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Qualche settimana fa ho avuto l’occasione di conoscere più da vicino Extinction Rebellion, il movimento internazionale, “dal basso”, nonviolento, fondato in Inghilterra in risposta alla devastazione ecologica causata dalle attività umane. Dopo un breve confronto a più voci su ambiente, sinergie e crisi come opportunità, ho deciso di risentirli e di rivolgere loro in particolare una domanda che in tempi di lockdown in molti ci siamo inevitabilmente posti: secondo voi, che avete fatto della “ribellione all’estinzione” il segno distintivo del vostro movimento, perché il mondo si è fermato per l’emergenza coronavirus e non per la crisi climatica ed ecologica? Ma partiamo dall’inizio.
Puoi presentarti?
Sono José, argentino ed economista. Ho fatto carriera nel mondo della finanza e ho preso consapevolezza della grave emergenza in cui siamo attraverso un percorso di crescita personale, mettendomi al servizio di una causa che non riguarda solo me. Ho scoperto Extinction Rebellion e ho trovato nella semplicità delle sue proposte uno strumento efficace per un vero cambiamento, sia personale che collettivo, per fermare la distruzione degli ecosistemi, il collasso della società e la nostra possibile estinzione.
Puoi definire brevemente Extinction Rebellion?
Siamo un movimento che ha come strategia la disobbedienza civile nonviolenta di massa per fare pressione ai Governi per fermare la sesta estinzione di massa e il collasso della società. Abbiamo dei principi fondanti per collaborare ed essere il cambiamento che vogliamo vedere, principi che pongono un equilibrio tra imperativo morale (efficacia) e coerenza etica. Ci impegniamo nella nonviolenza per aprire spazi dialogici, necessari a prendere consapevolezza della dimensione esistenziale dell’emergenza.
Il mondo si è fermato per il coronavirus ma non davanti al rischio di estinguerci. Perché?
Sesta estinzione di massa, catastrofe ecologica e climatica e collasso della civiltà sono scenari che ci sembrano ancora lontani. Sono rischi che non percepiamo come imminenti, per questo non realizziamo la gravità della situazione. La percezione e discussione pubblica sull’emergenza sanitaria sono state guidate da chiare e costanti campagne di comunicazione organizzate dal Governo. Per l’emergenza ecologica e climatica il problema è di maggiore portata e sembra meno vicino.
Come dovrebbe essere affrontata secondo voi l’emergenza ecologica e climatica?
Serve l’impegno di tutte/i per trovare soluzioni. Una vera democrazia partecipata poiché è alto il rischio di derive autoritarie reazionarie, che attaccano la libertà ma aggravano anche la situazione. Chiediamo assemblee di cittadini/e che decidano sulle misure d’attuare per una giustizia di tutte/i.
Affrontiamo questa emergenza con la piena consapevolezza che molte cose cambieranno. Il nostro modello di produzione e consumo non potrà rimanere lo stesso e dovremo fare grandi rinunce. Il problema è globale, occorre coordinarci a livello internazionale e agire immediatamente.
Come avete vissuto come movimento questo periodo di pandemia e conseguente lockdown?
Siamo un movimento decentralizzato e privo di gerarchie. Durante il lockdown l’attivismo è diventato digitale e abbiamo lavorato all’autorganizzazione e strutturazione del movimento. Hanno preso vita progetti artistici e rigenerativi, formazioni costanti. Abbiamo creato sistemi di supporto, sessioni di ascolto attivo, indispensabili per la ribellione e per le azioni che riprendiamo in varie città da quando il lockdown è terminato. Serve supporto per le azioni di disobbedienza civile, rassicura sapere che ci sono persone vicine a noi in questa scelta.
Il nome del vostro movimento fa riferimento al ribellarsi all’estinzione. Perché?
