22 Mag 2020

Perché abbiamo bisogno dell’arte? Riflessioni post-quarantena di giovani artisti

Scritto da: Davide Artusi

Anche e ancor di più durante il periodo del lockdown molti di noi hanno avvertito il desiderio e l'esigenza di vivere un tempo fatto di cinema, racconti, musica e teatro, ricercando così nelle proprie giornate quelle manifestazioni artistiche che nei mesi di quarantena hanno dovuto adattarsi e reinventarsi. Ma cosa significa l'arte per le nostre vite? Ne abbiamo parlato con alcuni giovani artisti.

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«Non credo nell’arte ma negli artigiani», esordisce così Jan Devetak, studente di cinema e creativo goriziano classe 2000, spesso discusso e di indole controversa. «Tutto ciò che emoziona è arte, che si crea è arte. Tutto è arte. Dunque, niente lo è. Arte è solo un termine, una definizione. Arte è soggettività. Si potrebbe dire che sia l’atto stesso del creare; non un creare arido, ma che implica l’altro, un rapporto a due che crea identità, che presuppone un committente e un destinatario. Il prodotto che ne fuoriesce ritengo sia più giusto nominarlo artigianale più che artistico, qualcosa che può essere più o meno utile ma che anche nella sua futilità, trova comunque un suo ben preciso posto».

Jan è uno dei molti registi che hanno deciso di non mettere da parte la loro passione in questo periodo di domicilio coatto forzato, ma di utilizzarla per documentare un momento storico così strano, che si porta in grembo nuove paure e future speranze. Ed è proprio questo il tema del suo nuovo docu-film, Amore Covid-19, in cui amarezza e dolcezza, rifiuto e amore, si mescolano in una breve opera “dove l’importanza del contenuto supera quello della forma”. A breve uscirà un suo nuovo cortometraggio, molto più sperimentale, Hic et Nunc, produzione Tagliacorto Films, una riflessione sull’arte e sulla creazione.

In questo periodo molti giovani cineasti o aspiranti tali si sono messi in gioco dando vita a prodotti di vario genere, home made, stimolati anche da numerosi bandi online, che propongono sfide aperte a tutti.


«L’idea del Decalogo è nata vari mesi fa, come se sentissi la necessità di raccontarmi attraverso una storia, un modo per riabilitare me stesso, in un momento difficile che stavo passando, è una sorta di autobiografia». Stiamo parlando del Decalogo, un audio racconto sostenuto da due soli interpreti, suddiviso in dieci episodi, in ognuno dei quali viene raccontato un film. Non si tratta però di una mera recensione cinematografica, ma di uno scambio di idee che cercano di far riflettere e crescere. L’autore di questo prodotto, fruibile su Spotify, è Luca Grazioli, giovane bresciano, anch’egli studente di cinema.

«Prima del lockdown abbiamo registrato ben otto episodi, poi ci siamo dovuti fermare. Ho occupato questo tempo editando i vari capitoli e programmando la loro uscita di domenica in domenica. In molti hanno scritto recensioni o realizzato brevi spot per promuovere gli episodi attraverso le storie di Instagram. Pur essendo un lavoro molto sentito, non lo ritengo un prodotto artistico ma più un divertissement. L’ho realizzato per me stesso in primis ma ho cercato di donargli un’impronta narrativa per renderlo più fruibile all’altro. Ora mi potrò trovare con gli attori nel salotto della mia casa per registrare gli ultimi due episodi». Luca non ci parla di arte ma di prodotto di svago che, pur essendo più ‘leggero’, serve dapprima alla riabilitazione del sé e alla sua ricerca, poi a comunicare all’altro ciò che si sta cercando.

jan e luca
Jan Devetak e Luca Grazioli

«È da molti anni che suono la batteria e da circa quattro faccio parte di una band, i Bopisco Avantgarde, nata sotto il segno del punk e garage rock. Siamo in tre, io, Antonio Busetto e Alessandro Morganti. Prima della quarantena, siamo riusciti a registrare il nostro primo album, Attuazione Sonica, facendolo uscire il 16 Marzo su varie piattaforme, fra cui Spotify. Il mondo della musica sta soffrendo molto ora, nel nostro piccolo quello che facciamo è usare i social, soprattutto Facebook e Instagram, inserendo storie che invogliano ad ascoltare le nostre canzoni oppure nelle quali ognuno di noi, da casa, suona qualcosa. Non so se si possa definire arte quello che facciamo ma lo coltiviamo prima di tutto per divertirci, per far ardere una passione e poi, se qualcuno apprezza, ci può solo che rendere ancora più contenti».

Arte come necessità di divertirsi, di svagare la mente, di coltivare una passione e di trasmetterla, è questa l’idea di Leonardo Tripoli, studente di 23 anni padovano e rider presso Mymenu.

«Il teatro è il campo artistico che più ha subito colpi da questa situazione. L’importante è che conservi la sua magia reinventandosi, colmando questo contatto umano fisico assente in altri modi».

È ciò che ci racconta Anna Battistella, classe 1998, regista presso la compagnia padovana Beolco Ruzzante, di cui oggi fanno parte più di 60 persone. «Siamo una presenza viva sul territorio ma negli ultimi mesi siamo stati costretti a fermarci. Nel teatro è di primaria importanza il rapporto interpersonale tra i membri della compagnia stessa, quella famiglia con cui condividere vittorie e sconfitte, sorrisi e pianti, in una sola parola emozioni, da trasmettere all’altro, a chi è seduto davanti a noi. Per tenere uniti i gruppi e per portare il ‘teatro’ in casa, ci siamo spostati sui social, abbiamo creato challenge su Instagram, realizzato brevi filmati e sketch, cercato di ricreare quel clima sospeso di gioia e fatica attraverso delle vere e proprie prove telematiche».

Vicini anche se distanti, una vicinanza che si ricerca in tutti i modi; fare arte per stare con l’altro, per creare ponti, “per sentirsi vivi,” aggiunge Gloria Callegaro, attrice della compagnia, «fare dell’arte la propria vita è il segreto. Arte è vita. Il teatro è vita. Distrugge tante barriere, esterne ma soprattutto intime, interne. Il contatto umano, il sentimento, la conoscenza del proprio corpo, l’accettazione dello stesso, quello che sa portare alla luce è impensabile».

teatro e musica

Dal vivo o tramite social, attraverso una videocamera o un microfono, tramite il corpo o uno schermo, l’arte rimane arte, non perde la sua carica intrinseca, in quarantena o in libertà. Che la si chiami artigianato, svago, musica, ricerca del sé, divertissement, contatto umano, l’arte è essenzialmente vita o meglio, creazione. Un bisogno esistenziale che dona identità al singolo, mettendolo in costante rapporto con l’altro. L’uomo ha dunque la necessità di creare, di comunicare e, in base al periodo storico e alle sue difficoltà e peculiarità, riesce sempre e comunque a reinventarsi, adattandosi ai tempi.

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