8 Mag 2020

“Se non vi piace il vostro lavoro, cambiatelo!”. La storia di Marco, da impiegato a costruttore di biciclette

Scritto da: Francesco Bevilacqua

Marco Casalgrandi ha lavorato per dodici anni come impiegato nella stessa azienda. La nascita di sua figlia gli ha fatto capire che la vita è troppo preziosa per passarla davanti a un monitor: si è licenziato e ha scommesso sulla sua passione per le biciclette, trasformandola in un lavoro. Per vivere meglio e avere più tempo per la sua famiglia.

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Sarò banale. Sarò emotivo. Sarò sdolcinato. Ma penso che non ci sia promozione o assegno a cinque zeri che pareggi l’emozione di vedere i primi metri della propria figlia percorsi sulla bici senza rotelline. I primi incerti, traballanti, brevissimi metri. E come me la pensa anche Marco, vulcanico artigiano dal cuore emiliano che ha rivoltato la sua vita come un calzino partendo proprio da sua figlia.

Prima era un designer in una grossa compagnia, oggi costruisce biciclette e cargo-bike artigianali nelle Officine Recycle, da lui stesso fondate. Ma il percorso di vita e di lavoro che ci sta in mezzo non è stato affatto semplice. Con il cuore in mano ci ha raccontato tutto, anche se – come lui stesso ammette – è più bravo con la saldatrice che con la penna. Ma le parole che seguono rappresentano una potentissima fonte d’ispirazione e, chissà, forse saranno l’ago della bussola che indicherà la direzione di tante altre vite oltre alla sua. Siete pronti a seguirlo?

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Raccontaci brevemente la tua storia.

Negli ultimi otto o nove anni ho sempre più sviluppato la passione per la bicicletta. Prima in MTB nei boschi, poi i viaggi con tenda e fornellino in giro per l’Italia e l’Europa. Quando la mia compagna è rimasta incinta ho pensato che mi serviva una cargo-bike, perché sicuramente non avrei avuto più tempo per pedalare, ma soprattutto avrei voluto farlo con lei! Forte dei miei quindici anni passati a lavorare come progettista meccanico, mi sono messo all’opera, finalmente per fare qualcosa che mi interessasse davvero. Ho progettato e realizzato la prima cargo-bike in nove mesi – lo stesso tempo che è servito a Nina per nascere! – e a due mesi la portavo già in giro con l’ovetto. Le è sempre piaciuto, anche se non era molto di compagnia: bastavano due chilometri e si addormentava!

Il Coraggio di Cambiare Vita
La coerenza non dà la felicità
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Come ha fatto la bicicletta a diventare un lavoro?

Ho usato fin da subito il congedo parentale, ma una volta che è terminato mi sono accorto di aver ancora bisogno di tempo; ho provato a chiedere un part-time ma non mi è stato concesso. Quindi, consapevole che avrei potuto trovare nuovamente impiego come progettista meccanico, ho mollato il lavoro e ho cominciato a fare il bike-messenger con la cargo che avevo costruito. Dopo neanche un mese ho conosciuto Eros e Giulio, che avevano costruito anche loro una cargo-bike. Mi erano rimasti alcuni tubi dalla prima e ho proposto loro di costruirne qualcuna destinata alla vendita. Abbiamo fatto la prima fiera a Bergamo e da lì sono partiti i primi ordini, poi la prima a Berlino. Da quel momento sono arrivate richieste dalla Germania, poi da Belgio, Francia… Addirittura un ragazzo in Costarica gira per parchi e stazioni a fare tè e caffè con una nostra bici, questo è davvero incredibile! Sono soddisfatto della mia scelta, non è stato facile e non lo sarà mai, ma la libertà creativa e oraria non è niente in confronto.

Insomma, erano nate le Officine Recycle!

