Chiude la cultura: le voci dei lavoratori dello spettacolo, tra sipari calati, sforzi vani e incertezze
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Genova - Sceneggiatori, attori, tecnici del suono, della luce, truccatori, sarti, direttori di scena, maschere e tanti altri profili professionali, tra cui gli insegnanti di teatro, si ritrovano di nuovo di fronte alla chiusura totale dei palcoscenici. Viene bloccata così, l’intera filiera dello spettacolo, che stava faticosamente cercando di rialzarsi dopo il lockdown.
E pensare che poco prima dell’ultimo DPCM, l’AGIS – Associazione Generale Italiana dello Spettacolo – aveva diffuso un comunicato stampa circa la sicurezza dei teatri: secondo un monitoraggio degli eventi teatrali, a partire dalla riapertura, è stato registrato un solo caso positivo, che a seguito di ulteriori controlli, ha attestato poi la negatività di tutti gli spettatori entrati in contatto con lo stesso. Un unico contagio, quindi, su un pubblico complessivo di quasi 350.000 persone. Dato che dimostra quanto tutti i professionisti teatrali abbiano lavorato duramente in questi mesi per il rispetto delle norme anti-covid.
Quali saranno ora i contraccolpi sul settore? E sul tessuto culturale in toto? Ne ho parlato con diversi professionisti.
INVISIBILI
Raffaella Russo, che da ventisei anni si occupa di didattica teatrale e produce e dirige spettacoli come gruppolimpido, un’associazione genovese di teatro, mi ha espresso la sua perplessità: «Nessuno, finora, ha saputo spiegarci se le realtà come la nostra (mai citate, invisibili) sono assimilabili a “centri culturali e circoli”. Può qualcosa di innominato essere chiuso per decreto? Detto ciò, perché non si pensa di fornire un aiuto economico alle associazioni? Si pensa che non paghino affitto e utenze? Durante il lockdown ci hanno salvato i soci e le persone che apprezzano il nostro lavoro, ma riterrei giusto poter chiedere un contributo per questo mese di inattività e, ancor più doveroso, che venissero citate le scuole di Teatro nei decreti. Preciso che noi lavoriamo in pieno rispetto delle norme anti-covid, con distanza interpersonale garantita, per questo abbiamo dovuto diminuire il numero di persone dei gruppi e indubbiamente le difficoltà sono tante, ma il desiderio di proseguire è più forte. Vorremmo soltanto creare, non essere invisibili».
ASSENZA DI PENSIERO
E siccome il teatro è soprattutto un’arte che, in quanto tale, nutre il pensiero dell’uomo, quali possono essere le effettive conseguenze dell’annullamento di un aspetto così trasversale, ma essenziale della vita? «Sono sincera – mi racconta Simona Garbarino, pedagogista teatrale e formatrice – io non credo ci sia un retropensiero a monte, che intende azzerare il mondo della cultura, piuttosto credo nell’inconsapevolezza di chi ci governa di stare togliendo alla popolazione, già disorientata e in preda al nulla, stimoli aurorali come quelli legati alla cultura. Eppure è proprio la cultura che incoraggia un pensiero trasformativo, indispensabile in una situazione di deprivazione come quella che stiamo vivendo. E lì sì, si azzera l’uomo».
Anche Igor Chierici, direttore artistico della rassegna teatrale Sea Stories festival, esprime la sua costernazione: «Come direttore di un festival, mi sono ritrovato costretto ad annullare tutte le nuove date e noi, nel piccolo, non possiamo fare nessuna rivoluzione: restiamo fermi e attendiamo nuove disposizioni. Dal mio punto di vista, sia di attore che di direttore, si poteva prestare un occhio di riguardo maggiore al settore culturale, perché, a mio avviso, il problema dei contagi non è risolvibile chiudendo tutto alle 18, ma supportando meglio le persone che si spostano ogni giorno sui mezzi pubblici per raggiungere scuole e luoghi di lavoro. Dal nostro canto, possiamo di sicuro trovare artisticamente nuovi modi di poter portare avanti la nostra passione, anche se, attualmente, lo sconforto sta giocando una carta importante in questa partita».
SFORZI CADUTI NEL NULLA
«Quello che mi sorprende, quando si prendono queste decisioni, – continua la Garbarino – è che non ci si interfaccia mai con gli interlocutori, che avrebbero potuto fornire dati confacenti alla situazione. Io come pedagogista, in questi mesi ho dovuto modificare del tutto l’assetto della formazione, la metodologia e l’approccio alle pratiche teatrali, pur senza intaccare la qualità della didattica. Come Teatro dell’Ortica, poi, abbiamo dovuto trasformare sostanzialmente la propedeutica teatrale, eliminando il contatto, che già di per sé è un ossimoro in teatro, ma senza variare in intensità formativa. Naturalmente, tutto questo sforzo adattivo, fattivo e ideativo è caduto letteralmente nel vuoto con le ultime disposizioni, sottoscritto senza pensare a cosa significhi una chiusura totale del teatro per tante famiglie che dipendono anche economicamente dalle maestranze che ruotano attorno alla scena teatrale».
UN PRETESTO PER SVECCHIARE IL TEATRO
Uno sguardo sul futuro del settore? «Questa situazione può sicuramente contribuire a dare un’ulteriore svecchiata al settore – prosegue Chierici –: nascerà un nuovo “Teatro 2.0”, ma prima bisognerà rivoluzionare il meccanismo consolidato di fare teatro. Per esempio, noi come attori in quarantena ci siamo resi disponibili a supporto delle scuole: da interpreti, abbiamo dato il nostro contributo, con letture e approfondimenti artistici che spaziavano in tutte le materie, dalla storia alla letteratura. È il momento di inventarci qualcosa: in queste situazioni di difficoltà è l’ingegno che la fa da padrone e noi attori siamo fortunati, perché lo possiamo fare».
E visto che oltre “all’istituzione teatro”, esistono tantissime piccole realtà artistiche che compongono effettivamente la macchina teatrale, l’auspicio è che gli artisti trovino effettivamente l’ispirazione per riuscire, nonostante tutto, a portare avanti una passione che per gli spettatori rappresenta una scintilla “di nutrimento dell’anima”, in questo momento storico così nero.
“Nel mezzo delle difficoltà nascono le opportunità“ – Albert Einstein
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