21 Set 2020

Una famiglia in viaggio per riscoprire la bellezza dell’apprendimento

Scritto da: Elena Ghini

Un viaggio tra due continenti, con due figli e quattro ruote vivendo e sperimentando anche un modo diverso, e bellissimo, di imparare attraverso l’esperienza. Luca Vagniluca e Sameena Hassan ci raccontano la loro storia ed il loro approccio all’educazione dei bambini, narrata anche nel documentario Beautiful Learning.

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Come sarebbe il mondo se imparare fosse divertente e non percepito come un obbligo? E se ciascun bambino potesse seguire il proprio percorso di apprendimento senza pressioni? Esistono metodi diversi da quelli tradizionali per insegnare ai bambini e accompagnali verso la scoperta del proprio potenziale?

Queste sono alcune delle riflessioni suggerite da Beautiful Learning, documentario (di cui ho avuto il piacere di vederne un estratto in anteprima) realizzato dalla coppia italo-pakistana formata da Luca Vagniluca e Sameena Hassan. Partiti dall’Umbria, insieme ai loro figli Lusira e Julio hanno attraversato Grecia, Turchia, Iran, Pakistan, India e Nepal a bordo di un camion 4×4 Iveco che è stato anche la loro casa per lunghi periodi.

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Beautiful Learning è il racconto di un viaggio intrapreso da questa famiglia che si confronta quotidianamente, tra le altre cose, anche con l’educazione dei figli. Come suggerisce il titolo, il tema centrale ruota attorno alla bellezza dell’apprendimento, in ogni sua forma. Imparare è un processo meraviglioso e naturale, che non si esaurisce sui banchi di scuola e che anzi coinvolge ogni momento della vita. Una testimonianza preziosa che invita a una profonda riflessione su cosa significa imparare, sulle modalità di apprendimento dei ragazzi e anche sull’apparato scolastico di oggi. L’ampia collezione di parole, foto e video di questo e di altri viaggi di Julio, Sameena, Lusira e Luca si trova sul sito www.jusalulu.com.

«Vogliamo riportare l’attenzione sul concetto che imparare è un processo straordinario, a tratti magico. Ci siamo dimenticati della gioia legata all’apprendimento, abbiamo inscatolato l’educazione dei bambini e dei ragazzi in programmi scolastici rigidi senza tenere conto delle diversità. A scuola più che per imparare sembra che si vada per seguire un programma, che non tiene conto del carattere dei singoli bambini. La curiosità, l’impulso di capire e sperimentare cose nuove sono intrinsechi nell’essere umano, soprattutto se non soffocati da aspettative e costrizioni».

Sameena mi spiega, durante l’intervista telefonica, il cuore del progetto e Luca continua: «La schematizzazione eccessiva dell’impianto educativo credo allontani i ragazzi dall’interesse per la scuola, spesso si rifiutano di imparare perché non ne sono incuriositi, così si ottengono risultati opposti a quelli sperati. Anche per gli insegnanti è un limite, sono impossibilitati a esprimere le proprie capacità e la propria creatività. Dobbiamo ripensare alla scuola e non solo tentare di migliorarla. Con questo documentario desideriamo aprire una discussione. Sottolineo che i bambini imparano continuamente, anche nel cortile di casa. Noi in prima persona ne diamo dimostrazione. Molte idee sull’apprendimento, il concetto di scuola e il modo di insegnare si possono confutare. Percorrendo strade alternative si ottengono risultati uguali se non migliori».

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Luca con i suoi figli Lusira e Julio

In Italia a fianco della scuola tradizionale, esistono istituti, riconosciuti dal MIUR, che propongono metodi di insegnamento alternativi, come ad esempio la scuola Montessori e la scuola Steineriana. Lusira e Julio hanno scelto, insieme ai genitori, la strada dell’Homeschooling o scuola Parentale: l’educazione dei bambini è affidata ai genitori e organizzata nella propria abitazione.

Chiedo a Sameena le motivazioni della scelta e come impostano le lezioni. «I nostri figli imparano a casa. La scelta dell’Homeschooling è stata presa insieme ai bambini dopo aver vagliato diverse opzioni. É una decisione che coinvolge l’intera famiglia, uno stile di vita. Noi ci poniamo verso i nostri ragazzi non come insegnanti, un ruolo che implica una separazione da loro, ma piuttosto come accompagnatori. Scegliamo e selezioniamo il materiale su cui studiare e fare esercizi, siamo presenti ma li sproniamo anche a gestire le risorse in autonomia. Provvediamo a un ambiente stimolante, mescolando attività pratiche a quelle teoriche.

