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Seduta al centro della stanza Lise guardava il mondo dalla finestra di camera sua, provando a immaginare cosa stesse succedendo fuori dalle mura del suo condominio. Viveva al quarto piano di un grande edificio grigio in una cupa, quanto sovrappopolata periferia: “una delle tante” pensava, guardando le immagini scorrere al telegiornale, stupendosi ogni volta di come il luogo in cui trascorreva la maggior parte dei suoi giorni somigliasse incredibilmente ad altre mille città viste sul grande schermo della tv.
Era assorta nei suoi pensieri, quando si accorse per la prima volta, quel giorno, che le sue mani stavano cambiando. O meglio: non solo le mani, ma l’intero corpo stava mutando. Ma quando era accaduto? Come aveva fatto a non accorgersene? Forse si era svegliata così e non ci aveva fatto caso. Lise si stava ingrandendo. Il suo corpo si era come allargato.
«Non devo dirlo alla mamma, si spaventerà di certo», pensò tra sè e sè, cercando di coprirsi le mani allungando di parecchi centimetri la manica della sua maglia color lilla.
Ma poi si rese conto che la trasformazione stava avvenendo in ogni parte del suo corpo.
Corse in bagno, allora, cercando di apparire più normale possibile. Si chiuse dentro e spogliandosi iniziò ad analizzare da testa a piedi ogni centimetro. Era tutto così strano, così non naturale, così pazzescamente e maledettamente uguale e spaventoso a tutto il resto della sua famiglia e, purtroppo, non solo. Sì, l’aveva già visto succedere.
La prima ad esserne affetta in casa era stata la mamma: era passata una decina di giorni da quando era rientrata dal lavoro con l’espressione più spaventata che Lise le aveva visto sino a quel momento.
«Guardate, guardate! È in tutto il corpo! Ogni singolo centimetro!»
E così la madre aveva passato diversi giorni a casa in malattia a cercare di togliersi il nuovo arrivato, a cercare di tornare alla normalità, a provare a fermare questo apparentemente implacabile cambiamento. Ma ogni crema, sapone, spugna, e persino spazzola utilizzata non aveva alcun effetto, se non far arrossire la sua pelle, senza minimamente ridurne il volume. Aveva provato a pungersi, forse con l’idea di sgonfiarsi come un palloncino.
Ma nulla, nulla sembrava far effetto. Anzi, a Lise sembrò che ad ogni tentativo il corpo della madre crescesse un po’ di più, ma non ebbe il coraggio di dirlo ad alta voce. Ogni ora la madre correva a pesarsi sulla bilancia in bagno per verificare il peso, ma ad ogni controllo il risultato non cambiava. Il numero segnato dalla freccia era sempre lo stesso, nonostante le dimensioni del corpo fossero sempre maggiori.
Dopo giorni di pianti, intervallati solo da chiamate a medici, centralini di ospedali e conoscenti anch’essi in situazioni analoghe, la mamma decise che non era così grave come aveva pensato e se ne fece una ragione, rassegnandosi alla nuova situazione in continuo e lento allargamento.
Il secondo ad essere colpito era stato il papà, ma nel suo caso la notizia in famiglia passò quasi inosservata. Anzi, la mamma sembrava quasi contenta di non essere la sola a soffrirne in casa.
«Nuovo bollettino! I contagi aumentano ogni giorni di più: solo oggi dieci mila nuovi casi» continuava a ripetere quella mattina la televisione ad un alto volume.
I racconti di persone colpite da più tempo dalla nuova malattia dilagante erano di giorno in giorno più spaventosi. Il paese intero era stato travolto in poche settimane da questa strana epidemia: non era una malattia come le altre, non provocava dolori fisici. I medici da mesi stavano analizzando dati per cercare di capire da dove provenisse e come curarla. Ma nulla. Nessun valore cambiava, solo un unico inspiegabile sintomo: un aumento continuo del volume del corpo, che con il passare del tempo diventava sempre più solido, rigido, tanto da impedire alle persone affette di fare anche movimenti più banali e quotidiani, come abbracciare un amico, fare una passeggiata al parco, prendere per mano una persona, o saltellare per il viale di casa.
Erano passati pochi giorni da quando, mentre finiva di colorare un disegno in camera sua, Lise sentì dalla stanza a fianco provenire una delle tante discussioni dai toni accesi, tra i suoi genitori:
«Dobbiamo scappare da qua. Altrimenti si ammalerà anche lei», diceva a voce alta la mamma.
«Non essere sciocca, Susanna. Non hai sentito che i medici hanno escluso che i bambini possano prendere la nuova malattia?», cercava di tranquillizzarla il papà.
«Dicono tutti il contrario di tutto. La verità è che nessuno sa da dove viene questa cosa e come possiamo curarci. Ascoltami Giorgio: la sola cosa da fare è andarcene da qui!»
«Ma per fare cosa? Lo sai che l’interno pianeta è al collasso. Non cambierebbe nulla se ce ne andassimo».
E già non cambierebbe nulla. E ora anche lei aveva quella cosa. Inspiegabile. Incredibile. Quasi da non riuscire a riconoscersi. Si era impossessata del suo corpo senza chiedere il permesso, e ora si trovava di punto in bianco a doverci fare i conti. Chi era? Cosa voleva?
E poi ciò che Lise temeva tanto… successe! Era stata chiamata già diverse volte per sedersi a tavola con il resto della famiglia per pranzare. Non poteva non andare, qualcuno sarebbe andato a cercarla in camera e avrebbe comunque scoperto ciò che stava tentando di tenere nascosto. Ma come avrebbe potuto? Non poteva neanche uscire di casa.
Prese coraggio: uscì dalla sua camera e si andò a sedere nella sedia di sempre a testa china.
