Il Museo dell’Arte della Lana: tramandare la storia per rigenerare il senso della comunità
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La zona del casentinese è storicamente legata alla produzione della lana. Nei secoli, tutta la lavorazione e il commercio di tessuti in lana, con la produzione del “panno” casentinese, hanno caratterizzato il territorio creando economie fiorenti, comunità emancipate e un’identità di prestigio.
La vicinanza alle economie rinascimentali fiorentine favorì lo sviluppo di quest’arte così come il territorio era adatto alla transumanza delle pecore da lana e i numerosi corsi fluviali facilitavano la lavorazione del tessuto dal lavaggio all’utilizzo della forza motrice delle acque per le macchine. Questo settore ha pertanto contribuito a creare l’identità di questa comunità che ha saputo emanciparsi anche socialmente, come dimostra storicamente il forte impiego femminile negli opifici.
Nella sede dell’antico Lanificio di Stia ora risiede il Museo dell’Arte della Lana, voluto dalla Fondazione Lombard. Per saperne di più sulla storia, il presente ed il futuro possibile di questa realtà intervisto Claudio Grisolini, curatore della collezione delle macchine, storico del panno casentinese e membro del comitato scientifico del museo per capire le novità di questo difficile periodo.
«Il tessile è sempre stato l’ago della bilancia nelle crisi, è il primo settore a fermarsi e l’ultimo a ripartire perché non è un bene di prima necessità. Tanto più ora che abbiamo tutti gli armadi zeppi di capi per ogni occasione».
Fino al 2000/2001 la filatura della lana veniva fatta al museo, ora le uniche due macchine in grado di lavorare la nostra lana sono a Prato, ma purtroppo ora sono ferme perché non ci sono le commesse straniere né quelle italiane poiché tutto il settore, negozi in primis, sono in crisi.
Le pecore da lana
Nel mondo globalizzato la lana proviene prettamente dall’Australia, dalla Nuova Zelanda e dal Sud America (Uruguay).
Ma la lana toscana ha una storia antica. Già nei registri dei secoli passati, intorno al 1600-1700 in maremma erano registrate 290.000 pecore e un terzo di queste appartenevano al casentino.
«Le nostre pecore erano acclimatate al freddo e grazie alla transumanza fornivano il materiale adatto all’utilizzo tessile. Dall’1800, in seguito alle bonifiche, da quando la possibilità di transumanza è finita per la privatizzazione delle terre soprattutto in maremma, non c’è più stata la possibilità di selezione degli animali e il mercato si è praticamente fermato.
In Puglia stanno riattivando la transumanza per valorizzare la “gentile” di Puglia in grado di fornire una lana simile alla merinos. Così in alcune zone della Francia.
Le pecore sarde, invece non si acclimatano bene al freddo e i pastori sardi, che dal dopoguerra si sono trasferiti in Toscana, hanno convertito la produzione verso l’industria casearia o per la produzione di carne soprattutto verso il Lazio per la vendita dell’abbacchio.»
Quindi ora la lana è un rifiuto speciale.
Il tessuto riciclabile
La lana era un materiale in grado di essere continuamente riciclato, dai capi consumati la lana veniva rigenerata per farne un tessuto nuovo. Addirittura dallo scarto del lavaggio si otteneva la lanolina che insieme al “ranno” cioè la lisciva (cenere e acqua bollente) funzionava da sapone. Così non si buttava via nulla e durava per sempre.
Novità dal Museo
Il Museo, già raccontato da noi in questo video, offre ai visitatori nuovi percorsi sensoriali, tattili, visivi, uditivi. Sono state aggiunte le scritte in braille grazie alla collaborazione con associazioni di ipovedenti o non vedenti. Una novità sono anche degli audio con i rumori delle macchine in lavorazione per creare una esperienza più immersiva.
A causa dell’emergenza sanitaria è stata rimandata l’inaugurazione dei percorsi di accompagnamento da audioguide. «Purtroppo è tutto un po’ fermo. L’utenza costituita soprattutto da scolaresche o da giovani che partecipavano ai laboratori e alle diverse tipologie di corsi è al momento scarsa. Ma un po’ tutto il settore tessile è in sofferenza. Noi andiamo avanti, facciamo rete con le altre attrattive culturali e turistiche della zona, cerchiamo di rispondere ad esigenze sempre diverse che nascono dai cambiamenti, ad esempio ora vogliamo intercettare i flussi turistici dei connazionali che stanno riscoprendo il proprio Bel Paese».
L’idea è quella di essere testimoni di una storia e di un presente che ha cura della propria cultura e del proprio territorio. Una comunità che vuole rigenerarsi continuamente per tramandare il senso della civiltà che lo ha contraddistinto nei secoli.
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