Muretti a secco per combattere il rischio idrogeologico alle Cinqueterre
Seguici su:
La Spezia - «Negli ultimi cinquant’anni, qui tutto è cambiato: le colline sono state gradualmente abbandonate, le frane hanno in parte distrutto i terrazzamenti e le coltivazioni di vite hanno lasciato il posto a piante selvatiche che resistono alla siccità». Così Gian Carlo Celano, consigliere della Fondazione, parla di Manarola e del territorio alle sue spalle: «L’avvento del turismo ha radicalmente cambiato sia l’aspetto delle colline che le abitudini e le priorità della popolazione manarolese».
Ricostruire i muretti a secco franati durante l’alluvione e rimettere a coltura i campi abbandonati è l’obiettivo primario della Fondazione Manarola, che nasce proprio per ridare al paesaggio l’aspetto e la funzione che hanno avuto per secoli e fino a pochi decenni fa. Una battaglia non solo per la salvaguardia della bellezza, ma, soprattutto, per la sicurezza idrogeologica,
A partire da una profonda pulizia dei terreni incolti, occupati da macchia mediterranea, si stanno riattivando queste aree per restituirle al loro utilizzo agricolo.
Al momento della sua nascita, la Fondazione ha ricevuto un capitale suddiviso in terreni e una parte monetaria. Per poter intervenire, sono stati stipulati regolari contratti d’affitto con i proprietari e sono stati recuperati i terrazzamenti abbandonati, disboscando e ricostruendo i muri a secco crollati o stabilizzando quelli già presenti. Dopodiché, vengono subaffittati alle stesse condizioni, alle aziende agricole locali.
I muretti a secco e la coltivazione della vita sono fondamentali per la sopravvivenza dell’intero ecosistema, perché le radici della vite raggiungono profondità che contribuiscono a rendere più stabile il terreno, limitando frane, smottamenti e crolli. L’area, altrimenti, sarebbe scoscesa e verticale.
Nonostante la calura di agosto, ho esplorato a piedi una parte dell’area di intervento della Fondazione: risalendo “Collora”, la collina del Presepe, proprio dietro la Chiesa di San Lorenzo, a Manarola, ho raggiunto Volastra dopo circa un’ora e mezza. In questa piacevole passeggiata tardo-pomeridiana, a farmi compagnia c’erano solo il vivace frinire delle cicale e una lucertola, che mi ha seguito per un bel tratto di questa antichissima via di collegamento.
Lontana dal vorticoso brusio delle Cinque Terre, la salita senza fretta fa apprezzare ancora di più il panorama che mi si rivela davanti agli occhi: vigneti a strapiombo, macchia mediterranea (negli occhi e nel naso) e i terrazzamenti che “fanno tanto” Liguria. Ormai quasi arrivata a Volastra, una signora che annaffia i suoi fiori, chiacchierando di orti con un postino, mi immerge nell’atmosfera senza tempo di questa collina ricca di storia, rimasta autentica: mi raccontano che questo piccolo borgo era chiamato “Vicus Oleaster”, da cui deriva l’attuale nome, ossia “il villaggio degli uliveti”, e si dice che il paese fosse stazione di cambio per muli in epoca romana.
I muretti a secco, patrimonio Unesco, dimostrano la preziosa relazione tra gli uomini e la natura e, allo stesso tempo, rivestono un ruolo vitale per combattere il rischio idrogeologico, perché prevengono frane, inondazioni e valanghe.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento