“I parchi naturali possono salvarci dalla crisi ecologica ed economica”
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Trascurati e maltrattati, i Parchi naturali sono la vera risorsa che può salvarci dalla crisi ecologica ed economica, restituendoci la speranza nel futuro. Ne è convinto Franco Tassi, di vocazione naturalista, di professione docente di ecologia, ricercatore, giornalista, scrittore e soprattutto noto per essere stato il Direttore Soprintendente del Parco Nazionale d’Abruzzo nel suo “Periodo d’Oro”, vale a dire per 33 anni, dal 1969 al 2002.
Come sono classificati i Parchi italiani?
Abbiamo anzitutto i veri Parchi Nazionali: quelli storici nel secolo scorso erano appena 4 (Abruzzo, Gran Paradiso, Stelvio e Circeo), o 5 se vi includiamo anche una tardiva aggiunta (Calabria). Oggi siamo riusciti a portarli a quota 24, accompagnati da una corona di Aree Protette di vario ordine e grado: Parchi Regionali, Riserve Naturali, Zone di Tutela Europea (ZPS, SIC), per non dire dei Parchi Blu (Riserve Marine, Santuari Pelagici e altro). Un firmamento di luoghi meravigliosi, che meriterebbe di essere riordinato, potenziato e rilanciato.
Come sono nati? E come vivono?
I primi Parchi Nazionali, Gran Paradiso e Abruzzo, presero origine da Riserve Reali di Caccia, con leggi del 1922 e 1923. In realtà, però, il Parco d’Abruzzo è senza dubbio il più antico, perché era già nato per iniziativa privata. Inaugurato solennemente il 9 Settembre 1922, presto compirà 100 anni! La maggior parte degli altri Parchi è assai più giovane, risale agli anni Novanta. Frutto di una grande Campagna eco-sociologica, iniziata nel 1980 con la “Sfida del 10%” per proteggere almeno un decimo del Bel Paese, fulcro della Legge quadro sulle Aree Protette approvata nel 1991, e culminata nel 2000 con la creazione di un vero “sistema” di Parchi del massimo valore. Ma oggi la loro situazione non può certo dirsi brillante…
Quali sono i loro maggiori problemi?
La politica si è impossessata dei Parchi e li sta riducendo a carne da macello, proni a interessi localistici e settoriali o a semplici “parchi-etichetta” roboanti in apparenza, ma in realtà vuoti dentro. In altre parole, il trionfo di egoismi privi di ideali, nell’oceano di “analfabetismo ecologico” che, come ben sappiamo, contraddistingue la vita pubblica italiana.
Eppure, come lei sostiene, un Parco può produrre ricchezza diffusa, senza rinnegare le finalità di conservazione?
“La civiltà di un popolo si misura anche dal livello dei suoi Parchi Nazionali”, affermava nel secolo scorso il Presidente degli Stati Uniti d’America Franklin Delano Roosevelt. Un Parco Nazionale ben condotto, con spirito moderno, imprenditoriale e creativo (diametralmente diverso da certi mostri politico-burocratici oggi purtroppo esibiti dall’Italia), non è soltanto un apparato di vincoli, divieti e ostacoli, come molti credono. Rappresenta invece l’identità del territorio, ne promuove l’immagine a livello nazionale e internazionale, lo governa con regole equilibrate non dettate da interessi personali, settoriali, corporativi e localistici, ma ispirate al “bene comune”, attuale e futuro.
Così garantisce la Conservazione della Natura, consentendone una gestione attenta e oculata, dividendo il territorio in Zone a diversa destinazione, incoraggiando la rinascita dei borghi antichi e incentivando il turismo naturalistico (ecoturismo), che trascina con sé anche quello fotografico, ecologico, culturale, scolastico, e molto altro. Nessun’altra destinazione risponde alla vocazione del territorio meglio del Parco, nessun’altra soluzione offre un uso più oculato delle sue risorse. Perché il richiamo culturale favorisce l’evoluzione civile, la salvaguardia del bene primario Natura e la scoperta delle realtà locali, con l’impegno della gente del posto, e soprattutto dei giovani.
Nel libro “Avventura Parco” viene rievocata l’esperienza del Parco Nazionale d’Abruzzo, risollevato dalla rovina e diventato modello internazionale. Come sintetizza questa esperienza?
Bastano poche cifre, che esprimono bene la differenza tra gli anni ’70 e ’90 del secolo scorso. I visitatori erano passati da un milione a oltre due milioni l’anno, l’autofinanziamento dell’Ente da 100 milioni a un miliardo l’anno, il personale impiegato da 70 a 100 unità, i Volontari da 50 a 1.000 l’anno, i Centri Visita e le Aree Faunistiche da 2 a 10, il contributo statale ordinario e straordinario da 1 a 10 miliardi l’anno. Grazie a tutto questo, l’indotto nel comprensorio era cresciuto in modo esponenziale, con un impatto economico salito da 50 a 300 miliardi di lire l’anno, con grande sorpresa generale, ben espressa in un famoso servizio del Sole-24 Ore. In sostanza, l’esperienza unica del Parco ha dimostrato che proteggendo seriamente il Patrimonio Natura non si producono solo vincoli e sacrifici, ma benefici consistenti e diffusi, assicurando un lavoro durevole e un futuro dignitoso.
