Spontaneus: quando il cibo selvatico è in fermento
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Spontaneus è un progetto nato dall’idea di Nicolò Pagnanelli, studente dell’Università di Scienze Gastronomiche di Padova, al quale si è successivamente affiancata Annalisa Malerba, che da anni si occupa di piante e cibo e delle diverse trasformazioni alimentari in un’ottica che spazia tra la chimica alimentare, la nutraceutica fino alla botanica e all’antropologia.
Il progetto nasce un anno fa e racchiude due campi di ricerca: la fitoalimurgia e le fermentazioni. Entrambe queste conoscenze stanno diffondendosi velocemente, un po’ perché ristoratori e cuochi raccolgono le nuove esigenze del mercato e un po’ perché autoproduzione e autosufficienza sono le nuove competenze per una seria resilienza personale.
La fitoalimurgia si occupa della conoscenza delle piante spontanee ad uso alimentare. Le piante alimurgiche sono piante spontanee eduli che bisogna saper riconoscere, raccogliere e cucinare, valorizzando le diverse proprietà a sostegno della salute. Tradizionalmente questi erano, e sono, saperi diffusi tra le donne che vivevano in contesti rurali e che si tramandavano di generazione in generazione fino a pochi anni fa.
Anche gli alimenti fermentati fanno parte delle tradizioni culinarie di moltissimi popoli. La fermentazione è un modo per conservare il cibo e per migliorarne le qualità salutistiche tramite la modulazione del microbiota che è il miglior amico del sistema immunitario e di tutti i nostri sistemi di regolazione biologica e fisiologica.
Spontaneus si occupa di ricerca e didattica: «Vogliamo fare rete con altri professionisti italiani e stranieri perché oltre la teoria bisogna confrontarsi con i risultati reali quindi costruiamo tavoli di lavoro con altri professionisti, ad esempio con gruppi di botanici e appassionati capeggiati da Roberto Vetromile, ma anche con erboristi e fitoterapeuti; ognuno approfondisce nel proprio ambito.» ci spiega Nicolò.
Annalisa ci racconta che la sua ricerca rientri anche nel campo dell’etnobotanica e della medicina popolare:« La fitoalimurgia inserisce nel piatto erbe, arbusti e alberi che fanno parte del paesaggio fuori dalle coltivazioni, dall’orto o dai giardini: cresce da sé e per questo non sono percepiti come alimenti. In realtà ormai capita che nei mercati contadini si trovino in vendita anche “erbe accompagnatrici” come la Portulaca oleracea, il Chenopodium album (il farinello), l’Amaranthus sp. pl., piante ormai diffuse sulle tavole degli appassionati.
Riprendere il contatto con l’arte del riconoscimento e della raccolta è un’attività che fa stare bene, un atto meditativo, che riconnette con il naturale. Anche i corsi che facciamo con scuole e con le associazioni per i bambini, ci donano momenti di grande entusiasmo, infatti facciamo toccare e assaggiare fiori, radici e foglie.»
Le fermentazioni sono un’attività che richiede maggior tempo e spazio: «le applichiamo a diversi substrati ma si può partire dai frutti del proprio orto. Ci sono diverse tecniche, ognuna presuppone una disponibilità ad osservare l’evoluzione del prodotto. Sono preparazioni alla portata di tutti che richiedono dedizione. Si scopre man mano che per poter disporre di cibo autoprodotto, a basso impatto energetico e dalle grandi qualità nutritive, non serve impiego di tecnologia. Ad esempio tra i metodi di conservazione degli alimenti, l’uso dell’essiccatore, anche il più economico, ci permette una interessante elaborazione del cibo, una disidratazione che trasforma positivamente i componenti di quell’alimento.»
Anche i professionisti della ristorazione si stanno rivelando molto interessati a queste tecniche e la sfida è quella di far comprendere appieno all’utente finale tutto il senso del processo che sta dietro a quel piatto.
Durante l’intervista viene spontaneo citare Carlo Nesler di cui Italiachecambia ha già raccontato. Così Annalisa ricorda che lui è stato il primo in Italia a rendere professionale l’attività di trasformazione fermentativa degli alimenti e che ha contribuito a rilanciare questa cultura.
Spontaneus promuove corsi, conferenze e workshop in Italia e all’estero ma la base principale operativa è sull’Appennino, nelle colline sopra Talla (Ar), in Località Casa La Selva. Qui si organizzano attività di vario genere e chiunque sia curioso e voglia approfondire è benvenuto, così come si ospitano i woofers e volontari interessati all’arte del foraging.
Un distaccamento di cui mi parla Nicolò è in Veneto, a Feltre, sulle Dolomiti venete:« ogni territorio ha i suoi prodotti spontanei con ognuno, sapori e caratteristiche diverse. Qui a Feltre facciamo il Sidro di mele. Dagli alberi abbandonati da oltre 50 anni, con Alessio Franceschini, raccogliamo, maciniamo e passiamo al torchio le mele che poi fermentano diventando alcoliche. Trasformiamo sia mele che pere a cui aggiungiamo ingredienti selvatici come le bacche di Corniolo o di Olivello spinoso.»
La voglia di alimenti ricchi di proprietà nutritive e curative, la bellezza dell’autoproduzione, la soddisfazione della eticità della scelta insieme alla possibilità di rendersi maggiormente autonomi dai sistemi industriali stanno facendo diffondere queste competenze velocemente. E sempre più professionalità scientifiche decidono di investire in ricerca personale e professionale.
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