E fu un attimo. La mamma entrò dalla cucina e la vide. Lise sentì solo un urlo straziante e acuto. Una sirena così forte da riuscire a svegliare ogni essere vivente nel raggio di centinaia di metri di distanza.
«Noooooooooooooo! Tu no! Non può essere! Hanno detto che non era possibile!!!».
Una tempesta di dolore, paura e tristezza invase la casa. Lise, seduta sulla sedia davanti al tavolo da pranzo rimase ferma immobile. Inerme. Senza sapere cosa dire e fare.
Avrebbe voluto abbracciare la sua mamma e dirle che andava tutto bene, ma non poteva. Il corpo della mamma non glielo avrebbe permesso, era già troppo ampio e rigido per consentire anche solo un abbraccio. Nel frattempo la mamma continuava a urlare, camminare avanti e indietro per la stanza. Iniziò a chiamare gli altri componenti della famiglia, poi prese il telefono e compose il numero della nonna, poi quello del medico, poi ancora e ancora…
Lise era convinta che qualsiasi cosa avrebbe detto o fatto in quel momento non avrebbe potuto incidere sulle emozioni esplosive della madre, e così si alzò silenziosamente e tornò in camera sua chiudendo piano la porta.
Passarono ore di totale silenzio all’interno della camera e urla e pianti fuori dalla porta.
Lise rimane un tempo interminabile a guardare fuori dalla finestra in attesa che tutto finisse.
Le strade erano deserte, il parco dove spesso andava a giocare con le amiche anche. Ogni spazio conosciuto della città che più conosceva al mondo, si era trasformato da luogo vivo, rumoroso, movimentato a spazio vuoto, senza vita.
Si sdraiò nel letto e si abbandonò ad un lungo e profondo sonno, nella speranza che potesse portare via con sé tutto, e tornare alla tanto desiderata normalità.
L’orologio segnava le 18. Il sole era ancora alto, quando sentì dei rumori provenire dalla sua camera.
«Chi c’è?» chiede Lise.
«La, la la, la, il sentire, la la la la il capire….».
«Chi sei?» Lise udiva forte la voce, ma davanti a lei non vi era nessuno. Si voltò, ancora e ancora. Rimase in ascolto e la voce tornò…
«La, la la, la, il sentire, la la la la il capire….»
«Chi sei?» provò a richiedere, questa volta con voce più calma.
«Sono io Lise. Vivo con te da quando sei nata, solo che fino a stamattina ero invisibile»
«Sei tu la mia nuova malattia?»
«Mmmmm lasciami pensare. Direi di no: non sono tua, non sono una malattia. Direi di no!»
«E allora chi sei?»
«Non è tanto importante chi sono, ma quanto spazio mi concedi in te».
«Io non ho mai voluto darti spazio. Neanche ti conosco».
«Oh sì che mi conosci Lise. Ero presente ogni volta che dovevi scendere le scale della cantina buia e trattenevi il fiato ad ogni gradino, ero lì quando hai visto per la prima volta il cane dei tuoi vicini di casa, ero con te quando sei salita su quel grande albero in giardino e poi non riuscivi a scendere. Quando ti sei persa in quel negozio e non riuscivi a ritrovare i tuoi genitori. Io ci sono sempre stata: sei tu che non te ne sei mai accorta.»
«E cosa ci facevi lì?»
«Per ricordarti che tutto sarebbe andato per il meglio. Per aiutarti a trovare soluzioni ai problemi, per darti energie per scappare, o per mantenere la calma…a seconda dei casi!»
«Se la Paura?»
«Non lo so, mi chiamano in diversi modi. Timore, reazione, emozione, paura, fobia…».
Lise attese qualche attimo poi chiese sconcertata e confusa: “Cosa vuoi da me?».
«Mi hai chiamata tu. Credo tu sia preoccupata per la tua mamma. Ma non dovresti»
Lise annuì e abbassò il capo
«Cosa stai facendo? Cosa mi sta accadendo?»
«Non sono io Lise a decidere. Io sono sempre esistita, solo che prima avevo una casa piccola dentro di te. Ma ora le cose stanno cambiando»
«Cioè? Spiegami meglio che non capisco…»
«Le case dentro gli umani erano ben gestite sino a pochi mesi fa. Il “vigile interiore” faceva il suo lavoro: ad ognuno il suo posto, la sua bella casa e nei momenti di necessità, venivamo chiamati ad intervenire per risolvere emergenze, situazioni difficili».
«Le emozioni…»
«Se ti fa piacere chiamarle così… Sta di fatto che da qualche tempo regna il caos. Il vigile interiore troppo stanco dagli straordinari richiesti si distrae facilmente ed è lì che una di noi prende il potere, spesso la più forte e in molti casi è la paura. Questi umani guidati dalla paura si convincono di essere loro stessi la paura e quest’ultima prende possesso di loro, si allarga dentro, ampliandosi sempre di più, sino a che non riescono a fare più nulla».
Lise si guardò nello specchio di fronte al letto. Chiuse gli occhi, tirò un sospiro lungo e profondo e li riaprì. Una forma nuvolosa partì dal centro del suo corpo e si alzò nella stanza, poi si spostò nello spazio, sino a fermarsi accanto a lei e lì rimase. Il corpo di Lise iniziò a ridursi sempre più, sino a tornare alla sua forma e dimensione naturale.
Si guardarono per un lungo, eterno momento e poi Lise sorrise sollevata.
Stava per succedere anche a lei. Per poco non ci era cascata: per poco non aveva permesso che la paura prendesse piede in lei. Per poco.
Una gran fortuna. E così corse dai genitori per spiegare quanto aveva appena scoperto: ci si poteva liberare, si poteva vivere la paura, senza farsi vivere da lei.
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