Nocciola Italia: contadini e cittadini contro l’avanzata delle monoculture
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Per i cittadini e i contadini dell’orvietano che da anni ormai si occupano di contrastare l’avanzata cieca della monocoltura del nocciolo, ieri c’è stata l’occasione di riaffacciarsi pubblicamente. Una passeggiata nell’area con il maggior impatto di questi impianti, per protestare contro una scelta poco lungimirante che avrà serie conseguenze: sulla salute della popolazione, sulla fertilità della terra, sulla qualità delle acque e sulla vita dei contadini che praticano un’agricoltura libera da pesticidi e diserbanti, che vivono la minaccia della contaminazione dei loro prodotti.
In Umbria il piano “Nocciola Italia”, presentato nel 2018 da Ferrero Hazelnut Company, prevede il raggiungimento entro il 2025 di una superficie di settecento ettari di nuove piantagioni. Ma, dal momento che la zona con il maggior numero di nuovi impianti coricoli si trova a cavallo tra Umbria e Lazio, si potrebbero facilmente raggiungere i mille ettari. Questo processo speculativo dovrebbe essere arrestato innanzitutto perché, qui come altrove, i cittadini non hanno ricevuto adeguate informazioni sugli effetti che questi investimenti privati avranno sulla loro salute, sull’economia e sulla disponibilità di risorse naturali non inquinate.
L’incursione pacifica di ieri sull’altopiano dell’Alfina ha attraversato parte dei duecento ettari già messi a dimora. Questa giornata viene al termine di un fine settimana di discussioni e riflessioni insieme ad altre reti, associazioni e gruppi informali di Toscana, Lazio e Marche, giunti sull’altopiano dell’Alfina, non solo per dimostrare solidarietà a questo territorio, ma anche per definire strategie comuni per fermare questa vera e propria piaga che sta colpendo le quattro regioni.
Infatti, il piano “Nocciola Italia” investirà tutto il Paese con 20.000 ettari di nuove piantagioni di noccioleti entro il 2025 (+30% circa dell’attuale superficie), di cui 10.000 nel Lazio, dove già si concentrava il 5% della produzione globale, 5.000 ettari in Toscana e 2.000 nelle Marche. Il piano di incentivi lanciato dalla multinazionale Ferrero sta convincendo molti investitori del settore agricolo (non necessariamente agricoltori) a comprare terre e convertirle in impianti di coricoltura, a discapito di pascoli e semi nativi, almeno per quanto riguarda il territorio dell’altopiano.
La conseguente diminuzione della capacità di produrre cibo locale incentiverà l’acquisto di alimenti provenienti da altre aree. Come ha dimostrato invece il blocco di questa primavera, è fondamentale per un Paese assicurare il sostentamento della popolazione con prodotti locali. Alla tutela delle risorse, alla salvaguardia delle piccole e diversificate attività agricole (da cui continua a provenire il 70% della produzione mondiale di cibo) e alla salute della popolazione dovrebbe dunque guardare prima di tutto un piano di sviluppo, per garantire, ora e in futuro, produzioni alimentari sostenibili a tutti i livelli.
Una volta di più affermiamo come questo modello, che condanna la gente comune e l’habitat di tutti a vantaggio dell’economia di pochi, non è il futuro salubre e sostenibile che vogliamo e che ci aspettiamo sia promosso da qualsivoglia governo, né sull’Alfina né in nessun altro territorio. Per questo continueremo a mobilitarci e informare la popolazione. La terra è un bene comune che va gestito e preservato da chi lo vive.
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