Pestalozzi, la scuola-città che sceglie i suoi insegnanti e sperimenta l’educazione affettiva – Scuola che Cambia #5
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Toscana - Con la quinta tappa, riparte il nostro Viaggio nella Scuola che Cambia. È passata qualche settimana dalla nostra visita alla scuola sul fiume e dal nord-est ci siamo spostati in centro Italia, in particolare a Firenze. Qui io e Paolo veniamo raggiunti da Danilo e iniziamo immediatamente “l’esplorazione” della Scuola-Città Pestalozzi. Già il nome è un programma. Pestalozzi – vissuto tra la seconda metà del ‘700 e l’inizio dell’800 – fu, infatti, un grande pedagogista, con una carica umana fortissima e al centro il cuore, il tema dell’affettività. Per questo, tra le altre cose, introdusse il concetto di educazione del cuore.
Per Pestalozzi, l’educazione è una finalità etica, anche perché in quegli anni molti erano i bambini che a causa della guerra restavano orfani del padre, o erano sbandati o abbandonati. Il pedagogista da questa esperienza giunge a concludere che non esiste solo un’infanzia materialmente abbandonata (senza genitori e senza cibo) ma ne esiste anche una moralmente abbandonata (in cui i bambini non sono seguiti e non ricevono un’adeguata proposta educativa). Tra i suoi allievi troviamo Frobel, definito in seguito il “pedagogista del Romanticismo”, noto per aver creato e messo in pratica il concetto di Kindergarten (Giardino d’infanzia corrispondente all’odierna scuola dell’infanzia).
Una scuola-città
A settanta anni dalla sua fondazione, Scuola-Città Pestalozzi è oggi una scuola di base, sperimentale e statale, unitaria negli otto anni della scuola primaria e secondaria di primo grado, organizzata in quattro bienni. C’è un’unica sezione e ogni classe è composta di venti alunni. Ma non è tutto. Questo istituto, infatti, è una Scuola-Città di nome e di fatto. Matteo Bianchini, maestro in questa sede, ci racconta come in passato questo istituto fosse strutturato davvero come una città, con tanto di sindaco, assessori e giudici.
Oggi le cose sono cambiate. Ad esempio, non c’è più la corte d’onore ma questa è stata sostituita da una particolare attività chiamata “Io protesto”, in cui i ragazzi possono esprimere le loro rimostranze nel più ampio contesto dell’educazione affettiva e relazionale. In effetti, sono molti gli elementi che lasciano stupiti visitando questa scuola statale: in anzitutto le aule sono costellate da banchi rotondi. Non esiste educazione frontale. Gli scolari e le scolare delle diverse età si incontrano nei vari laboratori (teatro, arte, musica, falegnameria). Tutti, insegnanti e alunni, sono spinti a esprimere i propri talenti.
I ragazzi più grandi si prendono cura dei più piccoli secondo il modello della peer education. Anche la mensa è stata destrutturata. Non esiste una grande aula in cui tutti mangiano, serviti da qualcun altro. Ma si mangia in classe. Gli alunni si apparecchiano e sparecchiano, venendo responsabilizzati anche in queste mansioni. «Per noi fare didattica – ci spiega Patrizia Santangelo, insegnante e coordinatrice – significa far incontrare tre aspetti: la conoscenza, la relazione e la manualità. Quest’ultima ci porta ad elaborare la conoscenza e ad acquisirne di nuove». Il tutto condiviso insieme agli altri!
L’educazione affettiva
Le relazioni, il coinvolgimento, il cuore sono costantemente riportate al centro dell’attenzione. E non solo come qualcosa da trasmettere alle giovani leve ma che contraddistingue un continuo richiamo per tutto il personale scolastico.
Il Pestalozzi, infatti, è una scuola statale extra-ordinamentale: aderisce, infatti, ad una legge che dà la possibilità di fare sperimentazione. Differentemente dal solito, qui si può scegliere in autonomia il personale docente! La scelta avviene attraverso un comitato di valutazione composto da quattro insegnanti scelti dal collegio e dal dirigente scolastico. Il bando è pubblico e possono accedervi anche insegnanti non di ruolo. Conta tantissimo il colloquio motivazionale, la voglia di mettere al centro l’approccio relazionale e la capacità di mettersi in discussione. E sembra funzionare! La maestra di musica, ad esempio, ci racconta di come lavorando qui abbia imparato tantissimo fino a sentirsi cambiata come persona.
I ragazzi sono inoltre coinvolti costantemente nelle varie lezioni e vengono stimolati a condividere anche le emozioni scomode o addirittura drammatiche, come ad esempio i lutti. In questo modo si cerca anche di prevenire il bullismo, partendo dalla convinzione che nessuno debba avere paura di qualcun altro. Si fanno molte attività fisiche, in teatro e all’aperto e si lavora con gli abbracci.
Senza la relazione non c’è apprendimento. «È importante che questa relazione tra chi insegna, chi apprende e il mondo sia sana, autentica e leale – ci spiega Marta Monnecchi insegnante e coordinatrice settore relazione». Continua poi: «Si conosce se stessi attraverso gli altri per poi saper scegliere, saper essere responsabili. Ognuno dovrebbe uscire da qui sapendo chi è. Non contano i voti numerici: come si può rappresentare un essere umano con un numero?». Per questo vorrebbero eliminare la valutazione numerica, promuovendo l’acquisizione di competenze (tema tornato quanto mai attuale nelle ultime settimane…).
Il Maestro Bianchini non ha dubbi: «Credo che la scuola si possa cambiare solo se si forzano un po’ le norme assumendone la responsabilità… come hanno fatto Montessori, Pestalozzi ecc. ».
Come dice anche Danilo Casertano alla fine del video che vi proponiamo in questa puntata e che non potete assolutamente perdere, «qui si fa scuola per davvero ma è profondamente ingiusto che questa eccellenza sia riservata ad un numero così piccolo di persone e che non sia sufficientemente conosciuta al grande pubblico e anche all’interno dello stesso sistema scolastico statale. Questa esperienza deve replicarsi e ingrandirsi. Ripartiamo dagli ultimi!».
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