Seguici su:
Sereno era dritto in piedi su di uno sgabello color legno chiaro, davanti allo specchio stretto e allungato della sua cameretta. Era totalmente assorto nei suoi pensieri, concentrato sui vestiti che si stava provando, che non sentì entrare Katia, la sorella più piccola, che zitta zitta si stava sedendo alle sue spalle, sul letto, per godere di una visuale completa e privilegiata dello spettacolo. «Se non ti metti quella gonna rosa, posso metterla io? Per favore!», chiese Katia con un tono a cantilena, probabilmente per cercare di essere più convincente possibile.
Sereno sobbalzò dallo spavento. Gli capitava spesso che concentrato sui suoi pensieri, non si accorgesse di cosa succedesse intorno a lui, sino a che qualcosa o qualcuno, non lo facesse tornare nel tempo presente.
«Cosa ci fai tu qui? Non ce l’hai una stanza tua?». Poi ricordando la domanda appena posta, aggiunse arricciando la fronte: «No! E comunque non ti starebbe neanche quella gonna, è troppo grande per te».
«Uffa! Allora starò qui a guardare, sino a che non finirai», disse Katia incrociando le braccia, convinta che facendo leva sulla sua presenza, il fratello maggiore avrebbe ceduto.
E infatti così successe:
«E va bene! Tienitela. Basta che esci da qui!» urlò sfinito Sereno, lanciando la gonna rosa alla sorella.
«Grazie!», disse Katia, sprizzante di felicità e guardandolo per la prima volta, da che era entrata in quella stanza, senza secondi fini. Poi, sulla soglia della porta della camera aggiunse sorridendo: «Se fossi in te coprirei bene la maglietta che porti con i supereroi. Nessuna bambina la indosserebbe mai, a meno che non ne fosse costretta».
Imbarazzato Sereno la coprì con un’altra che aveva preparato la sera prima, era sulla sedia pronta per essere indossata il suo primo giorno di scuola: era rosa con al centro un grande cuore cosparso di brillantini.
Sereno, Katia e i loro genitori avevano da poco cambiato città e questa era un’opportunità per lui per riuscire ad essere finalmente chi avrebbe tanto voluto: una femmina. Negli anni passati, alla De Amicis, aveva subito spesso umiliazioni: alle compagne femmine era permesso correre nei cortili durante gli intervalli, vestire come meglio credevano, esprimere liberamente le emozioni, scegliere i giochi che preferivano. I maschi no. Tutto ciò che accadeva in classe, o anche fuori dalla scuola, era sempre colpa loro. A nessuno interessava davvero chi fosse stato e perché. Inoltre alcune maestre erano convinte che le bambine femmine avessero un’intelligenza più sviluppata, dunque cercavano in tutti i modi di favorire loro durante le interrogazioni. E così Sereno aveva passato gli ultimi anni arrabbiato, con se stesso, con i genitori per averlo fatto nascere maschio, e soprattutto con Katia: più piccola di lui e già piena di libertà che lui non aveva.
«Farete tardi il primo giorno di scuola, presto!». Li invitò la voce della mamma dal pieno inferiore di casa. E così Sereno finì di vestirsi con gran velocità: si mise un cerchietto con tre piccole stelle argentate nei capelli, acchiappò la cartella e corse giù per le scale. La mamma a vederlo chiuse gli occhi per qualche istante. Aveva acconsentito a tale travestimento, sperando che Sereno cambiasse idea, ma sembrava più convinto che mai. Si limitò quindi a baciarlo in fronte, augurandogli una buona giornata.
All’arrivo a scuola Sereno fu inizialmente molto nervoso: non era abituato ad indossare abiti così stretti, inoltre il cerchietto gli creava un gran prurito dietro alle orecchie, ma se ne dimenticò in fretta non appena entrò nella sua nuova classe. «Ciao, e tu sei nuova? Come ti chiami?» si sentì dire alle spalle, poco dopo aver varcato la soglia della porta di ingresso della sua aula. «Serena!» si limitò a rispondere timidamente, cercando di sembrare più naturale possibile. Mentre dentro tremava all’idea che qualcuno potesse accorgersi che lui Serena non era.
