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Entrambi i miei figli si sono mostrati insofferenti alle famosissime “live”, quel pugno di ore che bambini e insegnanti trascorrevano online in presenza, solitamente in orari che andavano dalle 16 alle 17 quando andava bene, o dalle 18 alle 19 passate quando andava male: e spesso andava male. Non ci vuole la scala per capire che trovarsi con 20 bambini e oltre alle sei di sera per fare una lezione frontale di storia o geometria non sia proprio il massimo per averli nel pieno della loro attenzione.
Mamma voglio sbattere la testa sulla scrivania
Ma non si poteva fare diversamente, perché la mattina i genitori lavorano e i bambini delle elementari, per fare le live, hanno bisogno dell’aiuto di un adulto perché il computer può perdere la connessione, perché possono inavvertitamente cambiare visualizzazione della piattaforma e non vedere più i compagni, o perché sono entrati – causa pandemia, lockdown e conseguente perdita di tutti i punti di riferimento per la socializzazione fondamentali alla loro età – in uno stato di tale ansia che hanno un attacco di panico prima di ogni video lezione e il genitore deve trascorrere tutto il tempo della diretta di fianco a loro, inchiodato su una sedia fuori dall’inquadratura, a ripassare gli antichi romani.
E da quanto detto emergono già due criticità delle live: il fatto che per lo più siano state organizzate a classi intere e il fatto che richiedessero la presenza/assistenza costante di un genitore o comunque di un adulto.
«Non ce la facciamo a farli rimanere in pari, lavoriamo 40 ore a settimana e loro stanno con i nonni: siamo in una situazione disperata» – Paolo, papà di Martino, Teresa e Violetta, quinta, terza e prima elementare
Repetita iuvant?
Ma riflettiamo ora sull’opportunità di queste live, per come sono state pensate, condotte e utilizzate. Le lezioni on line sono state una replica delle lezioni in presenza, che già avevano i loro problemi, con l’aggravante di essere più scadenti, totalmente inefficaci, e noiose fino alla morte, come potrebbero facilmente testimoniare i nove milioni di studenti di ogni ordine e grado, se solo venisse loro posto un questionario di valutazione adatto alla loro età.
Durante le live gli studenti delle scuole elementari si sono sentiti per lo più leggere il libro di testo per quel che riguarda materie come storia o geografia, hanno corretto gli esercizi di grammatica, hanno svolto il problemino con il maestro di matematica e sono stati interrogati: il tutto come se fossero stati in classe.
È stata riproposta, senza alcun tipo di variazione, quella didattica frontale, basata sulla ripetizione dei concetti, portata avanti dalla maggior parte delle scuole e degli insegnanti, con rare eccezioni – trovare una buona classe con insegnanti illuminanti, capaci di portare reali e autentiche prospettive di futuro nella scuola è sempre, per il genitore italiano, una questione di “fortuna”.
E se di fronte all’ennesima cantilena della maestra che rinnova con infinito zelo gli affluenti di sinistra del Po anche il bambino più motivato in classe perde il suo slancio e inizia a riempire la quarta di copertina del suo quadernone di disegnini, durante la live la prassi è stata quella di spegnere la telecamera e andare a farsi un giro in cucina, chiedendo cosa si sarebbe mangiato a cena.
Certamente c’è un fondo di verità nel vecchio adagio latino del repetita iuvant, ma, dicono gli esperti, non se ne può fare un inattaccabile pilastro didattico, meno che mai nel XXI secolo. A questo punto tengo a precisare che credo nella scuola pubblica, credo che ci siano dei saperi dai quali non si possa prescindere, credo nell’impegno e nella disciplina intesa come dedizione, passione, costanza e applicazione. E credo – come tanti altri – che si possa cambiare la scuola senza demolirla, ma partendo dal tanto di buono che c’è “in potenza”, facendolo emergere.
La DAD non è una piattaforma
Così come una scuola all’avanguardia non è fatta da una LIM (lavagna interattiva multimediale) la DAD non può essere una piattaforma di e-learning: purtroppo così è stato.
Questo distanziamento forzato dai luoghi della scuola e dai modi in cui l’abbiamo sempre fatta poteva essere un’occasione per tirar fuori quelle risorse – spesso le migliori – che vengono a galla nelle situazioni di emergenza. L’occasione mancata è quella di aver dato vita a una scuola davvero resiliente, capace di modificare la didattica, l’offerta formativa, le finalità a seconda delle situazioni contingenti, anche le più gravose. Quello che abbiamo vissuto è stata la peggiore delle scuole possibili, un’immagine che neanche nel più angosciante dei nostri incubi orwelliani avrebbe trovato posto.
Lo sforzo enorme fatto da parte del Ministero dell’Istruzione è stato quello di dare a tutti un dispositivo su cui attivare le varie piattaforme e una connessione: con questo risultato alla mano è stato proclamato il successo della DAD che nei fatti, come abbiamo dimostrato, si è rivelata un totale fallimento. Non è stato fatto il passo successivo, quello fondamentale: mettere “gli esperti” a testa bassa per stilare in breve tempo delle idee guida (e volutamente non uso il termine linee guida) su come impostare la DAD. Qualcosina su questo c’è: lascio a lettore la valutazione sulla mezza paginetta presente nelle Prime indicazioni operative per le attività didattiche a distanza.
