14 Set 2020

La rete dei produttori sostenibili del Salento che valorizza biodiversità e filiera corta

Scritto da: Cristina Diana Bargu

Salento Km0 è un'associazione che dal 2011 mette in rete i piccoli produttori locali, promuove il consumo critico e la filiera corta, l'agricoltura organica e la salvaguardia della biodiversità. La sfida è quella di valorizzare le tipicità del territorio creando al contempo, in particolare per i giovani, nuove opportunità per un futuro sostenibile.

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Lecce, Puglia - Sono passati quasi dieci anni dalla nascita di Salento Km0, l’associazione che dopo aver censito e mappato le numerose realtà del territorio salentino che operano nell’agricoltura in modo sostenibile nella sua «Guida ai produttori sostenibili e alle antiche varietà del Salento», oggi ormai alla sua terza edizione, ha arricchito la sua attività offrendo corsi di formazione e laboratori e ha dato il via ad una rete innovativa, capace di innescare un cambiamento culturale. Per raccontarvi questa storia di cambiamento abbiamo intervistato una delle fondatrici, l’antropologa culturale e appassionata di etnobotanica – ovvero del rapporto che si viene ad instaurare fra la comunità e le piante – Francesca Casaluci.

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Come si è formato il gruppo di fondatori e com’è nata l’idea di ricercare, censire e mappare le realtà agricole virtuose del Salento?
Eravamo un gruppo di amici che vivevano a cavallo fra il Salento e altre regioni, chi per studio, chi per lavoro. Quando nel 2011 il cementificio presente nel nostro comune d’origine, Galatina, in provincia di Lecce, ha voluto trasformarsi in un inceneritore si è formato un comitato di cittadini per opporsi a quest’opera. Siccome le argomentazioni di queste industrie girano spesso intorno al ricatto occupazionale – si dice dunque che senza incenerire i rifiuti tante persone dovranno essere licenziate – volevamo dimostrare che c’era un settore, quello delle aziende agricole, che avrebbe sofferto tantissimo se fosse stata impiantata un’industria nociva di questo tipo.

Facemmo così firmare un documento a protezione del territorio dalle aziende agricole locali, e in questo modo entrammo in contatto con tutta una serie di realtà che noi, lasciato il Salento qualche anno prima, non immaginavamo neppure che esistessero. C’erano per esempio ragazzi che avevano preso in mano le redini di aziende agricole e che nell’ottica della sostenibilità stavano realizzando progetti molto interessanti. Da lì è nato il desiderio di promuovere queste persone e le loro pratiche, e di farle conoscere in un’ottica di filiera corta, di modo che i negozi di biologico della zona potessero valorizzarli. Così abbiamo dato vita a Salento Km0 e prodotto la «Guida ai produttori sostenibili e alle antiche varietà del Salento», che conteneva indicazioni su dove andare a fare la spesa, ma anche notizie storiche e curiosità sulle varietà antiche tradizionali.

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Come si è arricchita nel tempo l’esperienza di Salento Km0?
Una prima svolta c’è stata nel 2015, quando abbiamo vinto il Bando della Regione Puglia per l’assegnazione di un laboratorio urbano e finalmente la nostra associazione ha avuto una sede e dei fondi con cui iniziare ad organizzare corsi di formazione, laboratori e numerose attività, facendoci conoscere ad un pubblico più ampio.

Una seconda svolta, invece, è stata costituita dalla nascita della rete Salento Km0, nel 2017. Ci siamo infatti resi conto che oltre a censire e mappare queste realtà era necessario fare un passaggio ulteriore e avviare un percorso comune per riuscire a trasformare in modo più incisivo il nostro territorio. Con questa consapevolezza, dunque, abbiamo iniziato a coordinare e ad animare una serie di incontri territoriali con le aziende che già seguivamo. L’esperienza si è rivelata molto partecipata, e da allora questo processo va avanti all’insegna dello scambio di idee, di mezzi, di informazioni fra le diverse realtà e progetti.