Già, anche se non mi piace pensare a Officine Recycle come un’azienda. Le vedo più come spazio aperto, condiviso. Abbiamo creato l’angolo cucina in modo da ottimizzare i tempi lavorativi e fare anche qualche pranzetto in compagnia di amici o clienti. Al momento riusciamo a fare settanta cargo-bike all’anno, completamente realizzate a mano, customizzate e personalizzate. Per lo più vendiamo nel Nord Europa con vendita diretta, questo ci fa perdere tempo nella parte comunicativa, ma sapere chi, come e dove userà la bicicletta che stai saldando è uno stimolo incredibile. Una famiglia con un bimbo di appena due anni ha pedalato da Amburgo a Lisbona con una nostra bici e per me è stato un po’ come essere con loro!

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Qual è stato il momento più difficile nel passaggio fra il vecchio posto fisso, la (vana) ricerca di un nuovo impiego e infine il lancio di una tua attività?

Nell’immaginario collettivo il lavoro da impiegato è privilegiato rispetto all’operaio, ma in realtà la condizione è ben peggiore, almeno per me. Ho sempre fatto fatica a stare fermo e a frenare la mia creatività. Nonostante mi occupassi di progettazione e stampa 3D, mi ritrovavo a dover passare sempre più tempo al telefono o a leggere e-mail inoltrate senza filtro dal mio capo. Mi rendevo conto che non stavo facendo nulla per il mondo, nulla che rimanesse davvero, stavo semplicemente mandando avanti un altro codice per una produzione in serie di parti per automobili, che per altro odio!

La nascita di Nina ha sicuramente aumentato questa sofferenza: non volevo farle vedere che ogni giorno, per almeno otto ore, facevo una cosa che odiavo. Ho usato tutto il congedo parentale a mia disposizione e sono stato il primo padre nella mia azienda a usufruirne su circa 300 dipendenti. Ho dovuto sopportare episodi di mobbing e domande ironiche tipo “devi allattare?”. Ma al termine di questo periodo ho capito l’importanza di passare del tempo con mia figlia e ho chiesto il part-time, che ovviamente mi è stato negato. Quando ho iniziato a cercare un qualsiasi altro lavoro part-time non ho trovato nulla; la cosa che mi ha lasciato più basito sono state le domande delle agenzie di ricerca del personale o di risorse umane: “Ma perché vuoi un part-time? Perché vuoi lasciare un contratto a tempo indeterminato?”.

Cosa ti ha spinto ad andare avanti nonostante tutto e tutti ti remassero contro?

Il punto è che mi rendevo conto che non stavo vivendo davvero: guadagnavo bene e avevo la mia solidità economica, potevo permettermi di pagare il mutuo e spendere parte dello stipendio in biciclette, ma non era abbastanza per ripagare il tempo che stavo togliendo a mia figlia. Alla fine di questa vana ricerca ho deciso di mollare tutto e investire il mio TFR per aprire un’attività in proprio. Di certo non lavorando meno, ma almeno potendo gestire il mio tempo e questo non ha prezzo. Un’altra parte fondamentale è stato il continuo supporto e aiuto di Lisa, la mia compagna: senza di lei e senza Nina non ce l’avrei fatta.

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L’obiezione più comune che viene rivolta a chi fa una scelta come la tua è che serve un capitale iniziale. Com’è cambiata la tua vita dal punto di vista economico? Possono farlo tutti?

Ovviamente la maggior parte delle persone mi ha dato del pazzo. Mi madre ha sempre pensato che stessi commettendo un grosso errore – abbandonare un posto da impiegato, dove andare a lavorare vestito bene e avere persone da gestire – ma soprattutto che non fossi interessato a fare carriera. Diciamo che il TFR mi ha dato la possibilità nei primi anni di fare qualche piccolo investimento, ma da parte mia ho sempre cercato di progettare e costruirmi da solo tutto quello di cui avevo bisogno e di riciclare qualsiasi cosa, dai pallet agli oggetti abbandonati a fianco dei cassonetti della spazzatura. Dal punto di vista finanziario è cambiato molto: non ho più una certezza economica, ma in questi anni mi sono dato molto da fare per rivedere il mio stile di vita. Eliminare le spese inutili, ridurre le uscite a cena, gli aperitivi… ma se questo significa avere più tempo libero per vedere crescere mia figlia credo che sia uno sforzo minimo. Purtroppo non esistono aiuti consistenti da parte dello Stato per queste scelte, ma non è per niente facile farlo da soli.

