Una famiglia in viaggio su una casa mobile e sentieri non tracciati
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«In questo momento di grandi cambiamenti per il mondo, di cui il coronavirus è solo uno dei tanti vettori, è nato in me un grande desiderio di condividere con il mondo le riflessioni che scaturiscono da una vita svuotata dalle distrazioni di una quotidianità che molto spesso trasforma le persone in consumatori inconsapevoli di tutto ciò che è superfluo, abbandonando se stessi e i propri sogni».
È il messaggio che ci ha inviato Daniela De Angelis. Più che un progetto, quello che stiamo per raccontarvi è il percorso di costruzione di una nuova vita intrapreso da una famiglia che si è progressivamente allontanata dalla Lombardia per iniziare un viaggio senza mete o risposte precise ma guidato da visioni e possibilità.
Puoi presentarti?
Mi chiamo Daniela, ho trentaquattro anni, e sono cresciuta nella provincia comasca, in Lombardia. Dopo una laurea in scienze del turismo ed essermi buttata nel mondo delle agenzie di viaggio, non ci ho messo molto a capire che la vita d’ufficio non era fatta per me.
Un viaggio in Burkina Faso mi ha dato il coraggio di licenziarmi e andare alla ricerca di un lavoro che appagasse le mie passioni e che mi insegnasse le tante cose che ancora non conoscevo del mondo.
Sono stata responsabile didattica in una fattoria sociale, aiuto-cuoca, sono apicoltrice e divulgatrice di pedagogie non direttive, ho viaggiato in Europa, Africa e Asia alla scoperta di me stessa e della realtà in cui vivo.
Le mie scelte mi hanno portato a trasferirmi in Valtellina, in provincia di Sondrio, dieci anni fa. È in Valtellina che ho conosciuto il mio attuale compagno Tomas, tecnico del suono, sperimentatore, agricoltore, appassionato di natura, musica e fotografia. Insieme abbiamo alimentato la nostra consapevolezza e la nostra volontà di autodeterminare la nostra vita basandoci su scelte in armonia con noi stessi e la visione del mondo in cui ci piacerebbe vivere.
Cosa intendi quando parli di autodeterminazione della vostra vita?
Responsabilità sociale, auto-sostentamento, sostenibilità, libertà e semplicità sono concetti che ci hanno sempre accompagnato nel nostro tentativo di “costruire la nostra vita”, senza accontentarci di ciò che avevamo già intorno, ma agendo per creare ciò che riteniamo sia importante per noi e la comunità.
Cosa è successo quando siete diventati genitori?
Con l’arrivo dei nostri due figli Federico e Pietro, che oggi hanno sette e tre anni, le motivazioni per continuare a cercare una strada che fosse coerente con i nostri principi etici sono diventate più pressanti, portandoci a fare numerosi tentativi concreti per cambiare e arricchire la terra in cui abitavamo con progetti educativi basati su pedagogie non direttive e cercando di costruire intorno a noi una comunità di persone che ci fosse affine. Al contempo abbiamo fatto la scelta di acquistare un camper, e passare qualche mese all’anno in viaggio, durante il periodo invernale, rinunciando a mandare i nostri figli a scuola e preferendo per loro un percorso di apprendimento libero e autodiretto, basato sulla motivazione intrinseca e su una relazione costante con la natura e il mondo.
Puoi parlarci del del vostro percorso su “Sentieri non tracciati”?
È proprio grazie alla scelta del viaggio che è iniziata la nostra strada “su sentieri non tracciati”, che è anche il titolo del blog che abbiamo creato prima di partire per la nostra ultima avventura e in cui raccontiamo tutto ciò che la nostra quotidianità su quattro ruote ci sta insegnando e mostrando. Ci sentiamo costruttori del nostro percorso di vita, decidiamo che direzione prendere momento dopo momento, a seconda di ciò che il mondo e le nostre esperienze ci mostrano.
Cosa vi sta insegnando la vita in viaggio, su quattro ruote?
La vita nomade, passata soprattutto su territori selvaggi di Spagna e Francia, ci ha insegnato l’importanza del vivere il presente, di connetterci con la natura e le persone che incontravamo sul nostro cammino, ci ha mostrato come tutto ciò di cui avevamo davvero bisogno poteva stare tranquillamente stivato nel nostro camper e ci ha aperto nuove visioni di come la nostra vita avrebbe potuto essere.
Abbiamo poi seguito il flusso di ciò che ci si presentava davanti: da un lato risultati non soddisfacenti riguardanti i progetti in Valtellina, dall’altro lo stretto feeling creatosi con famiglie che avevano scelto il viaggio su una casa mobile per cercare il loro futuro.
L’esperienza più significativa da quando siete in viaggio?
Ricordo benissimo un momento che per noi è stato decisivo. Eravamo a Cabo de Gata, in Andalusia, sulla stupenda spiaggia de Los Genoveses, con due famiglie a cui siamo molto legati. Osservavo continuamente i miei figli e la loro quotidianità in questa dimensione di relazione continua e spontanea con altri bambini, la loro tranquillità nel vivere il viaggio e la quantità e la qualità di insegnamenti che ne stavano ricavando; il pensiero di tornare alla vita di valle mi ha messo in crisi. Era febbraio e, guardandoci negli occhi, io e Tomas abbiamo deciso che l’autunno successivo avremmo lasciato la casa che avevamo in affitto e che saremmo partiti per un viaggio di scoperta, e per tracciare un nuovo sentiero che non sapevamo dove ci avrebbe condotto, ma che avremmo esplorato strada facendo.
Cosa è successo dopo?
Lo abbiamo fatto. A novembre abbiamo salutato la Valtellina e tutti i nostri cari e siamo partiti, il camper è diventato la nostra casa e abbiamo iniziato la nostra avventura.
Il viaggio fisico ed emozionale si son intrecciati, ogni nostra tappa è stata per noi un momento di evoluzione, che ci ha cambiato e ci ha mostrato il passo successivo da compiere: la Francia è stata transizione, la Catalogna ricerca di un equilibrio familiare, la riserva naturale di Capo de Gata e l’Andalusia sono stati il sentirsi nuovamente a casa, il Marocco è stato esplorazione, e infine il Portogallo ci ha regalato una nuova famiglia.
Come avete vissuto l’emergenza coronavirus e le misure restrittive?
Ci trovavamo qui (in Portogallo, ndr) quando è scoppiata l’emergenza sanitaria a causa del COVID-19, con un gruppo di amici vecchi e nuovi; anche in Portogallo sono state adottate misure restrittive d’isolamento per contenere il contagio, e la legge ci obbligava a trovare un terreno privato dove sostare e isolarci o tornare ai nostri rispettivi paesi di residenza. Quattro famiglie, tra cui noi, hanno scelto di vivere la quarantena insieme e, pur sapendo di non avere molte possibilità, di trovare un luogo abbastanza spazioso per ospitarci insieme.
Dopo giorni di tentativi, l’ultima chiamata telefonica ci ha regalato un paradiso, e ora siamo ospiti da una famiglia tedesca in un grandissimo terreno nell’Alentejo, tra i boschi e gli animali. Qui il nostro percorso si è intrecciato e unito a quello degli altri e ha creato il sogno di un terreno dove vivere tutti insieme, dove sperimentare e costruire una comunità che condivide gli stessi valori e lo stesso stile di vita. Vedremo questa strada dove ci porterà, vivendola.
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