Rientro a scuola: come stanno i bambini? L’opinione della pedagogista
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Genova - In Liguria, dal nido all’università, tutte le istituzioni hanno optato per la riapertura scolastica (eccetto a La Spezia, dove l’inizio della scuola è slittato di dieci giorni a seguito del recente picco di contagi), pur prevedendo l’eventuale manifestazione del virus, con ricadute che porterebbero all’isolamento solo della persona contagiata, non a un nuovo lockdown. E se è vero che, in qualche modo, con il covid-19 si deve imparare a convivere e che la questione sicurezza è prioritaria per tutti, viene spontaneo chiedersi come i bambini possano vivere questa “nuova” scuola post-quarantena e se esiste un progetto pedagogico per affrontare il ritorno in aula. Ne ho parlato con la dott.ssa Sara Oliva Boch, pedagogista genovese.
Dopo i lunghi mesi di lockdown, i bambini stanno tornando a una normalità “nuova”. Dal punto di vista pedagogico, cosa è cambiato?
Per capire cosa è cambiato dal punto di vista pedagogico bisogna prima avere ben presente che tutto ciò che afferisce alla pedagogia si basa sulla relazione: con l’adulto di riferimento, con un testo, con l’ambiente, naturale e non. Quando l’elemento che costituisce e fonda la relazione viene intaccato, manomesso, alterato, non è possibile che questo non abbia effetti anche sulla qualità della pedagogia che si va a costruire. Le nuove barriere relazionali (distanziamento, copertura di naso e bocca con conseguente impossibilità di leggere lo stato d’animo di chi si ha di fronte, separatezza, etc.) certamente impongono un modo diverso di fare educazione e formazione, a tutti i livelli. Possiamo quindi dire che è cambiato molto e quello che posso augurarmi come pedagogista ma anche, soprattutto, come essere umano è che si possa presto ritornare ad una relazionalità più libera e fluida.
I bambini possono incontrare difficoltà nell’ambientamento con le nuove regole (distanziamento, mascherine, etc.)?
Sicuramente anche i bambini possono sentirsi, nei confronti delle nuove regole, disorientati, infastiditi, impacciati, esattamente come gli adulti. Quello su cui però credo sia interessante soffermarsi è cosa, a livello simbolico, raggiunge i bambini: quali messaggi inviano ai bambini queste modalità di stare “vicini”? In fondo, spesso, i più piccoli hanno capacità di adattamento decisamente migliori rispetto a noi adulti, ciò che però manca loro è la capacità di significare e astrarre la realtà e, dunque, valutare da diverse angolazioni una situazione, un contesto. L’adulto accanto serve anche a questo, ma cosa accade quando anche all’adulto/agli adulti di riferimento mancano di questi strumenti? Abbiamo grandi responsabilità, soprattutto adesso.
Sebbene sia prioritaria la ripresa di un’attività educativa, come pedagogista trovi che le scuole stiano sviluppando “antidoti resilienti”, offrendo strumenti per rielaborare quanto successo nei mesi scorsi, senza nasconderlo?
Non so come si sono organizzate le scuole e gli asili nido. Immagino, però, che nello spiegare, soprattutto ai più piccoli, le nuove regole per stare insieme, si trovi anche lo spazio per parlare di ciò che sta accadendo e, nella migliore delle ipotesi, cosa sta accadendo loro durante tutto questo. Dall’altra parte, c’è il rischio di un sovraccarico, sia a livello di informazioni sia a livello emotivo: qualcuno potrebbe avere desiderio e bisogno di parlare anche di altro, vista la sovraesposizione all’argomento degli ultimi mesi. Come sempre, dinnanzi ad una situazione complessa e complicata, non esistono risposte unilaterali, ma possibili sguardi plurilaterali che tentino di tenere insieme quanto più possibile le tante sfumature che caratterizzano il quadro.
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