientifici sono più riconosciuti e valorizzati dalla società rispetto a quelli artistici».
Parlaci del progetto “Apnea”: com’è nata l’idea?
“Apnea” è un progetto di sensibilizzazione alla violenza sulle donne. Purtroppo, durante il lockdown, i casi di violenza si sono moltiplicati ed è stato questo il vero motore del progetto che è stato selezionato per la residenza artistica autunnale CreArt a Skopje. Il primo passo, però, ha origini più lontane: nel 2018 ho presentato la mia ricerca sull’espressività dello sguardo umano all’esposizione “Ultracorpi”, all’interno dello spazio archeologico dei Giardini Luzzati, a Genova. Secondo una dimensione spirituale, gli occhi sono lo specchio dell’anima, attraverso gli occhi si accede direttamente all’individuo, arrivando alla sua interiorità. A tal proposito Kundera scrisse: “L’occhio è la finestra dell’anima, il fulcro della bellezza del volto, il luogo in cui si concentra l’identità di un individuo”.
L’idea è stata quella di mettere la mia ricerca artistica al servizio della problematica della violenza sulle donne per renderla uno strumento concreto di sensibilizzazione. Siccome, poi, cerco sempre di dare alla mia ricerca anche una dimensione filosofica e psicologica, ho trovato molto affini al mio intento alcuni pensieri del filosofo Lévinas, tratti dal suo libro “Etica e infinito”: “Possiamo riconoscere l’Altro solo attraverso il dialogo, nel “faccia a faccia”. L’Altro è, quindi, una rivelazione concessa in particolare dal volto: il soffermarsi sul volto dell’Altro stabilisce una relazione originaria, in cui l’Altro chiede di essere accolto e rispettato. Attraverso l’incontro con il volto, l’Io si scopre in un certo senso sottomesso alla responsabilità per l’Altro”. Queste riflessioni hanno aggiunto al mio lavoro un’ulteriore dimensione di senso.
Chi sono le donne che hai conosciuto durante la tua raccolta di testimonianze nei centri antiviolenza genovesi?
Le vittime di violenza che ho conosciuto, ma tutte, in generale, sono donne sole, che affogano dentro l’angoscia, trattenendo respiro e dolore, come se fossero in apnea. Negli occhi però rimangono ben visibili le loro emozioni, insieme a pensieri e desideri. Questo progetto vuole proprio fare leva sull’empatia di chi guarda le opere: solo guardando queste donne negli occhi avremo la possibilità di entrare veramente nel loro dolore.
A Skopje hai portato in una mostra le testimonianze raccolte: come è stata la risposta del territorio?
Il progetto è stato ben recepito. Per rendere al meglio la resa dei quadri in esposizione c’è stato un gran lavoro del curatore, dell’allestitore e del grafico e la risposta del pubblico c’è stata: ho riscosso numerosi feedback positivi da parte dei visitatori ed è questa la cosa più importante. Ho anche ricevuto anche un paio di inviti per tornare sul territorio a proseguire la mia ricerca artistica. Questa esperienza mi ha lasciato anche le buone vibrazioni di una felice collaborazione col curatore, che mi ha fornito consigli preziosi, permettendomi anche di fare nuove sperimentazioni in poco tempo, e con Ana Ivanovska, l’altra artista selezionata, con cui ho condiviso tanto.
“Apnea” verrà inaugurata anche a Genova?
I miei lavori arriveranno in Italia nelle prossime settimane e sto già lavorando per allestire una mostra anche qui a Genova. Proprio in questi giorni sto facendo domanda per uno spazio all’interno di Palazzo Ducale per la prossima primavera.
Un progetto a tutto tondo che non si conclude con l’esposizione: gli sguardi in apnea di Irene saranno visibili negli spazi espositivi del progetto “Terapia in Galleria”, dell’artista e fisioterapista Fiammetta Bellati, che mostrerà le opere ai pazienti durante le sedute.
Un modo per contrastare con creatività la chiusura dei musei, sensibilizzando, allo stesso tempo, su una piaga sociale ancora troppo radicata.
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