Tutte le bambine si avvicinarono a piccoli gruppetti, per presentarsi. Sereno non si era mai sentito così ben voluto e accettato. Mentre le nuove compagne femmine erano tutte entusiaste di avere una nuova compagna, i maschi non lo degnarono di uno sguardo: esattamente come si aspettava.
La prima mattinata nella nuova scuola della nuova città, volò via velocemente tra conoscenze di insegnanti, battute scambiate con la sua compagna di banco Olga. Vi fu solo un momento di incertezza all’inizio della prima ora, quando la maestra di italiano nel fare l’appello, chiamò «Sereno Montini». Sereno alzò il braccio e per qualche breve istante nella classe calò il silenzio. Ma tutto tornò colorato, non appena vide che la maestra accortasi dell’incoerenza, pensò ad un errore e corresse a biro il nome.
Al suono della campanella che comunicava l’ora di pranzo, Sereno si alzò e si diresse verso l’ala della scuola dove aveva intravisto l’ingresso alla mensa. Pranzò velocemente e con il cuore che batteva forte, si diresse a gran velocità verso la palestra, situata al piano interrato, per iscriversi alla selezione della squadra di pallavolo della scuola. Per lui era un sogno che da tempo aveva potuto vivere solo nei suoi pensieri!
Tra tutte le limitazioni di cui Sereno aveva sofferto in questi anni, vi era quella di non poter giocare a pallavolo: sport a cui solo le bambine avevano accesso. A Sereno quindi non rimaneva che allenarsi tutti i pomeriggi nel cortile di casa, sognando che un giorno avrebbe potuto varcare un campo vero e trovarsi sotto una rete più alta di lui, con una palla bicolore in mano. E il momento era arrivato! Compilò con i suoi dati sul grande foglio che copriva il tabellone di sughero appeso alla parete accanto all’ingresso. E con il cuore ancora carico di emozione, si diresse trionfante, verso l’uscita. In quel momento Sereno che sapeva ancora che sarebbe entrato nella squadra, ma il solo fatto di potervi accedere era per lui fonte di un sapore nuovo di libertà e di felicità. Rientrò a casa quel pomeriggio saltellando e canticchiando, come non accadeva da diverso tempo.
Passarono così diversi mesi, scanditi da grandi momenti di gioia, e grandi paure che qualcuno potesse scoprire il grande segreto di Sereno. I voti, che l’anno precedente rasentavano la sufficienza, migliorarono settimana dopo settimana. Le maestre nutrivano per lui maggior fiducia e stima, e a Sereno veniva naturale contraccambiare con il massimo impegno. Quando non studiava, passava i pomeriggi in palestra ad allenarsi con le compagne di squadra. Negli intervalli godeva nel poter correre liberamente nel cortile della scuola: ora più nessuno gli ripeteva: «Corri come un maschiaccio Sereno». Ora non doveva più preoccuparsi di come si muoveva, di cosa diceva. Tutto si era trasformato: il mondo esterno era contento di Serena, e lei, o meglio lui, acquisiva giorno dopo giorno una sicurezza che mai aveva potuto pensare di assaporare.
Una sera di metà dicembre, finita la cena, si era trovato a tavola, in mezzo ad una conversazione tra i genitori legata ai soldi. Il padre, che da quando lui e la sorella erano nati, aveva dovuto lasciare il suo lavoro per accudirli, confidava alla moglie e ai figli la sua volontà di voler provare a rientrare nel mondo del lavoro. La mamma, che spesso non era a casa perchè molto presa dal suo lavoro, gli stava chiedendo preoccupata come avrebbero potuto gestire i figli, se ciò fosse avvenuto. Sereno, scrollò le spalle. Si era promesso di non voler diventare come il padre, ed era sulla buona via per riuscirci, grazie a Serena, la sua nuova sè.
