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Venezia, Veneto - Il sole si è appena spento sulla Laguna veneziana e un vento gelido inizia a spazzare l’isola della Giudecca, facendoci stringere nelle felpe e nei giubbotti. Poveglia ci osserva da lontano, con l’occhio del suo campanile che spunta dal verde. Regna una quiete d’altri tempi in quest’angolo di Venezia dimenticato dai turisti, surreale quasi quanto la storia che ci è stata appena raccontata: quella di un gruppo di cittadini che ha provato a “ricomprare” l’isola di Poveglia raccogliendo in poche settimane oltre mezzo milione di euro, ma che ora rischia di vedere il proprio sogno andare in fumo, perso fra lungaggini burocratiche e infiniti tira e molla con il demanio.
Circa due ore prima Marco Bassi è venuto a prenderci in fondamenta delle Zattere, sul Canale della Giudecca all’altezza della Chiesa di Santa Maria del Rosario. Marco è uno dei soci della prima ora di “Poveglia per Tutti”. Si definisce un “filosofo artigiano” perché dopo la laurea in Filosofia ha gestito un laboratorio di maschere tradizionali veneziane. Attualmente fa l’insegnante di Italiano e Storia. Con la sua barchetta privata si è offerto di trasportarci fino alla Giudecca, il quartiere-isola di Venezia dove l’iniziativa è nata, ormai sei anni fa. Ci ha fatto accomodare in mezzo al verde del suo giardino, ha tirato fuori del salame, dei crackers e qualche bicchiere di vino – «un’ombra di vino si dice in veneziano» – e di fronte a questo squisito aperitivo improvvisato ha – o per meglio dire hanno – iniziato a raccontare la storia dal principio. Perché hanno? Perché nel frattempo ci hanno raggiunto Andrea Barina, Lorenzo Pesola e Franco Schenkel, tutti membri dell’associazione Poveglia per Tutti.
L’idea
«Era il 2014 quando una mattina lessi sul giornale una notizia che mi lasciò di sasso», inizia Andrea Barina. Andrea è il proprietario del bar La Palanca, una delle poche attività commerciali della Giudecca, dove tutto ha avuto inizio. «Il demanio metteva all’asta l’isola di Poveglia, la dava in concessione per 99 anni, e lo faceva con base d’asta zero e senza nemmeno richiedere un progetto. Era strano, molto strano, sembrava quasi ci fosse un progetto di svenderla a qualcuno di ammanicato. Così pensai che avremmo potuto comprarla noi».
Per capire a fondo la reazione di Andrea, vale la pena esplorare il rapporto viscerale che i veneziani hanno con le loro isole, e con Poveglia in particolare. Poveglia, con i suoi 70mila metri quadrati, è una delle isole più grandi della Laguna. È composta da tre isolotti, distinti ma molto vicini, due dei quali collegati da un ponte: il più meridionale è un ottagono dove un tempo venivano posizionati i cannoni per difendersi dagli attacchi nemici, dato che guarda verso la bocca del porto; il corpo centrale è il più grande, edificato fin da prima dell’anno Mille, dove sorgono undici edifici fra cui la chiesa con il campanile che svetta sulla silhouette dell’isola; infine la parte più settentrionale e verde, chiamata spesso “l’orto” dato che per un periodo i suoi terreni furono assegnati ad un agricoltore.
Curiosità storica (molto attuale): il termine quarantena è nato proprio da queste parti. Fu il Senato veneziano infatti a stabilire per primo (nel 1448) che il periodo d’isolamento per chi raggiungeva la città via mare durasse a 40 giorni, dando così origine al vocabolo. E dove si faceva la quarantena? Ovvio, sulle isole della Laguna.
Nel corso 1700 Poveglia venne di tanto in tanto adibita a lazzaretto: ospitò gli equipaggi di due imbarcazioni ammalati di peste e in seguito mantenne le funzioni di stazione per la quarantena marittima per tutto l’Ottocento e fino al secondo dopoguerra. Nella seconda metà del secolo scorso gli edifici furono in parte adibiti a residenza ospedaliera per anziani fino al 1968 quando l’isola l’isola fu ceduta al Demanio. Da allora la parte edificata fu abbandonata a se stessa, e in questo stato fatiscente resta ancora oggi.
All’estero, soprattutto negli States, Poveglia è famosa per la nomea di isola infestata dai fantasmi dei malati lasciati a morire durante le epidemie. Per i veneziani tuttavia è una meta per gite domenicali, pic-nic all’aperto, feste e escursioni. Chiunque abbia una imbarcazione privata – a Venezia un numero consistente di persone – è stato almeno una volta a farci il bagno, prendervi il sole o semplicemente passeggiare. Chi non ce l’ha, ci si è fatto accompagnare da un amico. Insomma privatizzare Poveglia voleva dire togliere ai veneziani un pezzo delle loro radici.
