17 Lug 2020

Come stanno le aziende italiane? La risposta di un imprenditore sovversivo

Scritto da: Francesco Bevilacqua

Con Fabrizio Cotza, fondatore della rete Imprenditori Sovversivi, analizziamo la situazione delle imprese italiane in questo momento di grande difficoltà per capire come hanno reagito alla crisi scatenata dal lockdown e dalla pandemia.

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Da anni Fabrizio Cotza è portatore di una visione del “fare impresa” differente da quella convenzionale, una visione fondata sulla consapevolezza che punta al benessere delle persone e l’auto-realizzazione piuttosto che al mero successo economico. In questo momento di grande difficoltà per il mondo imprenditoriale, specialmente per quello delle micro-imprese, gli abbiamo chiesto di fare il punto sullo stato di salute delle aziende italiane.

imprenditori sovversivi 2
Fabrizio Cotza

Le imprese della rete di Imprenditori Sovversivi sono corse efficacemente ai ripari, mentre a livello nazionale più del 40% delle attività commerciali è a rischio chiusura. Quali azioni hai consigliato ai tuoi imprenditori per rispondere alla crisi?

In realtà noi Imprenditori Sovversivi non siamo corsi ai ripari, ma abbiamo sfruttato tutto il lavoro fatto negli anni precedenti, per rendere le nostre aziende “antifragili” ovvero immuni alle inevitabili crisi che ciclicamente arrivano. Ed è questo il punto più importante: puoi fare delle azioni efficaci per ridurre al minimo gli effetti di qualcosa di imprevedibile solo se hai solide fondamenta in termini finanziari, organizzativi e commerciali.

Per usare una metafora molto attuale: puoi contrastare efficacemente un virus improvviso se hai già un ottimo sistema immunitario. Se invece hai già varie patologie quel virus può diventare fatale. Quindi a loro ho consigliato di attivare una serie di “protocolli di emergenza” che in realtà facevano già parte di una cultura costruita negli ultimi anni, e che ha permesso al 100% dei nostri clienti di superare indenni questo periodo e di vedere con ottimismo il futuro, anche nel caso dovesse arrivare un secondo lockdown.

Come valuti le misure del Governo a sostegno delle imprese e in particolare delle PMI?

Quale sostegno? I 600 euro mensili? I prestiti bancari? Non scherziamo. Questi non sono sostegni. Se hai debiti non puoi regalare soldi a qualcun altro. E noi siamo un paese pieno di debiti che non riusciremo mai a restituire. Questo rende impossibile per qualsiasi Governo una vera politica di aiuto alle micro-imprese, che – lo ricordo – rappresentano il 93% della nostra economia, mentre le tanto citate PMI sono solo il 6% e le grandi meno dell’1%.

Quindi la verità è che un imprenditore oggi può contare solo su se stesso per sopravvivere. Ed è questo il motivo per cui dovrebbe coalizzarsi con altri imprenditori per poter essere più forte, grazie allo scambio di idee e suggerimenti. È finita l’epoca degli individualisti e dei “vincitori” a scapito degli altri. Ovvero di tutta quella pseudo cultura anni ‘90 che adesso è ancora osannata, seppur fallimentare.

Cosa diresti a un imprenditore che sente che questo è il momento giusto per dare una svolta alla propria attività ma, al tempo stesso, ha troppa paura per farlo?

Gli direi la verità. Ovvero che un imprenditore (o un professionista) che non si evolve sta omettendo di svolgere il suo principale lavoro. Quindi è destinato a fallire, in quanto inadatto a stare sul mercato. Quando parlo di evoluzione mi riferisco a due aspetti: uno è quello legato alla gestione aziendale (quindi controllo dei numeri, organizzazione, processi, meritocrazia, valorizzazione delle persone, e così via). L’altro è riferito alla strategia (quindi posizionamento sul mercato, proposta di valore unico, innovazione dei prodotti/servizi, comunicazione esterna e così via). Attività che ovviamente non si possono fare in tre mesi, per questo prima di comincia e più sarà facile contrastare le future crisi (che arriveranno inevitabilmente, come sempre nella storia).

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In tantissimi ambiti il lockdown ha evidenziato carenze e falle del sistema che esistevano già ben prima della pandemia. È stato così anche nel mondo aziendale? Quali sono gli esempi più eclatanti a tuo parere?

Sì, il lockdown ha sicuramente fatto venire a galla due grosse lacune. La prima è molto “materiale” ovvero la pessima pianificazione finanziaria di molte aziende, dovuta soprattutto alla scarsa tendenza a patrimonializzare, pensando che i soldi dell’azienda siano tutti del titolare. Trovo spesso “imprenditori ricchi che gestiscono aziende povere”, perché drenano risorse che invece andrebbero lasciate nelle casse aziendali. Ovviamente appena il flusso finanziario si interrompe scoprono “improvvisamente” di essere senza liquidità (e quindi falliscono o si indebitano ulteriormente con le banche).

La seconda lacuna invece è immateriale, ma altrettanto importante. Parlo della tenuta emotiva e psicologica di titolari e collaboratori. Lavorando perennemente sotto stress anche le risorse di energia vitale vengono prosciugate, esattamente come quelle economiche. Quindi se l’azienda non lavora su un progetto di benessere interno, che coinvolga tutti, poi si troverà in difficoltà quando arriverà qualche evento particolarmente difficile da gestire, come quello del Covid-19. Per quello io inizio a lavorare sempre su questo aspetto, perché se l’imprenditore non è sereno, lucido nelle sue scelte, ed in forma sotto l’aspetto psico-fisico tenderà a crollare al primo scossone forte, trascinando tutta la squadra verso un circolo vizioso che poi impatterà sull’azienda stessa.

In questo momento, più che mai, emerge l’importanza della responsabilità sociale dell’impresa. Cosa possono – o forse devono – fare gli imprenditori per ricoprire in maniera consapevole questo ruolo, parallelamente al raggiungimento dei loro obiettivi economici?

Un imprenditore privo di responsabilità sociale nei confronti di persone, territorio, ambiente è di fatto un “prenditore”. Quindi una categoria a parte, pericolosa per sé stessa e per gli altri. In alcuni casi, frequenti soprattutto nelle grandi aziende, potremmo addirittura definirli criminali, sebbene la società tenda a mitizzarli in quanto “di successo”. Infatti chi si fa portatore della cultura della prevaricazione, del profitto a ogni costo e del morboso bisogno di accumulo di beni dovrebbe essere curato psicologicamente, non essere preso come modello da emulare, come accade adesso in libri, film e serie televisive.

Diventare Imprenditori Sovversivi, quindi, non è solo un modo per mettere in sicurezza le proprie aziende e attività, ma comporta la piena adesione a un approccio che vuole rivoluzionare dal basso la cultura del lavoro e di tutta la società in generale. Sfida complessa e impegnativa, lo so. Non so se riusciremo mai a realizzare il nostro scopo, ma è nostra responsabilità provarci.

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