E invece la qualità della tua vita dal punto di vista degli affetti, delle relazioni e del benessere interiore com’è cambiata?

È stato come rinascere. Prima iniziavo a lavorare alle 6 mi facevo dodici ore al giorno, mangiando davanti al computer per poter tornare a casa non troppo tardi, ma dopo cena svenivo sul tappeto non appena mia figlia si addormentava! Non è facile progettare, sviluppare un prodotto e parallelamente mettere in piedi un’attività, trovare i fornitori giusti e così via, ma dopo quattro anni ormai il prodotto è ultimato e vado avanti abbastanza liscio. Nel frattempo ho insegnato a nuotare a mia figlia, le ho visto fare le prime pedalate senza ruotine, abbiamo passato lunghi pomeriggi insieme.

In estate per esempio capita spesso che lavori di notte, visto che saldare di giorno non è molto confortevole, così posso passare le ore più belle della giornata con lei e con la mia compagna. Oppure semplicemente mi concedo qualche pedalata anche solo per andare da un fornitore, magari ci metto un’ora in più che se andassi in macchina, ma non ho le stesse endorfine! A volte passo a salutare i miei genitori, con calma, con il tempo che ci vuole… e questa cosa non ha prezzo, credetemi. Inoltre, nel momento in cui fai qualcosa che ami, non ti sembra nemmeno di lavorare, al contrario il tempo passa troppo in fretta.

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In Italia sta cominciando a diffondersi la cultura della bicicletta non solo come attrezzo sportivo o per il tempo libero, ma anche come strumento di lavoro, in particolare della cargo-bike. Quali sono le tue previsioni in proposito?

Qualcosa si sta muovendo, molto lentamente. Purtroppo la necessità primaria sono le infrastrutture: nessun automobilista andrà mai al lavoro in bici fino a quando i ciclisti correranno rischi così elevati sulle strade. Nella sfortuna, questa terribile pandemia ci sta mostrando che le città non sono poi così grandi per muoversi in bici e che le consegne nel raggio di pochi chilometri sono molto più rapide sulle due ruote. Staremo a vedere. Sinceramente ho perso molta fiducia in questo paese e nei suoi abitanti, alcuni ancora ridono o mi indicano quando pedalo su una cargo-bike con mia figlia, il cane e la spesa, mentre loro sono fermi in fila in macchina. Ma chi è il vero pazzo?

Cosa consigli a chi sogna una vita e un mondo diversi?

Di non perdere tempo. Purtroppo siamo ancora troppo vicini alla seconda guerra mondiale, al dopoguerra, al boom economico e, negli ultimi anni, al declino verso il consumismo e al conseguente indebitamento. Mi hanno sempre detto che la cosa importante è avere un lavoro fisso e “investire nel mattone”. Dopo dodici anni nella stessa azienda non ho avuto alcun feedback da parte dei miei dirigenti e ho comprato casa nel 2008, prima della grande bolla finanziaria, quindi quali erano le certezze tramandate dai miei genitori? Se non vi piace il vostro lavoro, cambiatelo! Vorreste fare qualcosa che non vi piace per tutta la vita? Poi finalmente se riuscite ad andare in pensione credete di potervi godere la vita davvero? Che esempio pensate di poter dare a vostro figlio o vostra figlia se tutti i giorni tornate a casa nervosi lamentandovi del vostro lavoro?

Dovremmo lavorare meno e farlo tutti. Fortunatamente questo lockdown ha dato la possibilità a molti di rallentare, ascoltarsi e riprendere i propri ritmi di vita. Sicuramente non tutti ci sono riusciti, tanti staranno soffrendo, perché forse non vogliono accettare le risposte a queste domande. Io mi auguro che non torni proprio tutto come prima, anche se non vedo l’ora di trovarmi sudato a ballare in mezzo a una folla di gente! Non credete alle regole, perché non esistono, siamo esseri liberi. E soprattutto viaggiate il più possibile, ma non in crociera o nei villaggi turistici. Conoscere altre culture e usanze è l’unico modo per capire che non ci sono regole di vita.

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