«Mi sono accorta che durante la lezione di italiano Filippo stava leggendo un libro per conto suo: non gli ho detto nulla perché mi rendo conto che in questa situazione non riesco a offrirgli quello di cui ha bisogno e mi dispiace. Ho pensato che quello che stava facendo in autonomia gli fosse più utile della lezione» – Erika, maestra di terza elementare
Come sarebbe potuta andare?
Ma in concreto, mi si dirà, cosa si poteva fare? A mio avviso molto rispetto a quanto è stato fatto:
1) si doveva rafforzare il patto educativo scuola e famiglie: queste ultime sono state coinvolte nei consigli di classe solo a fine maggio. Questi incontri dovevano essere programmati con maggiore frequenza a partire dalla terza settimana di chiusura delle scuole: sarebbe stato l’unico modo per comprendere le reali difficoltà delle famiglie e provare ad arginarle. Basta considerare i genitori come la palla al piede della scuola, come una pletora di individui lamentosi impegnati nel difendere a spada tratta l’onore dei propri figli. La nuova scuola deve partire anche e soprattutto dalle idee e dalle proposte dei bambini, dei ragazzi e delle loro famiglie;
2) si dovevano intensificare i collegi docenti di classe, di plesso e di circolo, in modo che dal confronto tra colleghi – e tra insegnanti e famiglie di cui sopra – potesse emergere il quadro reale dell’efficacia o meno del percorso intrapreso;
3) le lezioni on line dovevano essere fatte in piccoli gruppi (4/5 alunni al massimo): se è difficile mantenere l’attenzione di un’intera classe in presenza è impossibile farlo a distanza;
4) le lezioni on line dovevano essere fatte abolendo la didattica frontale e utilizzando altre metodologie didattiche e nuovi contesti di apprendimento;
5) si poteva dedicare un’ora al mese (meglio due) di confronto con ogni bambino e la sua famiglia per capire le difficoltà di ognuno, i suoi punti di forza e programmare insieme – genitori, insegnanti, alunno – un percorso didattico personalizzato (bastava poco: una ricerca su un argomento di interesse, capire come aiutarlo nello studio della materia in cui trovava maggiore difficoltà, motivarlo nella lettura di un libro);
6) si dovevano rivedere i programmi ministeriali di ogni classe, sollevando insegnanti e famiglie dalla spada di Damocle del doverli portare a termine. Ora ci troviamo nella situazione per cui i programmi sono stati terminati sulla carta, ma non nei fatti;
7) andavano eliminati i voti del secondo quadrimestre dalle pagelle: dovevano essere sostituiti da un giudizio esteso sull’alunno che evidenziasse i suoi punti di forza, quelli di debolezza, con un’indicazione personalizzata sulle attività da svolgere durante l’estate.
Di fronte a un lavoro impostato in questa maniera un aumento stipendiale richiesto dai docenti per la didattica a distanza sarebbe stato certamente motivato.
«Mi chiamava fino a sette volte al giorno in ufficio prima di ogni live, implorandomi di tornare a casa e starle vicino durante la lezione: è stato straziante» – Luca, papà di Ginevra
Settembre, andiamo è tempo di migrare
Durante i colloqui di fine anno che ho avuto con gli insegnanti dei miei figli mi sono sentita chiedere, per entrambi, come mai fossero così poco coinvolti dalle live. Ho rigirato loro la domanda e in alcuni casi si è sollevato un generoso moto di stizza: capisco la stanchezza, la frustrazione e la rassegnazione di un corpo docente anch’esso abbandonato, alla mercé di una tecnologia che ha svuotato il loro lavoro di ogni senso e significato.
Eppure a questi insegnanti voglio dire di alzare la testa, opporsi, rinnovarsi, trovare le forze per ripensare e riplasmare radicalmente quell’istituzione di cui tutti, ora più che mai, abbiamo un disperato bisogno. Serve un’autoanalisi e un’autovalutazione senza sconti dell’operato della classe insegnante in questo periodo emergenziale.
La scuola è finita ed è tempo di pensare a settembre. Purtroppo dal Ministero continuano ad arrivare le più bislacche proposte su pannelli di plexiglass, ingressi scaglionati, mascherine sì o no, centimetri di distanza.
La sensazione è quella di una politica aggrappata alla speranza – sempre l’ultima a morire – che a settembre miracolosamente tutto sparisca e si possa tornare a scuola “come prima”. Lo testimonia l’audizione alla camera di Agostino Miozzo, coordinatore di quel comitato tecnico scientifico che, come ha tenuto a precisare Miozzo all’inizio del suo discorso, ha lavorato pro bono per l’elaborazione delle linee guida al fine della (non) apertura delle scuole (leggi qui un bel commento sull’audizione). Viviamo nella politica della speranza, aspettando che qualcuno si prenda la responsabilità per la riapertura delle scuole mentre, nel frattempo, riaprono i parchi divertimento e tante altre amenità. Possiamo forse sperare di utilizzare gli spazi di Gardaland per la didattica all’aperto a settembre?
Un agghiacciante silenzio circola sulla DAD: se malauguratamente ci dovessimo trovare a vivere un nuovo lockdown, se la scuola tornasse a chiudere i battenti per settimane o mesi, cosa accadrebbe? C’è qualcuno che sta pensando a come far veramente funzionare la DAD, oppure no?
Il mio augurio è che in questi mesi si apra una discussione seria sulla scuola, e questo articolo vuole contribuire proprio a questo.
Nel frattempo mediterò sulla mia pagella di genitore, cercando di capire come posso fare per migliorare la mia didattica in geografia, materia in cui ho preso un voto piuttosto risicato: qualcuno ha qualche consiglio da darmi al riguardo?
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