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Il crowdfunding non è più un concetto inedito: la pratica di raccogliere fondi tramite la partecipazione di una moltitudine di investitori è sempre più diffusa e ha aperto una breccia nel mondo finanziario tradizionale, iniziando a contaminarlo con concetti quali partecipazione, condivisione ed eticità degli investimenti.
Abbiamo però ritenuto importante approfondire questo tema, non solo per conoscerlo meglio, imparando a distinguere fra le differenti tipologie di crowdfunding, ma anche perché rappresenta la testa di ponte per scardinare i meccanismi della finanza convenzionale, che troppo spesso ha come unico scopo il profitto, per raggiungere il quale genera impatti negativi su tutto il resto: persone, relazioni, ecosistema.
Per farlo ci siamo rivolti a Stefano Rossi, Country Manager Italia di LITA, giovane piattaforma specializzata in equity crowdfunding, che ha fra i propri obiettivi proprio quello di alimentare questo cambio di paradigma, creare una massa critica e diffondere la cultura dell’investimento etico e consapevole del proprio denaro.
Per prima cosa puoi spiegarci meglio quali sono i diversi tipi di crowdfunding?
Il concetto di base è semplicissimo: una moltitudine di persone concorre attraverso piccoli tagli di finanziamento a raggiungere grandi importi. Operativamente il crowdfunding si distingue in donation – in cambio del contributo non si riceve nulla, come fa per esempio la piattaforma Produzioni dal Basso –, reward – in cui chi dona riceve un prodotto/servizio; due esempi possono essere Kickstarter e IndieGoGo – e infine equity, più complesso, che si serve di veri e propri strumenti finanziari. Chi decide di finanziare un progetto infatti, acquista azioni o partecipazioni del progetto stesso divenendone azionista a pieno titolo. L’Italia è stato uno dei primi paesi al mondo a legiferare in merito. All’interno dell’equity crowdfunding a sua volta ci sono diversi settori, come per esempio quello dell’impact investment – in cui è specializzato LITA – dove chi investe non vuole solo guadagnare, ma anche sostenere un progetto di cui condivide i valori; il ritorno quindi non è solo economico ma anche di impatto. Per questo tale impatto deve essere quantificato e definito nel tempo. Noi crediamo in questa logica ed è per questo che abbiamo deciso di specializzarci nell’equity: siamo stati fra i primi a professarlo e siamo contenti di rilevare che questo ultimo periodo ha accelerato le dinamiche su questo fronte, come testimonia il fatto che anche altre piattaforme stanno virando nettamente verso progetti con impatto positivo sul territorio. Il mercato si sta spostando qui.
In che modo il crowdfunding, in particolare l’equity, si inserisce nel quadro di un nuovo modello economico-finanziario?
Il futuro è la finanza online disintermediata, in cui l’utente finale può decidere dove allocare le proprie risorse: la gente vuole avere la capacità di scegliere in prima persona. Questo sta avvenendo sia perché internet ha aperto la porta a nuove e numerose opportunità, sia perché si sta diffondendo sempre di più la sensazione di un tradimento da parte degli istituti finanziari tradizionali. A questo fa da contraltare la nascita di un comune senso di responsabilizzazione e consapevolezza che coinvolge non solo i risparmiatori, ma anche la finanza stessa e i suoi istituti, che hanno capito cosa sta succedendo e colto il trend dell’impact investment – pensiamo al fondo Blackrock, che si sta muovendo in quella direzione penalizzando gli investimenti con un elevato impatto ambientale. Ciò che ancora manca è la consapevolezza da parte dei consumatori, che troppo spesso si lavano la coscienza dando la colpa dei loro investimenti poco etici agli intermediari. Eppure ciascuno di noi ha l’obbligo di sapere dove sta mettendo le proprie risorse, dobbiamo sapere cosa vogliamo e adoperarci per ottenerlo. In questo modo gli attori finanziari si muoveranno di conseguenza. Serve più di tutto una forte attività di comunicazione su ciò che sta succedendo e su ciò che va fatto con i nostri risparmi. Bisogna dare visibilità a questa economia ad impatto positivo e noi, come Lita, stiamo spingendo in questa direzione. Però è necessario il supporto di tutto il sistema.
Parliamo di Lita: com’è nata la piattaforma, chi l’ha fondata e con quali obiettivi?
Lita è un gruppo francese nato cinque anni fa, fondato da due giovani con esperienze di microcredito e finanza tradizionale che hanno deciso di dedicarsi all’equity crowdfunding per cercare di innovarlo e proporre un nuovo paradigma. Hanno raccolto un buon successo e iniziato a collaborare con fondi di investimento importanti, cosa che ha consentito di aprire un ramo in Belgio e poi in Italia. L’obiettivo è fare massa critica e creare sinergie a livello europeo, convogliando risorse che ora mancano, non solo finanziarie ma anche in termini di know-how. In Italia infatti si perde troppo spesso la visione complessiva: ci sono start up che cercano di innovare per poi rendersi conto che quello che vogliono fare è già stato sviluppato. In termini di collaborazioni, vorrei sottolineare che l’innovazione è legata ai territori e fortemente sostenuta dalle fondazioni, che sono attori fondamentali. Un altro attore che va coinvolto è il mondo della cooperazione: a questo proposito abbiamo lanciato un premio che si chiama “Premio Finanza Sostenibile per il Mediterraneo”, promosso da Capraia Smart Island – Filiera Ittica Sostenibile evento organizzato da ChimicaVerde Bionet e Legacoop Agroalimentare-Dipartimento Pesca, per migliorare la filiera ittica in termini di innovazione sostenibile.
Puoi farci qualche esempio dei progetti che sostenete?
Me ne viene in mente uno che si è concluso con successo denominato Music Innovation Hub: progetto milanese con sede a BASE Milano, ha creato un luogo dedicato all’innovazione del mondo musicale cittadino, e promuove iniziative e progetti di inclusione nel settore discografico italiano ed europeo. La campagna per sostenerlo ha avuto un enorme successo, sono stati raccolti 300.000 euro in dieci giorni ed è stata la prima Impresa Sociale SPA finanziata in Italia. Il secondo che vorrei citare si chiama Humus ed è una startup innovativa a vocazione sociale: è una proposta piemontese che ha lanciato una piattaforma di matching per imprenditori e lavoratori agricoli, incontro di domanda e offerta di lavoro in agricoltura che superi l’annoso problema del caporalato e del lavoro nero e grigio. Humus ha superato l’obiettivo minimo della campagna di equity crowdfunding, raccogliendo investimenti anche da NaturaSì e Altromercato. Infine, c’è Homes4All, una startup torinese nata come evoluzione di un progetto di social housing – promosso con la collaborazione del Comune di Torino e della Camera di Commercio e con un contributo della Presidenza del Consiglio dei Ministri – che si pone l’obiettivo di riqualificare le zone periferiche della città grazie a una sinergia fra pubblico e privato al fine di raggiungere obiettivi di grande valenza sociale e generare esternalità positive sul territorio.
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