Potevamo scegliere anche una scuola sperimentale. Ma la grande differenza che c’è tra una struttura scolastica e l’Homeschooling, per come la facciamo noi, è il rispetto dei tempi di apprendimento del ragazzo. Ad esempio a scuola, se il bambino non è ricettivo nel momento in cui viene proposta un’attività, perde quell’esperienza. Poter lasciare al bambino la libertà di decidere quando svolgere una determinata attività è importante.

Esistono molti modi di imparare, non siamo contro la scuola pubblica e l’Homeschooling non è una soluzione universale, tuttavia, riteniamo sia necessaria un’apertura verso approcci diversi all’educazione. I bambini non sono scatole da riempire con nozioni ma esseri umani che hanno passioni, interessi e vocazioni. Capita spesso che alla fine del percorso scolastico tradizionale i ragazzi non siano coscienti di cosa vogliono perché non hanno avuto la possibilità e il tempo di sperimentare ciò che gli piace di più. Ed è un peccato perché avere il tempo di sperimentare permette di riconoscere cosa si può dare al mondo, imboccando la giusta strada senza perdere tempo».

La scuola è rimasta chiusa per tre mesi, poi l’interruzione delle vacanze estive e ora la riapertura, tra vari timori, criticità e incertezze. Tra i genitori serpeggia la preoccupazione che l’educazione dei ragazzi abbia avuto un grande danno. Sameena a proposito di questo aggiunge: «Vorrei tranquillizzare i genitori rispetto ai tre mesi in cui i bambini non sono andati a scuola. Sembra che sia un gap intellettuale incolmabile ma non è assolutamente così, avranno fatto altre esperienze, imparato altre cose che sono importanti ugualmente ma che non portano l’etichetta di una materia. Il documentario vuole dimostrare proprio questo, che si può imparare anche lontani dai banchi di scuola e si può affrontare una situazione di emergenza come questa in serenità e tranquillità».

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Sameena con Lusira e Julio

La nostra conversazione vira sul tema del viaggio, sono curiosa di sapere qualcosa in più della loro avventura e chiedo a Luca di raccontarmi come sono stati accolti dalle persone che hanno incontrato. «Ci siamo mossi per strade secondarie e attraversato regioni lontane dalle rotte più battute. Abbiamo sempre trovato accoglienza e una soluzione per tutti i problemi grandi e piccoli che inevitabilmente si sono presentati. Durante il nostro ultimo viaggio, abbiamo cercato realtà alternative da inserire nel documentario.

In Iran, ad esempio, c’è stato l’incontro con un professore universitario di biologia che ha creato più di cento Natural School in tutto il paese. Dal suo punto di vista, l’educazione deve essere svolta in un contesto naturale. I bambini delle città non conoscono la natura ed anche per questo che non possono nemmeno pensare di prendersene cura. Gli impianti scolastici moderni sono simili in tutto il mondo, indipendentemente dalla cultura o dalla latitudine. Si tende a dare più importanza ad un sapere standardizzato piuttosto che a tramandare i mestieri e gli antichi saperi. Una grave perdita per la nostra civiltà».

Continuo a chiedergli del viaggio, in particolare come hanno vissuto l’attraversamento di regioni difficili come l’Afganistan e se hanno avuto la sensazione di trovarsi in pericolo. «Tra Afganistan e Pakistan c’è la zona di frontiera più complessa che abbiamo vissuto. Transita di tutto: dalla droga alle armi alle persone. Avevamo la scorta, non potevamo muoverci in autonomia e alloggiavamo nella stazione di polizia. C’era tensione, per fortuna abbiamo incontrato persone disponibili e gentili che ci hanno rassicurati. La gente vive tutti i giorni in quelle zone con le famiglie e i bambini, a volte è più alta la percezione del rischio rispetto al pericolo reale».

Come ultima domanda chiedo a Luca cosa significa per lui viaggiare. «Io mi sento terribilmente stretto quando sto a casa. Anche se vivo in campagna, gli spazi per quanto grandi diventano piccoli. Il lockdown è stata una sofferenza. Al contrario, vivere in ambienti ridotti ma sempre in movimento, mi fa sentire libero perché ho il mondo davanti. Io e Sameena abbiamo trasformato il viaggio da grande passione in mestiere. Dopo tanti anni penso sia meglio portare le immagini a casa della gente che la gente in giro per il mondo. Il turismo di massa ha provocato danni enormi.
Realizzare un documentario significa trasmettere emozioni più che informazioni pratiche su un luogo. Riuscire a coinvolgere il pubblico suscitando curiosità e meraviglia è una grande soddisfazione».

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