Per farci cosa poi? Probabilmente l’ennesimo resort di lusso, come quelli che già sorgono su altre isole della Laguna. Il JW Marriot che troneggia sull’isola di Sacca Sessola, o il San Clemente Palace Kempinski Hotel. «È un hotel di superlusso, attualmente gestito da un gruppo turco – ci spiegherà in seguito Lorenzo Pesola, un altro dei soci storici di Poveglia per Tutti -, ma è quasi sempre semideserto. La struttura è strana perché si tratta di un ex ospedale psichiatrico. C’è un lugubre “effetto Shining” quando cammini per i lunghi corridoi con poche finestre, e non è così popolare fra i ricchi come speravano».
Ma torniamo al bar La Palanca e ad Andrea che legge il giornale e salta sulla sedia quando scopre che Poveglia verrà messa all’asta e probabilmente svenduta a qualche speculatore privato. Cosa fa? Ovvio, alza il telefono e chiama un po’ di amici e conoscenti. «Abbiamo iniziato a pensare di creare un’associazione partecipata dal basso, dove tutti potessero prestare la propria forza – ci racconta. Decidemmo di chiamarci “Poveglia per Tutti” e come motto scegliemmo 99 euro per 99 anni dato che chiedevamo 99 euro per aderire all’associazione e che la concessione durava 99 anni. Cosa avremmo fatto con i soldi raccolti? Avremmo partecipato all’asta!»
L’asta
All’inizio è una faccenda di una decina di amici che si ritrovano al bar di Andrea. Ma ben presto il gruppo cresce. E cresce. E cresce. La questione di Poveglia toccava vari nervi scoperti dei veneziani – e non solo. Questioni affettive, ma anche economiche, valoriali. «Era fra le primissime volte che il comune cittadino tentava di riappropriarsi di un bene che di fatto era già era suo, perché il demanio è di tutto, – continua Andrea – e questo ha fatto sì che la coscienza civica si sia ribellata. Da poche persone che eravamo all’inizio siamo diventati in poco tempo circa 4.600, 4.700 iscritti. Non tutti veneziani eh! Circa due terzi lo erano, il restante terzo erano quelli che chiamiamo i “veneziani del mondo”, persone innamorate di Venezia che hanno voluto contribuire alla causa. In quattro mesi abbiamo raccolto l’incredibile cifra di 470mila euro!».
Inizialmente l’idea era di fare una puntata simbolica, di un euro, ma visto che l’iniziativa si era trasformata in breve nel più incredibile esperimento di crowdfunding sociale mai visto in Italia, si decide di puntare tutto quello che è stato raccolto, che nel momento della prima offerta sono 160 mila euro. Una bella cifra, se si considera che arrivava da una raccolta fondi spontanea; briciole per il tipo di bene che si voleva acquistare.
Il clamore generato dall’iniziativa, tuttavia, finisce per scoraggiare molti altri potenziali investitori dal partecipare all’asta. «L’idea che le persone stessero ricomprando la propria proprietà ha funzionato, ha attirato l’attenzione dei media. Siamo stati intervistati dal New York Times così come da molti media nazionali e internazionali. Questo ha tenuto alla larga molti investitori o speculatori che temevano di infangare il proprio nome infilandosi in questa faccenda».
Molti tranne uno. C’è infatti un’altra offerta, oltre a quella di Poveglia per Tutti, presentata da un investitore sconosciuto. “Mister X” lo chiamano scherzosamente. Si dimostrerà essere Luigi Brugnaro, imprenditore veneziano che a breve sarebbe diventato sindaco del capoluogo veneto alla guida di una coalizione di centrodestra, recentemente confermato (settembre 2020). Brugnaro presenta un’offerta più alta, pari a 513 mila euro. Più alta, ma sempre briciole per una concessione dal valore di milioni di euro.
A quel punto il meccanismo dell’asta prevedeva che i due contendenti giocassero al rialzo, partendo da coloro che aveva offerto la cifra più bassa. Ma i soci di Poveglia per Tutti hanno un piano diverso. «Se avessimo proseguito a raccogliere fondi avremmo potuto facilmente rilanciare, ma sapevamo che chiunque fosse l’altro offerente, che ai tempi era sconosciuto, sarebbe stato in grado di batterci di milioni e milioni di euro. Sapevamo anche, e questo giocava a nostro favore, che il demanio, visto il polverone che avevamo sollevato, non avrebbe mai concesso la proprietà per mezzo milione di euro. E che l’altro offerente non poteva alzare la sua offerta a meno che prima noi non facessimo un rilancio. Quindi non abbiamo rilanciato».
