“Talenti e imprese mortificati”. Dialogo con Dario Apicella sulla chiusura dei teatri e il contraccolpo sui lavoratori
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Genova - Abbiamo conosciuto Dario Apicella quest’estate: lui non è solo un narratore per bambini, ma anche un attore, diplomatosi alla Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova, che si occupa di formazione in ambito teatrale, curando laboratori di recitazione presso scuole di teatro e musical.
Anche con lui ho voluto affrontare il tema della chiusura dei teatri. «Proprio pochi mesi prima dell’esplosione della pandemia – mi racconta Dario – ho visto con i miei occhi cosa accade nei reparti di rianimazione e ciò mi impone, come essere umano e come cittadino, di usare il buon senso e la prudenza: era prevedibile che i contagi sarebbero aumentati con la riapertura delle scuole e la ripresa delle attività dopo la pausa estiva, così come è prevedibile che i casi aumentino ancora con l’arrivo della stagione fredda. Eppure le istituzioni hanno atteso gli eventi, senza agire preventivamente sui trasporti, sulla sanità, sul sostegno alle imprese e ai lavoratori che oggi necessitano di interventi rapidi e decisi».
LA MORTIFICAZIONE DEL LAVORO
Lavorare in emergenza crea confusione, calendari stravolti e continui rinvii e adeguamenti che, dalla sera alla mattina, comportano perdite economiche per le imprese e per i lavoratori, richiedendo, inoltre, un continuo lavoro di riprogettazione. «Fornire linee guida per l’adeguamento dei teatri, delle scuole di danza, dei centri sportivi e di altre strutture culturali e ricreative e poi chiudere tutto, anche solo temporaneamente, significa mortificare il lavoro di chi, spesso di tasca propria, si è attivato per riprendere “in sicurezza” la propria attività».
E Dario si riferisce soprattutto alle piccole realtà culturali e teatrali che non ricevono sovvenzioni dalla Stato, ma che valorizzano i territori e creano relazioni. «Oggi possiamo solo sperare nell’attuazione di misure concrete che aiutino i lavoratori e le imprese dei settori colpiti ad affrontare questo momento (io, nel mio piccolo, sono ancora in attesa dei 600,00 € di aprile 2020).
LAVORARE A SINGHIOZZO
«Dal 23 di febbraio lavoro pochissimo e male, poiché molti eventi sono stati annullati, rimandati, poi di nuovo annullati: tutto questo è frustrante, dal punto di vista umano, e avvilente, dal punto di vista economico e professionale. E pensare che ho sempre cercato di impegnarmi su più fronti, proprio per assicurarmi una certa continuità di lavoro: teatro, editoria, promozione della lettura nelle scuole, nelle biblioteche e nei musei, laboratori teatrali e di aggiornamento per insegnanti, tutti settori oggi tra i più penalizzati dal virus e dalle decisioni politico-amministrative».
Mi racconta anche che sono moltissimi i professionisti con cui collabora (attori, danzatori, operatori culturali e didattici) che hanno subito un contraccolpo durissimo, dal punto di vista economico, ma anche psicologico. La maggior parte di loro sono liberi professionisti, lavoratori autonomi o collaboratori occasionali che non possono contare su stipendi fissi (dice che i più fortunati, hanno un introito mensile paragonabile a quello di un operaio non specializzato), ma che lavorano quotidianamente e con passione, pur senza grossi margini di guadagno e senza prospettive certe.
LA SUA VISIONE SUL TEATRO DI OGGI
E se siamo tutti d’accordo che questa pandemia ha fatto affiorare tutta una serie di criticità in diversi ambiti professionali, a partire dalla scuola, oggi vengono a galla anche le nette incongruenze interne alla gestione dei lavoratori del settore teatrale.
«La categoria dei professionisti dello spettacolo in Italia è da sempre poco sostenuta e scarsamente incentivata: mi riferisco in particolare agli artisti sconosciuti al grande pubblico, di fatto lavoratori “fantasma”. Non esistono strategie e progetti sistematici, ben definiti dallo Stato, per promuovere e sostenere gli artisti e, più in generale, i lavoratori di questo settore. E oggi, a mio avviso, emerge anche una scarsa consapevolezza, da parte degli stessi artisti, riguardo a quelli che sono gli aspetti previdenziali, amministrativi, gestionali, fiscali, contributivi del lavoro e dei diritti e dei doveri connessi alla professione. Sono pochi infatti i commercialisti e consulenti del lavoro che conoscono bene la materia e possono fornire adeguata consulenza».
Questo non vale, naturalmente, per coloro che sono inseriti stabilmente nell’ambito dei grandi teatri pubblici e privati sovvenzionati dallo Stato. Sono ancora tanti, però, i professionisti che, per poter lavorare, spesso accettano contratti sottopagati o investono soldi, tempo ed energie per sviluppare progetti teatrali senza aver accesso alla cassa integrazione e ad altri ammortizzatori sociali.
«Si spera – conclude – che questa fase porti ad una maggiore consapevolezza, prima di tutto da parte degli artisti, affinché si possa avviare una riforma profonda e completa dell’ambito teatrale che valorizzi e tuteli i talenti e, più in generale, ogni singolo lavoratore di un settore strategico per il nostro paese, potenzialmente capace di migliorare le condizioni culturali, economiche e sociali di interi territori e comunità».
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