Sembrava che tutto fosse tornato a scorrere nella sua nuova vita da femmina, sino a che un giorno accadde qualcosa di totalmente inaspettato. Si trovava nel bagno delle femmine, nascosto dietro ad una piccola porta del ripostiglio. Era in attesa che vi entrasse, come ogni giorno alla stessa ora, Olga, la sua inseparabile nuova amica. Voleva farle uno scherzo, facendola spaventare. Erano passati diversi minuti, quando l’insegnante di italiano, la maestra Maffei, fece il suo ingresso nel bagno. Pensando di essere sola, appoggiò la sua borsa sopra uno dei lavandini e si lavò le mani. Sereno fece molta attenzione a non farsi scoprire, perché anche se vestita da Serena, avrebbe passato dei bei guai se l’avessero trovato dentro ad un locale a cui era consentito l’accesso solo al personale.
Mentre Sereno pensava alle possibili conseguenze del suo nascondiglio, la maestra Meffei si stava pettinando davanti allo specchio. Sereno, che godeva di una vista privilegiata di ciò che accadeva nel bagno, guardò tra le fessure della porta verde in ferro, e ne rimase sorpreso. Il pettine impegnato a sciogliere i nodi dei capelli della maestra aveva spostato la capigliatura di qualche centimetro, rivelando che quella fosse una parrucca. Sistemati trucco e capelli la maestra poi uscì, lasciando Sereno da solo. All’ingresso di Olga, Sereno aprì la porta emettendo un suono più simile a quello di un ruggito animalesco, che ad una boccaccia femminile.
«Ahahahahahaah!».
Olga si spaventò molto, ma fortunatamente con un tono di urlo non troppo alto, il che salvò entrambe da una punizione certa.
Sereno passò settimane intere a studiare da lontano la maestra Maffei, cercando sempre di non dare nell’occhio. La seguì nei suoi spostamenti da un’aula all’altra, cercò di sedersi in mensa abbastanza vicino per sentire le sue conversazioni telefoniche. Era nato un dubbio nella mente di Sereno, da quel giorno in bagno, che non riusciva a zittire. Ci vollero due mesi, prima che ne ricevesse la conferma. E quel giorno arrivò in maniera inaspettata, ad inizio maggio: si trovava con la sorella al parco di una cittadina poco distante da casa. Il padre aveva permesso loro di giocare nel parco giochi da soli, mentre sbrigava qualche commissione nella via a fianco, quando gli passò a fianco un uomo alto, dai capelli corti e lo sguardo intenso. Sereno non appena lo vide lo riconobbe, senza capire subito di chi si trattasse: sapeva di conoscere quell’uomo, ma al tempo stesso non ricordava chi fosse. E così provò a seguirlo per qualche metro con lo sguardo, sperando di ricordare dove l’avesse già visto.
Fu in quel momento che al signore cadde dalla tasca destra dei pantaloni una chiave. Sereno scese dall’altalena in cui era seduto e corse subito a raccoglierla, chiamando ad alta voce: «Signore, signore, ha perso questa!», e indicando la chiave sul palmo della sua mano. Il signore si fermò titubante, poi si voltò, guardò Sereno e con aria rassegnata gli si avvicinò. Non appena Sereno ebbe davanti l’alto signore si ricordò, ed esclamò: «Maestra Maffei, è lei? Non è vero?».
Con lo sguardo di chi è appena stato colto in flagrante a rubare qualcosa, lui sorrise e poggiando il dito indice sulla bocca, invitò Sereno a parlare a bassa voce. Gli indicò poi una panchina alle loro spalle, lontana da tutti, dove si sedette in attesa che Sereno lo raggiungesse. «Ti devo spiegare tante cose, ma prima dimmi come hai fatto a riconoscermi». Sereno raccontò all’insegnante chi era, di averlo visto in bagno e per la prima volta, forte che finalmente aveva qualcuno davanti che lo potesse comprendere, raccontò anche di sé, della scuola in cui si trovava prima e di come la sua vita fosse cambiata da quando era diventato Serena.