Questa straordinaria “Avventura Parco” potrebbe ripetersi?
Oggi la situazione è molto cambiata. Negli ultimi anni i problemi ecologici sono venuti alla ribalta, se ne discute moltissimo, ma purtroppo non mi sembra che in Italia si sia formato un forte movimento ambientalista. Lo conferma il fatto che da noi i Verdi si sono dissolti, mentre crescono in altri Paesi d’Europa. Malgrado ciò, chi occupa posti di rilievo in Istituzioni, Associazioni, Parchi e Media potrebbe svolgere, con coraggio e creatività, un deciso ruolo innovativo e trainante. Molte iniziative andrebbero avviate subito, puntando a un’Italia diversa.
Qualche esempio?
Coinvolgere i giovani in Progetti Ecologici. Sviluppare il Volontariato Internazionale. Rilanciare la cultura, le pubblicazioni e i video naturalistici. Dimostrare i grandi Benefici dei Parchi con dati e cifre inoppugnabili. Incrementare la sinergia pubblico-privata per raggiungere la piena occupazione. Adottare le strategie più avanzate di Scienza e Arte della Comunicazione. Fare di ogni Parco il miglior marchio di qualità del territorio (Brand), attrattore di ecoturismo, fonte di lavoro giovanile, custode delle tradizioni e promotore delle eccellenze locali.
“I giovani potrebbero essere impegnati come Guide, Interpreti e Custodi”, sostiene. Può spiegarci meglio questo concetto?
Con la ripresa del turismo naturalistico (Ecoturismo), ecologico, culturale, fotografico, e simili, una parte dei giovani diventerebbe Guida per i visitatori, Interprete della Natura per gli appassionati, e Custode del territorio per garantirne la salvaguardia. E un’altra parte, assai consistente, troverebbe invece impiego nell’indotto: accoglienza, ospitalità, ristorazione, prodotti tipici, eccellenze e tradizioni locali: esperienze sempre più ricercate e apprezzate nel mondo di oggi.
La grande speranza futura non risiede in grandi industrie, multinazionali o speculazioni edilizie rapinatrici di territorio, boschi, acque, risorse naturali, ma nel graduale coinvolgimento delle forze vive della società. Quando Roosevelt volle risollevare gli Stati Uniti d’America dalla terribile depressione degli anni ’30, non si perse in chiacchiere o nell’invocare nuove leggi, né attese miracoli dal cielo: nel giro di poche settimane adottò la cura più semplice e immediata. Raccolse tutti i giovani, sbandati e disoccupati, affamati e disperati, mandandoli a lavorare sul fronte della natura, per piantare alberi, eliminare rifiuti e guasti, restaurare ambienti e monumenti.
Vivendo per mesi in comunità, in campeggi e villaggi nei boschi, dove crebbe una nuova generazione di americani che ho avuto la fortuna di ben conoscere: ecologicamente sensibili, socialmente positivi, dediti al bene comune. Era nato l’Esercito degli Alberi (Tree Army), si stavano formando i cosiddetti CCC (Civil Conservation Corps), una specie di servizio civile interamente dedicato alla Natura. E fu così che l’America si risollevò…
Sarebbe possibile tentare qualcosa di simile anche in Italia?
Si potrebbe fare ancora di più, grazie all’immenso Patrimonio culturale, storico, archeologico, monumentale, architettonico, artistico, paesaggistico, ecologico e naturale di cui disponiamo. Purché la politica apra gli occhi e guardi più in alto, spezzando le catene burocratiche, e la società si impegni a difendere la “casa comune”. Abbiamo molte Aree protette, spesso solo sulla carta, ma potrebbero riprendere vigore coinvolgendo i giovani locali e le forze migliori del Paese, e facendo rinascere paesini emarginati e agonizzanti, luoghi straordinari ma purtroppo dimenticati, così come piccole isole abbandonate.
In conclusione, come definire la nostra responsabilità nei confronti della Natura?
È una enorme responsabilità morale, culturale, ecologica, alla quale non possiamo sottrarci. L’uomo è stato finora essenzialmente il “consumatore” e il “distruttore” della Madre Terra, ma potrebbe in futuro trasformarsi in sensibile “utente” e attento “custode” del Pianeta. Contro la Natura hanno cospirato l’ignoranza e il luogo comune, l’egoismo e la malafede, la sete di ricchezza e la brama di potere. Ma il collasso ambientale incombente rischia ormai di portare l’intera umanità alla rovina, ed è quindi urgente cambiare vita. Per ritrovare fiducia nel bene comune e risvegliare speranza nel futuro, occorre percorrere la strada maestra dell’equità e della solidarietà, e dedicare le energie migliori al rispetto della Natura e all’uso ragionevole delle sue preziose risorse.
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