«È stato geniale, siamo stati geniali!» Commenta Andrea sfregandosi le mani, mentre ascolta parlare l’amico.
Il piano funziona alla perfezione, il demanio annulla l’asta, Brugnaro fa ricorso al Tar ma finisce per ritirare la sua causa una volta diventato sindaco. Intanto la vicenda di Poveglia per Tutti continua a far parlare mezzo mondo e a raccogliere adesioni. «Siamo arrivati al punto che abbiamo dovuto bloccare le iscrizioni all’associazione, perché non riuscivamo più a gestire i soldi che entravano!».
Disincanto
Sembrano esserci tutti gli ingredienti per una storia a lieto fine. Ma dove persino la politica e l’economia hanno fallito nell’arginare un dirompente processo partecipativo, interviene la mano sfibrante della burocrazia.
Dopo l’annullamento dell’asta i soci presentano al demanio un piano per la riqualificazione e la gestione partecipata dell’isola. L’idea è di renderla accessibile a tutti, restituirla al suo splendore: i soci avrebbero portato avanti il processo, ma i frutti di questo lavoro li avrebbe goduti tutta la comunità. Chiedono una concessione temporanea di 6 anni per iniziare a lavorare per rendere più accessibile l’isola. Il demanio ci riflette, valuta, ipotizza una concessione di tre anni, poi di due. Poi decide che è meglio non concederla proprio.
Iniziano le vie legali, Poveglia per Tutti vince persino una causa ma niente sembra cambiare il corso degli eventi. «Siamo stati messi nell’eterna sala di attesa della burocrazia italiana – ci dice Lorenzo con una nota di delusione – e abbiamo perso buona parte del nostro entusiasmo».
Nel frattempo siamo usciti dal giardino di Marco per spostarci sul lato meridionale del quartiere, quello che guarda non più lo sfarzoso Canale della Giudecca ma la laguna, e l’isola di Poveglia. Il sole appena tramontato e una brezza pungente fanno da cornice a parole piene di disincanto. «Ci siamo accorti che a meno che non fossimo andati da loro con una tipologia di finanziamento completamente diversa, non avremmo trovato un compromesso. Ci muoviamo su un terreno davvero sterile e improduttivo».
Già. Il demanio cerca investitori con capacità di investire fra i 20 e i 40 milioni di euro per ristrutturare gli edifici presenti sull’isola, non cittadini pieni d’entusiasmo. «A meno che non ci sia una collaborazione da parte del governo locale o nazionale, la volontà di trovare un compromesso, questa avventura non andrà da nessuna parte».
Presente e futuro
Al di là delle difficoltà burocratiche, Poveglia per Tutti ha continuato a lavorare. È il turno di Franco Schenkel di raccontarci le ultime vicissitudini: «Vista la situazione abbiamo lasciato perdere la parte edificata dell’isola e ci siamo concentrati sulla parte dell’orto. Abbiamo ripulito i sentieri, fatto i giardinieri praticamente. Vogliamo anche regalare un pontile, un piccolo approdo per permettere ai veneziani di andare sull’isola più comodamente».
Il piano di Poveglia per Tutti è chiaro. Rendere l’isola sempre più fruibile e popolata dai veneziani in modo che risulti più difficile, anche in futuro, tentare nuovamente di svenderla.
«Per adesso – aggiunge Marco – abbiamo piantato i pali per attraccare le barche. Un secondo passo potrebbero essere i servizi igienici, e il collegamento con l’acquedotto del lido».
Oltre agli effetti pratici, l’iniziativa di Poveglia ha avuto delle ripercussioni culturali e normative interessanti, come puntualizza Lorenzo prima di salutarci. «Abbiamo approfittato del clamore per far passare un messaggio chiaro: sappiamo che il nostro debito pubblico nazionale cresce ogni ora di 10-15 milioni. Se anche avessero “venduto” Poveglia per 1 milione di euro, avrebbero “compensato” il debito per nemmeno dieci minuti. È evidente che l’idea di appianare il debito pubblico vendendo le proprietà statali non ha senso, e questo è emerso chiaramente dalla nostra vicenda».
Ma c’è di più: dopo l’esperienza di Poveglia persino il processo di vendita di proprietà pubblica è in parte cambiato. «Si usano policy molto diverse. Adesso fanno progetti per 20 anni, e sei obbligato a presentare un progetto».
È buio ormai sul pontile della Giudecca quando salutiamo i nostri gentilissimi ospiti, e il freddo inizia a farsi sentire. La sagoma di Poveglia, in mezzo alla laguna, si fa di minuto in minuto più confusa, eppure l’isola resta là, solida e inaccessibile alla vista. Tutto ciò assomiglia molto a una metafora – mi viene da pensare – ma il senso non lo colgo del tutto.
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