Quali sono i temi che caratterizzano i corsi e i laboratori che offrite? Com’è la ricezione del territorio?
Nel corso degli anni abbiamo spaziato fra l’agricoltura sostenibile, la cura biologica degli agrumi, il corretto compostaggio in azienda, la valorizzazione delle biodiversità locali, l’utilizzo dei microrganismi in agricoltura e attualmente stiamo organizzando un corso di agricoltura organica rigenerativa. L’idea è quella di fornire conoscenze tecniche non convenzionali, creando le basi per l’utilizzo di pratiche alternative.

La ricezione è ottima, c’è molta sete di conoscenza, soprattutto oggi che il passaggio intergenerazionale dei saperi si è un po’ spezzato. Dopo l’abbandono delle campagne, infatti, le occasioni di apprendimento sono diventate più rare e spesso sono decontestualizzate.

D’altra parte ci sono tantissimi giovani che si stanno rivolgendo alla terra, al mondo dell’agricoltura, alla ricerca dell’auto-realizzazione e dell’autonomia che una vita di precariato in una grande città non renderebbe possibile. Spesso si dice che il lavoro agricolo è duro – ed è vero, lo è, ma in un certo senso lo sono tutti i lavori. Chi fa oggi un lavoro nella comunicazione si ritrova spesso a fare due o tre lavori. Anche i tempi, in molti casi, sono talmente dilatati che il confine fra lavoro e non lavoro è sempre più assottigliato. La terra, considerato questo contesto socio-economico, diventa una dimensione nella quale è ancora possibile creare delle sperimentazioni, delle alternative, se vogliamo anche politiche.

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Come si è trasformato il territorio salentino – anche grazie al vostro contributo – da quando avete fondato l’associazione?
Qui, nella provincia di Lecce, parlare di biologico, di tecniche agricole alternative e di salvaguardia della diversità nel 2011 era pionieristico. Quando abbiamo fatto la prima guida, visto che le varietà antiche di cui raccontavamo hanno una denominazione comunale – come il pisello di Zollino, o la lenticchia di Soleto – abbiamo pensato di chiedere sostegno alle amministrazioni e queste ci hanno riso in faccia. Oggi la visione di questi temi è cambiata: la Regione, in questi anni, ha già avviato vari progetti inerenti a queste tematiche, collaborando anche con l’Università, e sono in atto dei processi di valorizzazione anche da parte dei comuni.
Forse questi cambiamenti sarebbero avvenuti ugualmente, ma noi abbiamo creato le condizioni per poterli realizzare in tempi più veloci, animando e moltiplicando le relazioni sul territorio.

Quali sono i prossimi passi che state progettando?
Stiamo sviluppando un e-commerce nel quale vendere il frutto del lavoro dei piccoli produttori salentini. Il primo problema di un piccolo agricoltore, infatti, è esistere. Perché questo sia possibile è necessario lavorare affinché tutte le esternalità positive che provengono da un’agricoltura sostenibile vengano riconosciute, culturalmente ed economicamente.

Pensiamo che sia arrivato il momento di unire la missione ambientale e sociale a quella economica. Sempre più spesso si parla di restanza, di restare per resistere all’abbandono dei piccoli comuni e allo spopolamento. La nostra sfida è creare delle condizioni in cui sia possibile continuare a lavorare e a prendersi cura del territorio con una retribuzione dignitosa. Questo si riallaccia anche ai temi dei cambiamenti climatici. Sono i piccoli produttori che stanno iniziando a percepirne per primi gli effetti. Allo stesso tempo sono i piccoli agricoltori che possono fare la differenza, usando poca acqua, non inquinando la falda, coprendo il suolo per evitare la perdita di fertilità, svolgendo insomma dei servizi ecosistemici da cui tutti noi possiamo trarre beneficio.

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