Il sogno di due giovani del Casentino diventa esempio virtuoso per le acquacolture nel mondo
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In un periodo surreale, in cui tantissime attività sono ferme e sospese, capita ogni tanto di ricevere una bella notizia. È quanto è successo pochi giorni fa ai responsabili dell’Antica Acquacoltura Molin di Bucchio che sono stati selezionati dalla Regione Toscana per conto del Ministero delle Politiche Agricole per esporre il loro progetto di acquacoltura in quanto Azienda Best Practices Europea nell’ambito di una presentazione che, per via delle misure restrittive del momento, si terrà a distanza l’11 dicembre.
Dal Casentino, il sogno di due ragazzi diventa così esempio di sviluppo di buone pratiche per tutte le altre acquacolture nel mondo. Avviato nel 2015 da Andrea Gambassini e Alessandro Volpone, il progetto consiste nel recupero di un impianto abbandonato del più antico mulino lungo il fiume Arno per avviare un progetto di itticoltura volto alla conservazione di specie ittiche locali a rischio estinzione, tutelando così la biodiversità e valorizzando il prezioso patrimonio culturale e naturale del territorio.
«Siamo stati scelti tra le sei best practices europee nell’ambito dell’acquacoltura. Si tratta di un riconoscimento unico per un’azienda italiana – ci spiega Andrea – L’Europa ci ha premiato per la sostenibilità ambientale del nostro impianto, che ha un impatto praticamente pari a 0, per la conservazione della biodiversità, per la qualità ambientale e per le buone prassi di lavoro e tutela del benessere animale. Inoltre riconoscono di noi il fatto che non c’è stato nessun consumo di suolo ed è stata portato in vita un impianto abbandonato».
Portato avanti insieme alla Regione Toscana e al Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, il progetto è rivolto in particolare alla conservazione di quattro specie autoctone: trota appenninica, Barbo tiberino, Ghiozzo di ruscello e Gambero d’acqua dolce. Alcune di queste sono specie mai allevate da altri perché nessuno sapeva come fare, non essendoci stato finora su di esse né un interesse economico né scientifico.
Il pesce finora allevato è destinato principalmente ai torrenti del parco nazionale, un luogo di grande pregio naturalistico. Dalla fine del 2019 è stata avviata anche una linea produttiva per la tavola che riguarda la trota. Le finalità sono dunque di ripopolamento e alimentari. «Stiamo facendo tutto noi adesso, partendo da zero. Siamo soddisfatti di questi primi traguardi, soprattutto se si considera che si tratta di specie che stavano sparendo».
«Il nostro sogno era quello di restare qui e avviare un’attività lavorativa fondata su alcuni valori oggi più che mai importanti e necessari: tutela della biodiversità, sostenibilità ambientale, valorizzazione e recupero del patrimonio esistente. Bisogna trovare nuovi modi di vivere, lavorare e produrre. Ed è proprio quello che stiamo facendo. Se mi guardo intorno vedo che da qui scappano quasi tutti, noi siamo rimasti e ci siamo creati un’opportunità di lavoro».
Una scelta che Andrea rifarebbe anche oggi, nonostante le ricadute negative della pandemia sul loro progetto. «Poco dopo aver avviato la vendita del pesce è arrivata l’emergenza sanitaria. Avevamo appena iniziato a lavorare con alcuni ristoranti, che poi hanno dovuto chiudere. Ci siamo organizzati con le consegne a domicilio, ma comunque abbiamo avuto delle ripercussioni importanti sulla nostra attività. Il Covid ha bloccato anche tutte le altre nostre entrate indirette, quelle legate all’escursionismo con la cooperativa In Quiete. Siamo comunque ottimisti, anche considerati i riconoscimenti che da più parti stiamo ricevendo. La cosa positiva di questo momento è stata la conferma di aver scelto il posto giusto in cui vivere, a contatto con la natura e gli animali anche in questo periodo difficile e di chiusure».
Guarda la nostra prima intervista ad Andrea Gambassini e Alessandro Volpone realizzata nel 2015
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