«Mi spiace Sereno!»
«E di cosa?»
«Mai nessuno dovrebbe fingere di essere qualcun altro per essere accettato. Io ho deciso come te di diventare una lei per poter avere uno stipendio più alto ed essere assunto. Gli insegnanti maschi non sono ben visti dalle presidi. Ma vivo nella paura costante che qualcuno, come te, accidentalmente lo scopra».
«Non è una cosa grave», Sereno cercò di consolare l’insegnante.
«Lo è invece: passo le mie giornate recitando un ruolo, costretto a parlare, muovermi, vestirmi come una donna. Non è libertà!»
«Secondo te siamo soli?»
«Oh no Sereno. Qui fuori è pieno di ragazzi, uomini, bambini che ogni giorno cercano un’identità che non appartiene loro, sperando che così possano raggiungere obiettivi che altrimenti non potrebbero: ballerini, sportivi, politici, commessi, medici, sono ovunque, molti più di quanti immagini!»
Sereno per la prima volta da quando si trovava in quella nuova città, capì che lui non aveva mai desiderato essere una femmina, il suo vero sogno era sempre stato quello di essere trattato come una femmina e godere di tutta la libertà che esse avevano. Non fu necessario promettere l’un l’altro di mantenere quel segreto che li accomunava. Si guardarono a lungo, salutandosi con un abbraccio: era la prima volta che entrambi non si sentivano soli da molto tempo. Sereno si diresse senza voltarsi al parco giochi, dove vide Katia che in cima ad una giostra colorata lo stava fissando con uno sguardo investigativo e quando furono vicini, le raccontò tutto.
Nei giorni successivi ripensò molto a quanto aveva vissuto, all’incontro con Maffei, ma più di tutto ripensò a ciò che l’aveva indotto a fingere di essere una persona diversa, a convincersi che la sola soluzione per essere se stesso fosse essere un’altro. Pochi giorni scandirono questi pensieri, e furono necessari per far trovare a Sereno dentro di sé il coraggio necessario per decidere di mostrarsi per la prima volta dopo tanto tempo.
Era un lunedì mattina quando decise di andare a scuola, presentandosi con la sua maglietta preferita dei supereroi e un paio di jeans, senza cerchietti con cuori e brillantini, ma indossando il suo berretto preferito. L’incontro con l’insegnante Maffei gli aveva fatto comprendere che nascondendo ora se stesso al mondo, avrebbe potuto farlo per una vita intera senza accorgersene. Era tempo questo per Sereno di vivere la sua vita, salutando una volta per tutte Serena. «Dai, muoviti, è già suonata la campanella!», lo intimò Katia tirandolo per la mano. Sereno dovette respirare a lungo. Strinse in tasca con la mano destra la sua biglia porta fortuna e si incamminò verso l’ingresso, mano nella mano con la piccola Katia.
«Lo sai che è esistito un tempo in cui governavano solo maschi? È successo tantissimi anni fa…» Katia annuì sorridendo, non era la prima volta che il fratello glielo diceva. Sereno continuò: «Forse verrà il giorno in cui tutti potranno esprimersi, vestirsi come vogliono, realizzare i propri sogni e talenti, essere loro stessi senza necessità di sottomettere l’altro», poi fece una breve pausa e aggiunse: «Come due parti complementari, seppur diversi della stessa narrazione». «E come faremo però a distinguere i bambini, da chi è femmina da chi è maschio in questo nuovo mondo?», chiese Katia. Sereno guardò la sorella negli occhi e alzando le spalle le rispose: «Non lo so Katia, forse quel giorno ci basterà chiederglielo».
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento