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Quasi la metà degli esseri umani che abitano il pianeta ha smesso da settimane di uscire di casa. Le relazioni sociali tradizionali sono ridotte ai minimi termini e le persone scoprono forme creative per soddisfare la sete di socialità. Molte cose stanno cambiando: la nostra psiche, il modo di pensare e di relazionarci, la nostra economia. Cadono alcuni tabù, si sfatano molti luoghi comuni, si fanno più grosse le crepe nel sistema. Intanto là fuori, la natura torna a fiorire con velocità impressionante, persino dove sembrava spacciata. Stiamo vivendo, come umanità, il cambiamento più profondo da molti decenni a questa parte. E lo stiamo vivendo da spettatori.
Quale società ci aspetta quando torneremo ad uscire di casa? Una società del controllo e della sorveglianza oppure una società della collaborazione e della solidarietà? Sarà più ecologica o torneremo a fare gli stessi errori del passato? Quali carte abbiamo in mano come individui, comunità e genere umano, per orientare il corso degli eventi? Per capirci qualcosa ci siamo rivolti a chi di cambiamento si occupa da molti anni. Cristiano Bottone, testa (cuore e mani) del movimento della Transizione in Italia.
L’inquinamento sta calando in molte zone del mondo per via dell’interruzione di molte attività umane e la natura riprende i suoi spazi. Quali insegnamenti possiamo trarre nell’osservare questo fenomeno?
Questa è una conseguenza utile di un evento drammatico, conferma ancora una volta il peso dell’impatto umano all’interno degli ecosistemi. In verità non è che vi fosse tanto da scoprire, ma a volte toccare con mano può aiutare anche i meno attenti: mai visto un cielo così terso in Pianura Padana, tanto per fare un esempio. Sembra confermare inoltre la capacità di una parte della biosfera di riprendersi velocemente una volta terminate le pressioni negative. La vita reagisce e rifiorisce in fretta, evolve, lo avevamo visto in mare, laddove sono stati istituiti parchi marini protetti, o in zone forzatamente abbandonate come Chernobyl.
Speriamo di non sprecare questa occasione e che l’umanità prenda nota. C’è poi l’aspetto più prettamente scientifico, molti dati relativi alle emissioni in atmosfera sono frutto di modelli ed elaborazioni statistiche, mentre ora si possono misurare certi effetti in modo diretto. Questo significa che avremo molte più informazioni reali e consapevolezza. Già si sta discutendo, ad esempio, delle varie componenti inquinanti del bacino padano e alla luce di questo grande “esperimento” forse alcune dei modelli in uso saranno da rivedere. Non sopravvalutiamo invece gli effetti di questa breve pausa sul processo relativo al surriscaldamento globale è probabile che alla fine risultino irrilevanti se torneremo a fare tutto come prima.
Molte cose cambieranno. Alcuni pensano che in questa crisi si celi l’opportunità di mettere in atto una rapida transizione ecologica. Secondo altri invece molti dei fondi immaginati per il green deal potrebbero essere reindirizzati verso una ripresa economica tradizionale. Cosa ne pensi? C’è uno scenario che ritieni più probabile?
Ormai da parecchi anni cerco di pensare sistemico e nel farlo si impara una cosa: inutile cercare di fare previsioni. Ci sono delle tendenze generali che rimangono chiare: gli umani sono tanti, le risorse sempre più scarse e mal distribuite, non abbiamo sistemi di governo dei gruppi, dei popoli, degli stati, che si stiano rivelando efficaci. Facile immaginare scenari piuttosto negativi in queste condizioni. L’intero sistema economico è modellato sull’idea di crescita e si scontra evidentemente con l’atteggiamento impietoso dei sistemi fisici in cui siamo immersi. Quando una risorsa fisica finisce è finita, non si può discutere con lei e trovare un accordo. Se la CO2 in atmosfera renderà la terra inabitabile alle forme di vita che la popolano oggi – e ci siamo quasi – se continueremo a fare finta di non capire che la crisi del 2008 ha profonde radici energetiche, se non comprenderemo che il collasso degli ecosistemi porterà via anche noi… beh non sarà finita bene. Poco utile quindi chiederci quale scenario sia più probabile, più interessante, forse, chiederci per quale altro possibile scenario dovremmo lavorare impiegando tutte risorse rimaste.
Bene, chiediamocelo allora. Possiamo fare qualcosa per sfruttare al meglio le opportunità di cambiamento che si celano in questa drammatica situazione?
Assolutamente sì. Un evento così traumatico e che colpisce contemporaneamente tutto il mondo è davvero (non in modo retorico) una incredibile occasione. Mostra in tempi rapidissimi, purtroppo in modo crudele, la fragilità dei nostri sistemi, l’inconsistenza di molte delle “storie” che regolano le nostre vite. Pensiamo alle mascherine, giusto per fare un esempio: non basta tutto il denaro del mondo a comprare mascherine che non esistono. Così come non si possono impiegare medici che non ci sono. Dove la nostra fantasia incontra gli atomi, la realtà diventa palese. Migliaia di aziende falliranno, mentre altre fallite rinascono, l’immensa macchina del superfluo di cui ci circondiamo è stata messa alla corda in un attimo e fa spazio a dimensioni produttive di maggior buon senso, pensiamo ai laboratori di moda che ora cuciono camici e mascherine. E così via.
Anche il mondo della finanza è in subbuglio…
Interessante vedere le banche centrali reagire nei primi giorni al solo scopo di mantenere lo status quo per poi passare allo “stamperemo tutto il denaro necessario”. Possono farlo? Sì il denaro non esiste, come dice Harari – ma non è certo il primo -, è “solo” la storia di maggior successo inventata dall’umanità. Da questo all’idea del reddito universale il passo non è tanto lungo e potrebbe essere ampiamente facilitato da una situazione come questa. È una condizione interessante e porta con sé l’idea che la riconversione industriale ecologica non può più essere fermata dalla storia delle persone che “sennò perdono il lavoro”: quel lavoro magari sì, ma con un reddito universale il salario no. E se la sopravvivenza è garantita, allora si può imparare altro e magari mettersi a produrre in modo sostenibile cose utili e di lunga durata eliminando tante produzioni totalmente superflue ed effimere.
Quali altri aspetti hai visto emergere?
L’egoismo degli stati che sequestrano i presidi sanitari perché non passino il confine mette in luce il problema delle produzioni locali, della mancanza di resilienza nei sistemi vitali. Forse così il concetto di bio-regione, in un futuro ormai non tanto lontano, potrebbe essere più interessante e protettivo di quello di Nazione. Questo è interessante. Ora l’inadeguatezza della classe dirigente appare più nitida e anche quella degli strumenti a nostra disposizione per selezionarla. Questo è interessante, che non sia ora di occuparsi davvero di profonde riforme della nostra inadeguata democrazia rappresentativa?
C’è spazio per cambiare e cambiare in fretta. Certo si può cambiare in meglio, ma anche in peggio. La tentazione di irrigidire autoritarismi e culti della personalità è ancor più presente e probabilmente già in corso in vari angoli del mondo. Ma si apre potente anche uno spazio per soluzioni davvero differenti da quelle viste e riviste fin qui. Penso all’introduzione di una moneta complementare globale come quella immaginata da Bernard Lietaer e chiamata “Terra”, ancorata a un paniere di commodities invece che alle nostre fantasie o a schemi di compensazione tra stati come il protocollo Bancor (solo per fare degli esempi). A nuovi modelli di gestione democratica che cambino radicalmente la qualità delle decisioni prese ricorrendo in modo ragionato a meccanismi di democrazia deliberativa e alle forme più avanzate della sociocrazia (sempre per fare esempi praticabili da subito). A nuovi modelli di organizzazione sociale, forme di impresa, e tanto altro.
Siamo pronti a cogliere l’occasione?
Ecco questo non lo so, un’enorme percentuale della popolazione rimane passiva. La maggior parte dei movimenti, degli attivismi e dei sistemi politici ed economici che conosco sono molto lontani dal raccontare nuove storie. Utilizzano approcci profondamente figli di questo sistema e faticano ad esplorare dinamiche realmente alternative. Questo vale per quelli che tentano di conservare a tutti i costi quello che c’è e per quelli che vorrebbero cambiarlo, ma sembrano non accorgersi di lavorare solo una versione differente dello stesso racconto. Vedere come in Italia si sia potuto immaginare di emendare la fiacchezza dell’attuale democrazia rappresentativa con “uno vale uno” fa capire con quale atteggiamento disinformato e naive si affrontano queste cose.
Da poco ho partecipato ad un lungo workshop a Bruxelles e uno dei partecipanti era un giornalista che si occupa di evoluzione democratica. Il suo sgomento riguardava appunto il fatto che questo tema sembra non interessare a nessuno, c’è una specie di analfabetismo nascosto che riguarda questa materia e un costante ricorrere alle poche cose note o all’inseguire l’ultima moda per ritinteggiare la facciata di un palazzo che rimane vecchio e non più adeguato ai tempi. È una cosa che fa riflettere e che oggi, con un’opportunità come questa che ci investe, potrebbe impedirci alcuni passaggi evolutivi che potrebbero farci uscire dalla crisi “coronavirus” in un mondo ricco di nuove potenzialità. Come sempre accade nella vita, tocca a noi cogliere le opportunità. C’è tutto quello che serve per farlo tranne, forse, la nostra convinzione.
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