“Basta didattica a distanza! La scuola sia una priorità”: la protesta silenziosa degli studenti di Torino
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Torino - La chiusura delle scuole e la didattica a distanza sono al centro di una protesta che, in questi giorni, si sta diffondendo da nord a sud. Oggi mi trovo davanti al Liceo Gioberti, quello stesso liceo che mi ha accompagnata durante cinque lunghi e intensi anni di crescita. È strano ritrovarmi in questo angolo di Torino sempre pieno di vita, voci e risate di tutti quegli studenti che qui hanno il loro mondo e che ora è immerso in un silenzio quasi perfetto. E a rendere il tutto ancora più surreale sono alcuni studenti e studentesse che in via sant’Ottavio, davanti al portone chiuso, stanno seguendo le lezioni a distanza.
Ci sono Bianca, Carola, Sara, Pietro, Alessandro e altri ancora. C’è chi frequenta il secondo, il terzo o il quarto anno, chi la sezione del classico e chi quella del linguistico. Molti di loro si conoscono appena poiché frequentano classi differenti ma oggi, mantenendo le distanze di sicurezza, sono seduti uno accanto all’altra. Chi sul pavimento, chi sulla sedia, con libri sulle gambe, le cuffiette alle orecchie e il computer acceso. Ognuno segue la propria lezione, partecipa alle spiegazioni online e ogni tanto risponde alle domande dei professori, tra italiano, latino e biologia. E proprio qui mi fermo a conversare con Alessandro e Pietro, i due rappresentanti di istituto che iniziano a raccontarmi gli obiettivi della loro azione di protesta.
«Noi chiediamo una presa di posizione alle autorità competenti. Siamo molto delusi da come è stata gestita l’emergenza fino ad ora e crediamo che, con una maggiore attenzione, sarebbe stato possibile ridurre i rischi e tenere aperti gli istituti. Ciò che è stato riscontrato è una mancanza di sicurezza non tanto dentro le scuole quanto fuori, come ad esempio sui mezzi di trasporto. La scuola si trova ora in questa situazione anche perché è stato fatto ben poco a livello istituzionale durante il periodo estivo. Siamo stati lasciati soli, in questa pandemia non abbiamo avuto l’attenzione che, secondo noi, la scuola meritava».
Per questo la protesta dei giovani studenti è rivolta in primis alle istituzioni: al Governo, alla Ministra Azzolina e al Ministero dell’Istruzione, così come quello dei Trasporti. A Torino la prima a protestare è stata Anita, studentessa della scuola media Calvino, situata proprio accanto al Liceo Gioberti. Insieme alla compagna Lisa ha avviato una manifestazione silenziosa, iniziando a seguire le lezioni davanti all’istituto e diventando in poco tempo il fulcro di una protesta che ha coinvolto tanti studenti in tutta Italia che chiedono di essere ascoltati.
Anita è diventata in poco tempo il volto di “Priorità alla Scuola”, movimento composto da insegnanti, educatori, genitori e studenti che insieme cercano di re-immaginare collettivamente l’istruzione e che invitano i ragazzi e le ragazze di tutta Italia a seguire le lezioni davanti alle proprie scuole, anche solo un’ora al giorno, per mandare un messaggio di cambiamento. Così queste proteste iniziano a prendere nome di “Schools for Future”, ispirate al fenomeno dei “Fridays for Future” e all’attivismo dei tanti giovani che sognano un futuro migliore.
«Davanti al nostro liceo la prima studentessa che ha iniziato a fare didattica a distanza è stata Maia, alla quale ci siamo da subito uniti anche noi come rappresentanti di istituto insieme ad altri studenti». Da circa una settimana, grazie all’autorizzazione della questura che ha concesso agli studenti lo svolgimento di un “presidio statico”, il numero di partecipanti è aumentato e varia in base al giorno e agli orari di lezione di ognuno.
«Noi non pretendiamo di tornare a scuola domani. Chiediamo piuttosto che il governo lavori per un rientro in sicurezza, sia dentro che fuori dalle scuole. E, una volta ripartiti, vorremmo fossero garantite delle misure che ci permettano di rimanere a scuola, non possiamo ogni due mesi vedere i nostri istituti chiudere».
Come mi viene raccontato, da quando ci siamo ritrovati nel secondo lockdown, diversi studenti hanno avuto la possibilità di seguire le lezioni grazie al materiale donato in comodato d’uso dal liceo, come nel caso del computer o della connessione internet. «In questo modo il Gioberti ha garantito il diritto all’istruzione agli studenti che non avevano alternativa e che ora possono seguire la didattica a distanza».
Mi colpisce la forza di volontà di Pietro e Alessandro e anche la loro gratitudine quando mi confidano «noi del Gioberti siamo una scuola fortunata». Non tutti però possono ritenersi altrettanto fortunati. È il caso di tutti quegli studenti e studentesse che all’interno della propria abitazione, durante il periodo di quarantena, devono condividere spazi limitati, di coloro che non sono provvisti di connessione o ancora di chi si trova a condividere un computer tra più familiari. Quello che si sta chiedendo loro è certamente un grande sacrificio e la rinuncia di una parte importante della loro crescita.
«Ciò che apprezziamo maggiormente è il grande impegno dei nostri insegnanti che stanno cercando in tutti i modi di trovare metodi alternativi all’insegnamento frontale, che cercano le modalità più efficaci di coinvolgerci. Da entrambi i lati dello schermo però non è facile. Spesso noi studenti abbiamo difficoltà a concentrarci e mantenere alta l’attenzione».
Ma la protesta degli studenti torinesi non si ferma al lockdown che oggi ci sta mettendo di fronte ai tanti e nuovi problemi da risolvere. Guarda infatti più in là, denunciando un aspetto essenziale: la pandemia ha fatto emergere le falle e le debolezze del sistema scuola, ricordandoci che le difficoltà attuali sono l’inevitabile risultato della gestione attuata in questi anni.
«Il vero problema è che la scuola non è mai stata considerata una priorità mentre invece doveva esserlo poichè rappresenta il futuro nostro del nostro Paese. Noi vogliamo che l’istruzione torni al centro del dibattito. Ci troviamo con uno dei tassi di analfabetismo e di abbandono scolastico più alti d’Europa e non possiamo continuare a far finta di nulla. L’aspetto più critico è che effetti negativi di un’istruzione di basso livello si vedono solo a distanza di tempo.
Cosa chiediamo? Nel breve termine di riaprire gli istituti in sicurezza e nel lungo termine di ripensare completamente la scuola che ormai è obsoleta, soprattutto come metodo di insegnamento. Sappiamo che richiederà tempo ma è essenziale».
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