Siamo nella Sesta Estinzione di Massa. Gli scienziati avvertono che un milione di specie sono a rischio d’estinzione in pochi decenni. La devastazione degli ecosistemi è profonda e nessun paese sta mantenendo gli accordi di Parigi. Le politiche attuali ci porteranno a una temperatura media globale da 3 a 5°C in più rispetto all’era preindustriale, con effetti devastanti. Siamo già a +1°C di riscaldamento medio globale. Ricerche serie hanno evidenziato che per ogni ulteriore grado di riscaldamento un miliardo di esseri umani in più vivrà in zone inospitali per la vita e la produzione agricola.
La società che oggi conosciamo cambierà drasticamente: se anche azzerassimo oggi tutte le emissioni, ormai superemmo comunque i 2°C di riscaldamento per inerzia del sistema. I modelli non prendono sufficientemente in considerazione i cicli di retroazione, che si autoalimentano e possono portarci a un punto di non ritorno. Ci ribelliamo all’inazione dei Governi di fronte a questa emergenza e chiediamo la dichiarazione di emergenza e immediate azioni concrete.
In un articolo sul vostro magazine si parla di “ecoansia”. Di cosa si tratta?
Accettare la portata delle crisi è difficile e il processo emozionale è simile al lutto. L’ecoansia può essere intesa come la sofferenza psicologica per l’entità del danno e la gravità delle conseguenze delle devastazioni ecologiche. Persone sane in un mondo che ignora di essere folle, dice Charline Schmerber, psicoterapeuta. Per affrontare l’ecoansia, aiutano pratiche di condivisione e verbalizzazione, ma anche la partecipazione attiva a movimenti che lottano per questi temi.
Secondo molti/e l’emergenza coronavirus può rappresentare l’occasione per ripensare il futuro in un’ottica di maggiori sostenibilità. Ci troviamo ad un punto di svolta?
Il Covid19 ha dimostrato come sia possibile affrontare un’emergenza, se c’è la volontà politica, ma non facciamoci ingannare: tutto sta tornando come prima. Oggi c’è il rischio di credere che il sistema nel quale viviamo possa far fronte al problema, ma il modello attuale, basato su strutture gerarchiche e sull’estrattivismo non è in grado di offrire delle soluzioni rigenerative. Abbiamo bisogno di ascoltare le persone maggiormente colpite da queste emergenze, chi ha più sofferto le ingiustizie di questo sistema ed anche le popolazione indigene che proteggono da generazioni gli ecosistemi e la vita. L’intelligenza collettiva e le culture rigenerative saranno la base per una società diversa.
In una visione sistemica del mondo, la sostenibilità ambientale è strettamente connessa alla giustizia sociale e ai diritti umani. Cosa ne pensate di quello che sta accadendo in America?
A riguardo delle rivolte che stanno accadendo negli Stati Uniti, siamo in totale solidarietà con il movimento BLM (Black Lives Matter, letteralmente “le vite dei neri contano”, ndr). L’oppressione, il razzismo, la violenza strutturale, vanno combattute sempre. Rispettiamo le scelte strategiche di altri movimenti nella ricerca del cambiamento. Siamo diversi movimenti, con una ecologia di diverse strategie ma con uno stesso obbiettivo: cambiare questo sistema tossico che colpisce tutte le persone, e qualcuna più di altre.
Che iniziative avete in programma per il futuro?
In questo momento i gruppi locali si stanno riattivando. Io sono nel gruppo di Roma e dopo l’ultima azione abbiamo sentito il bisogno di crescere e fare molte azioni. Per questo nasceranno molti gruppi di persone che si autoorganizzeranno per fare azioni in modo autonomo e decentralizzato. Potremo così far pratica e prendere confidenza e fiducia tra noi, in vista di una azione congiunta a livello nazionale per la ribellione globale del prossimo autunno, Covid19 permettendo. Cerchiamo tutti/e di essere responsabili in questo periodo di coronavirus, con l’obiettivo di riportare il prima possibile la nostra ribellione nelle strade.
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