26 Ott 2020

Altro denaro, molto altro denaro

Scritto da: Libero Repubblico

L'ossessione del denaro accompagna le nostre vite e con l'arrivo del Covid è divenuta per molti ancora più pressante e incombente. Come ribellarci? Ce ne vogliamo liberare o l'abbiamo accettata per sempre? Un celebre libro di Tolstoj pubblicato per la prima volta nel 1894 è lo spunto di riflessione che anima il primo articolo di questa nuova rubrica.

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Non aveva voglia di dormire. Sdraiato sulla paglia, pensava. Pensava sempre alla stessa cosa, a ciò che rappresentava lo scopo, il senso, la felicità e l’orgoglio della sua vita: al denaro, a quello che aveva guadagnato, a quello che avrebbe potuto guadagnare in avvenire, al denaro che possedeva e guadagnava la gente di sua conoscenza, a come quelle persone avevano guadagnato e guadagnavano il loro denaro, pensava a come avrebbe potuto imitarli per guadagnare anch’egli dell’altro denaro, molto altro denaro.

(Lev Tolstoj, Padrone e servo, Ortica Editrice Soc. Coop.)

Per cominciare questa rubrica ho scelto di partire da lontano. Non perché sia una persona oltremodo nostalgica dei tempi andati, ma semplicemente perché in un luogo dove ripubblico testi già pubblicati con i quali mi aiuto nel raccontare il pensiero che cambia, come anche quello che più o meno resta stabilmente accettato, ho pensato, appunto, che fosse utile partire da un pensiero cronologicamente lontano da noi ma allo stesso tempo molto adatto a descrivere una certa cultura sociale dei nostri giorni.

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Si può dire che il periodo in cui fu pubblicato per la prima volta questo libro, anno 1894, sia stato anche il periodo in cui si affermava nel mondo occidentale, e poi oltre i suoi cosiddetti confini, la rivoluzione industriale.

Cominciava ad accelerare quella tendenza umana a concentrare il proprio modello di sviluppo sulla produzione e l’accumulazione seriale della ricchezza materiale, e di conseguenza una tendenza, uguale e contraria, all’allontanamento dal mondo e dalle leggi che si dicevano “naturali”.

Un mondo che oggi definiremmo “antropocene”, sempre per il fatto che non ci prendiamo mai troppo sul serio.

Così quello spirito del tempo che Tolstoj coglieva così bene nelle sue elaborazioni letterarie ci può condurre fino ad oggi. Lo spirito del denaro, del guadagnare denaro, dell’accumulare denaro. In altre parole, il pensiero del denaro.

Che vogliamo o no infatti il pensiero del denaro ci attanaglia e ci stringe nelle sue morse oppressive.

Pensiamo al denaro quando cerchiamo un lavoro, ma anche quando dobbiamo scegliere cosa studiare per poi trovarlo, quel lavoro.
Pensiamo al denaro quando pensiamo che invece di studiare forse è meglio provare la strada dell’influencer in rete.
Pensiamo al denaro quando attendiamo l’arrivo delle bollette o della tassa sui rifiuti.
Pensiamo al denaro quando dobbiamo fare la dichiarazione dei redditi, o quando dobbiamo decidere se firmare o no un qualsivoglia contratto.
Pensiamo al denaro anche quando ci sono le elezioni politiche perché da queste ultime dipende la salita o la discesa dello spread tra i titoli di stato.
Pensiamo al denaro quando ci alziamo la mattina e spesso quando andiamo a letto.

Forse lo sogniamo anche, il denaro.

Tutto questo avviene perché senza denaro non si vive, e spesso oggi nemmeno si riesce a sopravvivere. Perché in fondo se vuoi vivere devi pagare qualcuno che te lo permetta, in un gioco di scambi continui di denaro, appunto.

Con l’arrivo del Covid 19 per molti l’ossessione del denaro per vivere è diventata se possibile ancora più pressante e incombente. In fin dei conti siamo sempre più consapevoli che noi siamo i servi e il padrone è il denaro stesso. Come facciamo allora a ribellarci a questa servitù? Ce ne vogliamo liberare? O l’abbiamo accettata per sempre?

Io credo che la questione, per lo meno il punto di partenza di questa eventuale ribellione, sia semplice: dobbiamo cambiare il punto di osservazione.

Se il denaro segue il punto di vista della necessità allora il “pensiero che cambia” potrebbe seguire il punto di vista del desiderio. E naturalmente dare a quest’ultimo la dimensione della possibilità. Questo secondo me è il centro del problema, perché la possibilità, come sosteneva Kierkegaard, precede la realtà. Perché in fondo la nostra esistenza è nutrita dal dubbio di ciò che sarà e quindi di quali possibilità si affermeranno come realtà e quelle che invece rimarranno nella dimensione del possibile senza mai realizzarsi.

Ecco, oggi, più che in qualsiasi altro momento della mia vita, vedo un pensiero che sta cambiando e sta costruendo possibilità che prima non erano visibili per una realtà diversa da quella attuale. Le possibilità di un altro spirito delle cose di questo mondo. È uno di quei momenti dell’umanità in cui il cambiamento si mostra come l’unica cosa inevitabile, e allo stesso tempo si radicalizza. Distopia e utopia si confrontano fino a che una delle due libererà il campo (delle possibilità) dall’altra.

Il bello è che molto dipende da ognuno di noi, che di queste possibilità è tutti i giorni portatore.

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